DATA (voce derivante dall'uso di indicare il luogo e il giorno in cui si rilasciava un documento, facendo precedere queste indicazioni da una delle voci datum [documentum], datae [litterae], data [epistola]; fr. date; sp. fecha; ted. Datum; ingl. date)
Consiste nell'indicazione del tempo in cui un fatto è avvenuto o un atto è stato compiuto. La data si riferisce generalmente al calendario in uso, ma nella formazione di essa entrano talora altri elementi, che hanno variato nelle diverse epoche.
La data presso i Greci.
È noto che i numerosi stati della Grecia antica non arrivarono mai non solo a unificare ma neppure a concordare i loro singoli calendarî, e che anche l'uso di ere comuni, come termine di riferimento cronologico, non fu che tardo e parziale (v. calendario; era): donde la grande varietà e complicazione delle formule indicanti la data, così nei testi letterarî e storici, come nei documenti e, in genere, nei testi epigrafici, pubblici e privati. Converrà pertanto esaminare partitamente i singoli elementi componenti l'indicazione della data.
a) Era. - Soltanto dal sec. IV a. C. in poi cominciò a diffondersi gradatamente l'uso di computare gli anni per olimpiadi; ma la datazione per olimpiadi, se andò acquistando via via un certo favore presso gli storici (per es., Dionisio di Alicarnasso e Diodoro Siculo), non fu usata che molto limitatamente nei documenti pubblici e privati e nei testi epigrafici.
b) Anno. - Gli anni si indicavano, nelle singole città greche, coi nomi dei più alti magistrati o dei sacerdoti delle maggiori divinità oppure col nome del sovrano. Nei testi più antichi, datati col nome di un principe, non è mai indicato l'anno del regno; l'anno del regno si trova per la prima volta indicato in aleune iscrizioni di Milasa del tempo di Artaserse II (Corp. Inscr. Graec., 2691 c, d, e, 2962, 2919), ma Tucidide (VIII, 57) riporta il testo del trattato fra Sparta e la Persia del tempo di Dario, nel quale la data è indicata col tredicesimo anno di regno di quel re, corrispondente a quello dell'eforo spartano Alessippide.
In Atene fu in uso, fin da tempo molto antico, l'indicazione degli anni mediante il nome dell'arconte eponimo; in Sparta, col nome dell'eforo eponimo. Arconti eponimi troviamo in numerose altre città greche. In Acaia dava il nome all'anno lo stratego (στρατηγός); e così in Etolia e in Tessaglia: in varie città dell'Asia Minore, come a Mileto e a Magnesia sul Meandro, lo στεϕανηϕόρος o gli ἐπιμήνιοι; ad Argo, la sacerdotessa di Era.
Una molteplicità d'indicazioni in datazioni di questo tipo come quella usata da Tucidide (II, 2,1) per indicare il primo anno della guerra del Peloponneso, era resa necessaria dal fatto che gli anni dei singoli stati non coincidevano quasi mai fra loro, per essere diverse le epoche del principio dell'anno e le posizioni dei mesi intercalari. Il capodanno cadeva, in generale, nei giorni dei solstizî o degli equinozî; così, per esempio, l'anno cominciava col solstizio d'inverno in Beozia, a Delo, a Tauromenio; col solstizio d'estate ad Amorgo, Atene, Delfi, Epidauro; con l'equinozio di autunno in Etolia e in Macedonia, ad Eraclea sul Siri, a Sparta, Lampsaco, Mileto, Cizico; con l'equinozio di primavera a Chio e, in tempi più tardí, a Mileto e a Cizico. Divergenze anche maggiori erano provocate dalla diversità dell'intercalazione: nei singoli stati, si raddoppiava, a scopo d'intercalazione, un determinato mese in determinati anni: in generale, si preferiva raddoppiare il sesto mese (per es., ad Atene, Delo, Delfi), o, più di rado, il dodicesimo.
