CRONENBERG, David
Regista cinematografico canadese, nato a Toronto il 15 marzo 1943. A partire dagli anni Sessanta C. ha fatto del cinema un luogo in cui porre questioni radicali sul rapporto tra il corpo umano e il contesto sociale, tra la psiche e il capitale, tra la percezione dell’uomo e lo sviluppo tecnologico. Questi conflitti trovano nella sua opera un’espressione prima orrorifica, poi caratterizzata da un realismo via via sempre più scarno e da un neoclassicismo figurativo comunque perturbante e respingente. L’evento narrativo alla base del suo cinema è quello del contagio, topos che nella cultura novecentesca è stato spesso strumento metaforico per la comprensione della contemporaneità (dalle teorie sociologiche di Gustave Le Bon sino ai sistemi di Serge Latouche, dalla memetica di Richard Brodie fino al viral marketing): figlio degli studi di Marshall McLuhan da un lato e degli immaginari di William S. Burroughs dall’altro, il cinema di C. sceglie l’immagine del virus e del suo propagarsi per raccontare il diffondersi di un mutamento, il deformarsi dei sensi umani a contatto con la tecnologia, l’omologarsi conforme e annichilente dei desideri. Mentre il mélo è il genere che scorre sottotraccia lungo tutta la sua produzione: genere della separazione, nei film di C. separa un prima e un dopo il contagio, la norma e la deformità, e narra di un desiderio costantemente frustrato, di un’unità non più ricostituibile, non soltanto a livello sentimentale, ma, letteralmente, fisico. Per la stessa ragione uno dei motivi ricorrenti del suo cinema è quello del doppio, declinato spesso nei termini di scontro tra fratelli, tra codici genetici identici e comportamenti difformi.
Dopo Spider (2002), da un romanzo di Patrick McGrath, film frantumato e faticosamente ricomponibile che mette in scena le associazioni mentali di uno schizofrenico, C. ha girato tre film (tutti interpretati da Viggo Mortensen) che hanno segnato un profondo cambiamento nella sua opera. Il primo, A history of violence (2005), tratto da una graphic novel di John Wagner e suo massimo incasso al botteghino, è il racconto efferato, pulp e glaciale, della doppia esistenza di un uomo costretto a lasciar riaffiorare il proprio passato criminale. Il successivo Eastern promises (2007; La promessa dell’assassino), gangster movie ambientato nel cuore del meltin’pot londinese, induce costantemente lo spettatore a interrogarsi sulla morale del suo protagonista imperscrutabile, che con le sue scelte finisce comunque per perpetuare la logica di un sistema di potere mafioso e globale, come richiesto