Una certa semplificazione fu apportata dall'esatta corrispondenza dell'anno intercalare di Delfi e dell'anno intercalare di Atene, non solo nel principio dell'anno al solstizio d'estate e nell'adozione del sesto mese come intercalare, ma anche per essere stato accolto nel calendario di Delfi il ciclo diciannovennale di Euctemone e di Metone e poi anche le modificazioni ad esso apportate da Callippo (v. ciclo: Cronologia). E la concordanza dei calendarî di due centri così importanti nella vita e nella cultura greca non poté non avere ripercussioni notevoli anche nell'uso delle altre città elleniche.
c) Mese. - Nei casi di datazioni molto precise, all'indicazione dell'anno (ed eventualmente dell'olimpiade) si faceva seguire quella del mese e del giorno. Il mese s'indicava col suo nome (per il nome e la successione dei mesi nei diversi calendarî greci, v. calendario; mese); il mese intercalare si designava col nome del mese precedente seguito dall'appellativo ἐμβόλιμος o ἐμβολημαῖος oppure δεύτερος o ὑστερος (per es. in Atene: Ποσειδεών β o ὕστερος).
In certe regioni occorrono, nel datare, divisioni più vaste dell'anno, in bimestri, quadrimestri o semestri, corrispondenti alla durata di certe magistrature. Al tempo dell'Impero venne in uso in Asia Minore d'indicare il mese col suo numero d'ordine piuttosto che col suo nome; troviamo quindi espressioni come μὴν ἕκτος, ἔνατος, δέκατος, δωδέκατος, ecc., ecc.
d) Giorno - Nella denominazione dei giorni e nella partizione del mese non sembra ci siano state sostanziali differenze fra i calendarî greci, nei quali non era in generale usata una numerazione dei giorni tutti di seguito, ma piuttosto la partizione del mese in tre decadi (cfr. Polluce, I, 63).
Le tre decadi erano designate rispettivamente: μὴν ἱστάμενος, μὴν μεσῶν, μὴν λήγων (oppure ϕϑίνων). Il primo giorno del mese portava il nome di νουμηνία; dal secondo al decimo, la designazione era fatta dal numero ordinale, al femminile, seguito dal genitivo ἱσταμένου(μηνός); dall'undicesimo al ventesimo giorno si potevano indicare le date con gli ordinali corrispondenti, oppure con gli ordinali da uno a dieci, seguiti dal genitivo μεσοῖντος (μηνός); ma il ventesimo giorno si chiamava di solito εἰκάς. Dopo il ventesimo giorno si contava con l'ordinale da uno a dieci, seguito dall'aggiunta μετ'εἱκάδα o ἐπ' εἰκάδι; più spesso, si contavano ì giorni all'indietro a cominciare dal 30° o dal 29°, contati come primo, e seguiti dall'aggiunta ϕϑίνοντος (μηνός).
Facciamo seguire qui l'elenco delle designazioni dei singoli giorni del mese, quali risultano dai documenti epigrafici attici:
1: νουμηνία, πρώτη ἱσταμένου - 2: δευτέρα ἱσταμένου - 3:τρίτη ἱσταμένου - 4: τετρὰς ἱσταμένου - 5: πέμπτη ἱσταμένου - 6: ἕκτη ἱσταμένου - 7: ἑβδόμη ἱσταμένου - 8: ὀγδόν ἱσταμένου - 9: ἐνάτη ἱσταμένου - 10: δεκάτη ἱσταμένου - 11: ἐνδεκάτη o πρώτη ἐπὶ δέκα 12: δωδεκάτη ἱσταμένου oppure δευτέρα ἐπὶ δέκα - 13: τρίτη ἐπὶ δέκα - 14: τετρὰς ἐπὶ δέκα oppure διχομηνία - 15: πέμπτη ἐπὶ δέκα oppure πεντεκαιδεκάτη - 16: ἕκτη ἐπὶ δέκα - 17: ἑβδόμη ἐπὶ δέκα - 18: ὀγδόν ἐπὶ δέκα oppure ὀκτωκαιδεκάτη - 19: ἐνάτη ἐπὶ δέκα oppure ἐννεακαιδεκάτη - 20: εἰκάς oppure εἰκοστὴ τοῦ μηνός - 21: δεκάτη ϕϑι0νοντος, δεκάτη ὑστέρα, πρώτη ἐπὶ εἰκάδι - 22: ἐνάτη ϕϑίνοντος oppure δευτέρα μετ'εἰκάδας o ἐπὶ εἰκάδι - 23: ὀγδόη ϕϑίνοντος oppure τρίτη μετ' εἰκάδας - 24: ἑβδο0μη ϕϑίνοντος oppure τετρὰς μετ‛ εἰκάδας - 25: ἕκψτη ϕϑίνοντος oppure πέμπτη μετ'εἰκάδας - 26: πέμπτη ϕϑίνοντος, oppure ἕκτη μετ' εἰκάδας - 27: τετρὰς ϕϑίνοντος o ἑβδο0μη μετ‛ εἰκάδας - 28: τρίτη ϕϑίνοντος o ὀγδόη μετ' εἰκάδας - 29: δευτέρα ϕϑίνοντος o ἐνάτη μετ'εἰκάδας - 30: ἕνη καὶ νέα.
Dal 307 a. C., in onore di Demetrio Poliorcete, il trentesimo giorno di ogni mese s'ebbe aggiunto il nome di Δεμετριάς (Plut., Demetr., 12); come, più tardi, nei calendarî asiatici, il primo giorno di ogni mese si chiamò, in onore dell'imperatore romano, Σεβαστή.
e) Pritania. - L'indicazione della pritania si trova in tutti i documenti ufficiali attici, aggiunta o sostituita all'indicazione del giorno corrispondente del calendario. Nei documenti più antichi è dato soltanto il nome della pritania in carica, con la formula "... ἐπτυτάνευεν"; dal principio del sec. IV a. C. in poi, è indicato anche il numero d'ordine della pritania; per es.; ἐπὶ τῆς Πανδιονίδης ἕκτης πρυτανευούσης (o πρυτανείας).
Seguiva l'indicazione del giorno della pritania; p. es.: 'Επὶ τῆς 'Ερεχϑεΐδος δευτέρας πρυτανευούσης..., τρὶτῃ. L'ultimo giorno della pritaniaè indicato in genere con la formula: τῇ τελευταίᾳ ἡ μέρᾳ τῆς πρυτανείας.
La data presso i Romani.
La datazione, presso i Romani, si faceva in modo assai più semplice ed uniforme, mediante l'indicazione dell'anno, del mese e del giorno. Prendiamo, anche in questo caso, a considerare separatamente i tre elementi della data:
a) Anno. - L'anno s'indicava col nome dei due consoli (per es L. Pisone A. Gabinio consulibus, anno 85 a. C.). Solo molto di rado era citato il nome di uno solo, quando cioè uno dei consoli era l'imperatore o quando era stata condannata la memoria dell'altro. Dopo il 395 d. C., quando, in seguito alla divisione dell'Impero fra i due figli di Teodosio, non sempre si poteva essere informati in tempo, in una parte dell'Impero, dei nomi dei consoli eletti nell'altra, si usò spesso di datare per post-consolati vale a dire coi nomi dei consoli dell'anno precedente, preceduti dalle lettere P.C. (per es.: p. c. Theodosii VII et Junii Quarti, anno 417 d. C.).
Nell'epoca imperiale, l'anno s'indicava spesso, specialmente nei testi epigrafici, col numero d'ordine della potestas tribunicia conferita all'imperatore: è noto che tale potestà, conferita per la prima volta ad Augusto nell'anno 28 a. C., fu in seguito accordata a tutti gl'imperatori e rinnovata regolarmente ogni anno, e pertanto questa indicazione basta da sola a fornire la data esatta. All'indicazione della tribunicia potestas si aggiungeva di solito quella della salutazione imperiale e dei consolati conferiti all'imperatore per es.: Imperator Caesar, Divi Nervae filius, Nerva Traianus Augustus Germanicus Dacicus, pontifex maximus, tribunicia potestate XIIII (quartum decimum), imperator VI (sextum), Consul V (quintum).... (corp. Inscr. Lat., III, 868).
b) Mese e giorno. - L'indicazione del mese e del giorno era data da una formula, nella quale il numero d'ordine di ciascun giorno nel mese era fissato in base alla divisione del mese in tre parti disuguali, mediante tre giorni fissi, corrispondenti indubbiamente, in origine, quando anche il calendario romano era lunare, al novilunio, al primo quarto e al plenilunio. Di questi tre giorni, il primo portava il nome di Kalendae (giorno 1° del mese), il secondo di Nonae (giorno 5° o 7°), il terzo di Idus (giorno 13° o 15°) (v. calendario; mese). Nei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre, le None cadevano il 7, le Idi il 15 del mese; negli altri mesi, rispettivamente, il 5 e il 13
Per formulare la data si adoperavano queste tre parole, all'ablativo, seguite dall'indicazione del mese, in forma di aggettivo; per es.: Kalendis Ianuariis − il 1° gennaio; Nonis Octobribus = il 7 ottobre; Idibus Octobribus = il 15 ottobre. Il giorno precedente alle Calende, alle None e alle Idi, s' indicava sempre con la parola pridie seguita dall'accusativo; il giorno successivo, talvolta, con la parola postridie, pure con l'accusativo; per es.: pridie Kalendas Apriles = il 31 marzo; pridie Idus Septembres = il 12 settembre; postridie Nonas Maias = l'8 maggio.
Per indicare uno degli altri giorni intermedî si adoperavano i numeri ordinali, contando all'indietro i giorni a cominciare dalle più prossime Calende, None ed Idi e comprendendo nel computo così il giorno di partenza come quello di arrivo. Così per es.: il 18 gennaio è il dies quintus decimus ante Kalendas Februarias; il 30 agosto è il dies tertius ante Kalendas Septembres; il 17 marzo, il dies sextus decimus ante Kalendas Apriles. La data si sarebbe dovuta esprimere regolarmente all'ablativo, e dire, per es.: die quinto ante Nonas Maias (= il 3 maggio), die quarto decimo ante Kalendas Iunias (= il 19 maggio); invece, liberamente abbreviando e trasformando i termini, si preferiva usare la formula seguente: ante diem quartum decimum Kalendas Iunias (abbreviato: a. d. XIV Kal. Iun.), ante diem quintum Nonas Maias (a. d. V Non. Mai.): oppure, più semplicemente ancora: quinto Nonas Maias (V Non. Mai.), quarto decimo Kal. Iunias (XIV Kal. Iun.).
La seguente tabella offre in prospetto l'indicazione della data per tutti i giorni dell'anno.
Per ulteriori particolari, v. epigrafia.
Bibl.: Ch. Em. Ruelle, s. v. Calendarium, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiq., I, p. 822 segg.; Bischoff, Kalender, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, col. 1568 segg.; S. Reinach, Traité d'épigraphie grecque, Parigi 1885, p. 474 segg.; R. Cagnat, Cours d'épigraphie latine, 4ª ed., Parigi 1914, pp. 161 segg., 254 segg. Vedi anche l'art. Annus, in Dizionario epigrafico di antichità romane di E. De Ruggiero; G. P. Unger, Zeitrechnung der Griechen und Römer, in Müller, Handbuch der klass. Altertumswissenchaft, I, Monaco 1892, p. 725 segg.; W. Kubitschek, Grundriss der antiken Zeitrechnung, in Müller-Otto, Handbuch, I, 7, Monaco 1927, specialmente p. 162 segg.
La data nel Medioevo e nell'età moderna.
Con l'inizio del Medioevo non si modifica ad un tratto il sistema romano di datazione, ma a poco a poco si vanno introducendo nuovi usi che finiscono col soppiantare l'antico metodo.
a) Era. - Nei più antichi cronisti medievali si usa qualche volta l'era della fondazione di Roma o s'indica l'anno del consolato o del post-consolato (in Occidente dal 535, anno I p. c. Paulini, in Oriente dal 542, anno I p. c. Basilii). Questo sistema cominciò a cadere in disuso dopo che l'imperatore Giustino, nel 566, assunse la dignità consolare, poi rimasta per i soli imperatori, sicché l'anno di post-consolato venne a coincidere per lo più con quello dell'Impero.
Dal 28 agosto 284 si cominciò a contare l'era di Diocleziano o dei martiri. Giustiniano nel 537 fece obbligo di usare l'anno di principato, contandolo dall'accessione al trono dell'imperatore regnante. Questo sistema fu il più diffuso durante il Medioevo, ma in ogni stato si sostituì, con l'andar del tempo, l'anno di principato del sovrano locale. Con Adriano I nel 781 si ha per la prima volta nei documenti pontifici l'anno del pontificato, che si alterna con quelli del principato e finisce col sostituirsi ad esso totalmente.
Altre ere usate nel Medioevo sono l'era di Spagna, l'era bizantina o greca (dalla creazione del mondo), e infine l'era cristiana, divenuta poi esclusiva.
In tempi più recenti si hanno l'era della Repubblica francese e l'era fascista (v. Era).
Un altro elemento della data durante il Medioevo fu l'indizione (v.), periodo di quindici anni, ciascun anno del quale era numerato da 1 a 15, per poi ricominciare da capo, ma senza indicare il numero d'ordine del periodo indizionale. L'anno indizionale cominciava in mesi e giorni diversi, secondo gli usi delle varie cancellerie e dei varî luoghi.
b) Anno. - L'anno nel Medioevo cominciava in giorni diversi a seconda dei tempi, dei luoghi e anche dei varî generi dei documenti. I varî modi d'inizio dell'anno si dicono stili.
1. Stile della circoncisione o dal I° genna;. - L'uso di cominciare l'anno col primo gennaio deriva dal calendario giuliano e fu in ogni tempo quello in uso fra il popolo. Ma la Chiesa, appunto per la sua origine pagana, lo tenne in poco conto, cercando in ogni modo di sostituire ad esso altri inizi dell'anno tolti dalle principali ricorrenze cristiane. Dalla metà del sec. XVI è lo stile più comune anche nei documenti e poco dopo diventa di uso generale ed esclusivo.
2. Stile veneto (mos Venetus) o dal I° marzo. - Deriva ilal calendario in uso prima della riforma giuliana, che, dopo esser stato a lungo dimenticato, ritornò nell'uso al tempo cristiano con l'anno lunare pasquale, il cui primo mese (mensis novorum) cominciava con la luna nuova della luna piena pasquale, cioè cadeva tra il 5 marzo e il 2 aprile. Si chiama solitamente stile veneto, perché fu usato ufficialmente dalla Repubblica veneta fino alla sua caduta (1797). Si trova usato negli scritti ecclesiastica del sec. V e nella Gallia fino al sec. VIII. Fu usato anche dai Russi fino al sec. XIII, accoppiato con l'era bizantina.
3. Stile dell'incarnazione o dal 25 marzo. - Deriva dal concetto che la presenza di Cristo sulla terra cominci dalla data del suo concepimento nel seno della Vergine e perciò si dice anche dell'Annunciazione. È da osservarsi che l'espressione anno ab incarnatione domini non era nel Medioevo in diretta relazione con l'uso di questo stile, essendo adoperata anche per indicare genericamente l'era cristiana, indipendentemente dall'inizio dell'anno. Si distinguono in Italia due stili dell'incarnazione; uno detto fiorentino, perché usato specialmente a Firenze, oltre che a Siena, a Cremona, a Piacenza, ecc., aveva inizio al 25 marzo posteriore al nostro computo, l'altro detto pisano aveva inizio al 25 marzo precedente. Lo stile fiorentino fu usato nella cancelleria pontificia, con una certa prevalenza dal sec. X al XIII.
4. Stile della Pasqua. - Poiché questa festa oscilla tra il 21 marzo e il 25 aprile, quando fu usato questo stile si ebbero tra un anno e l'altro differenze perfino di 35 giorni, per modo che in un anno si hanno due volte gli stessi giorni del mese e in un altro non si hanno affatto, ciò che costituisce per la cronologia una seria difficoltà. Questo stile fu usato specialmente in Francia (e perciò è detto anche stilus Francicus, mos Gallicus) dal sec. XII fino oltre la metà del XVI.
5. Stile bizantino o dal 1° settembre. - Comincia quattro mesi prima del nostro computo. Deriva dall'uso durato a lungo in Bisanzio di cambiare l'anno col 1° settembre e dall'indizione bizantina che si cambiava nello stesso giorno. Questo stile dominò nell'Italia meridionale fino al sec. XVI.
6. Stile della natività o dal 25 dicembre. - Comincia col giorno della nascita di Cristo e perciò in anticipo di otto giorni sul computo moderno. Ebbe nel Medioevo una larghissima diffusione. In Italia fu usato quasi dappertutto nella parte settentrionale, fatta eccezione di quei pochi luoghi già menzionati (Piacenza e Cremona) dove si usava lo stile fiorentino. Fu usato anche nella cancelleria pontificia fino alla metà del sec. X, e poi a cominciare dal 1217 in varî periodi fino a che col sec. XV divenne di uso costante in modo da meritarsi la denominazione di stylus curiae Romanae, mos Romanus. Si trova anche nell'Italia meridionale a cominciare dal sec. XIII, quando vi fu introdotto dalla corte degli Svevi. La cancelleria degl'imperatori quasi senza eccezioni si attenne pure a questo stile, che è il più usato anche presso i cronisti medievali.
c) Mese. - Per i mesi si usarono costantemente i nomi del calendario giuliano. Eccezioni passeggere si riscontrano nei paesi germanici; nei paesi slavi si usarono denominazioni speciali, che sono tuttavia in vigore presso i Polacchi, i Cèchi, gli Sloveni e gli Ucraini (v. mese).
d) Giorno. - Per indicare il giorno fu usatissimo nel Medioevo il sistema romano. Furono però adottati anche altri sistemi.
1. Computo diretto. - È quello oggi in uso dappertutto; proviene dall'Oriente, donde passò prima ai Greci e poi ai Romani, nei cui monumenti appare già nel sec. II. Nell'alto Medioevo fin verso il sec. XIII si trova usato per la prima metà del mese, mentre per la seconda metà è in uso il sistema romano delle calende. Diventa di uso generale, ma negli atti notarili soltanto, durante il sec. XIII.
2. Consuetudo Bononiensis. - Sotto questo nome è conosciuto un modo speciale di computare i giorni del mese che fu abbastanza diffuso in molta parte d'Italia e sulle coste della Dalmazia. Il mese si divideva in due parti di 15 giorni ciascuna, o in una di 15 e in una di 16 quando il mese ne aveva 31. Per indicare i primi 15 giorni si usava il computo diretto da 1 a 15 seguito dalle parole intrante mese, o simili; per indicare invece gli ultimi 15 o 16 giorni, si usava il computo indiretto da 16 o 15 a 1, contando i giorni mancanti alla fine del mese, e facendo seguire l'espressione exeunte mense. L'ultimo del mese veniva chiamato però dies ultimus, e il giorno avanti penultimus. Il giorno 16 nei mesi di 31 giorni si chiamava anche die mediante.
3. Giorno della festività. - Per indicare determinati giorni del mese fu molto usato nel tardo Medioevo il sistema di ricorrere al nome della festa o a quello del santo celebrato in quei giorni. Il giorno prima della festa si indicò col nome di vigilia. Per meglio ricordare le feste principali con ricorrenza fissa nei singoli mesi, s' imparavano a memoria dei versi nei quali i nomi delle feste si davano con la prima sillaba. I più diffusi in occidente furono quelli del cosiddetto Cisoianus, due esametri ogni mese.
Per le feste mobili è da tenere presente che nella maggior parte sono in correlazione con la Pasqua e che oscillano entro 35 giorni.
Bibl.: F.K. Ginzel, Handbuch der mathemat. und techn. Chronologie, III, Lipsia 1914; H. Grotefend, Abriss der Chronologie der deutschen Mittelalter und der Neuzeit, Lipsia 1912; A. Giry, Manuel de diplomatique, Parigi 1925; A. Cappelli, Cronologia, cronografia, calendario perpetuo, 2ª ed., Milano 1930.
Cfr. anche i seguenti studî speciali: V. Pallastrelli, Dell'anno dell'incarnazione usato dai Piacentini, Piacenza 1856; V. Lazzarini, Del principio dell'anno nei documenti padovani, Padova 1900; V. Fainelli, La data nei documenti e nelle cronache di Verona, in N. Arch. Veneto, 1911; S. Torelli, La data nei documenti medioevali mantovani, in Atti e mem. della R. Acc. Virgiliana di Mantova, n. s., II, ii, 1909; R. Filangieri di Candida Gonzaga, Appunti di cronografia per l'Italia Merid., in Gli Archivi Ital., 1914, pp. 136-149; C. Santoro, Dell'indizione e dell'era volgare nei doc. privati medioevali della Lombardia, in Miscell. di studi in onore di E. Verga, Milano 1931, p. 286-320.
La data nel diritto.
Dal punto di vista giuridico si designa con l'espressione data l'indicazione del tempo e anche del luogo in cui un determinato documento è stato formato. A stretto rigore l'indicazione del luogo si potrebbe ritenere elemento non necessario ed essenziale della data, ma in fatto forma un unico contesto con l'indicazione del tempo, ed è poi considerata come parte integrante della data negli atti notarili, negli atti emanati dall'autorità giudiziaria, negli atti dello stato civile, negli atti e contratti commerciali (art. 55 cod. comm.). Prescindendo dal luogo, sono elementi necessarî della data il giorno, il mese e l'anno, espressi di consueto secondo le regole del calendario gregoriano, o anche con mezzi equipollenti, ritenuti validi, purché non equivoci, agli effetti giuridici. Non necessario è invece l'elemento dell'ora, ma questa indicazione è richiesta nella redazione degli atti dello stato civile (art. 352 cod. civ.).
Nel suo insieme la data è considerata dalle norme positive di diritto come elemento necessario, a pena di nullità, in talune scritture private, e cioè: nel testamento olografo (art. 775 cod. civ.), nella cambiale, nell'ordine in derrate, nell'assegno bancario, nella lettera di vettura e nella polizza di assicurazione (articoli 251,333,340,390,420 cod. comm.), negli atti notarili (legge sul notariato 16 febbraio 1913, articoli 51, 58), e infine in quasi tutti gli atti emanati dall'autorità giudiziaria (articoli, 21,360, 838, 864 cod. proc. civ.). In rapporto alla scrittura privata in genere, esclusi i casi indicati, la data non è ritenuta necessaria, non essendo richiesta espressamente dalla legge. Ordinariamente la data viene apposta, al fine di evitare la difficoltà di stabilirla con altri mezzi, nel caso che si presentasse la necessità di accertarla. In mancanza di data, nessun mezzo potrebbe essere escluso per provvedere all'accertamento tra le parti; nemmeno la prova testimoniale, senza le limitazioni stabilite nell'art. 1341 cod. civ., poiché in questo caso si tratterebbe non già di provare l'obbligazione o di fornir prova contro o in aggiunta all'atto scritto, ma solamente di completare l'atto per conferirgli piena efficacia (Giovene). Contro la comune affermazione per cui la data non è considerata necessaria per l'esistenza della scrittura privata, sono state peraltro mosse notevoli obiezioni: si è infatti sostenuto che - riguardata la scrittura sotto l'aspetto della sua efficacia documentale (probatoria), sia pure in limiti più ristretti dell'atto pubblico - la data debba ritenersi come un elemento indispensabile se non in fatto certo in diritto, cioè come un elemento in mancanza del quale la scrittura privata cesserebbe di essere un documento, non servendo a provare alcun lato della sua formazione (F. Carnelutti, La prova civile, Roma 1915, pp. 208-209).
Circa l'efficacia probatoria in rapporto alla data (data certa), occorre distinguere quella che deriva dall'atto pubblico da quella che deriva dalla scrittura privata. Nell'atto pubblico la data, essendo apposta per opera esclusiva del notaio o di altro pubblico ufficiale, dev'essere ritenuta vera, facendo piena fede, sia rispetto alle parti sia rispetto ai terzi, finché non vi sia iscrizione in falso. Nella scrittura privata invece non si accorda un'uguale efficacia alla data, poiché essendo la sua apposizione opera delle parti, può accadere che queste abbiano creato una data fittizia, anticipando o posticipando il momento in cui il loro contratto ha preso effettivamente vita, o facendo apparire concluso in un luogo un contratto concluso in un altro. L'efficacia probatoria della data è diversamente stabilita in rapporto alle parti, da un lato, e ai terzi, dall'altro. Tra le parti e i loro eredi e aventi causa, la data si ritiene vera fino a quando non venga contestata da colui contro il quale la scrittura è esibita e non venga fornita la prova della contestazione. Questa prova può essere fornita con tutti i mezzi ammessi dalla legge, e, ancorché la scrittura sia stata riconosciuta, non occorre ricorrere alla querela di falso, perché non si tratta di contestare che la data, nella sua espressione materiale, fu posta dalle parti o da una di esse, ma solo d'impugnare che la data risultante dallo scritto corrisponda alla vera. Una disciplina assai più rigorosa è stabilita in ordine all'efficacia probatoria della data rispetto ai terzi, cioè verso tutti coloro che non essendo intervenuti quali parti in una scrittura privata, sarebbero pregiudicati dall'apposizione di una data fittizia nei diritti personali o reali di cui sono investiti. Di fronte a costoro la data non esplica la sua efficacia probatoria, se non è divenuta certa in uno dei modi stabiliti dall'art. 1327 del cod. civ., per cui "la data delle scritture private non è certa e computabile riguardo ai terzi che dal giorno in cui esse sono state trascritte o depositate nell'ufficio del registro, dal giorno in cui è morto o posto nella fisica impossibilità di scrivere colui o uno di coloro che le hanno sottoscritte, o dal giorno in cui la sostanza delle medesime scritture è comprovata da atti stesi da pubblici ufficiali, come sarebbero i processi verbali di apposizione di sigilli o d'inventario, o quando la data risulta da altre prove equipollenti" (con "altre prove equipollenti" s'intende prove dello stesso genere di quelle sunnominate, cioè tali da determinare non solamente un grado di convincimento soggettivo, ma addirittura una certezza assoluta: per es., il timbro postale sul foglio della scrittura, il riscontro della scrittura in dispacci telegrafici, la legalizzazione della firma da parte di una pubblica autorità, ecc.).
L'art. 55 del cod. di comm. stabilisce, invece, che la data "può essere accertata, rispetto ai terzi, con tutti i mezzi di prova indicati nell'art. 44". Ciò importa che , in materia commerciale, la certezza della data può essere desunta tanto da elementi intrinseci all'atto (timbro postale, libri di commercio, fattura accettata, ecc.), quanto da elementi estrinseci, e quindi anche a mezzo di testimonî e di presunzioni. Per quanto riguarda l'emissione dei titoli all'ordine, le obbligazioni successive (accettazioni, avalli, girate) e le polizze di carico anche nominative e al portatore, la verità della data si presume fino a prova contraria (articoli 55, 558 cod. comm.).
Bibl.: C. Lessona, Teoria delle prove, III, 2ª ed., Firenze 1906; E. Redenti, La prova della data riguardo ai terzi, Roma 1915; A. Giovene, Il negozio giuridico rispetto ai terzi Torino 1917.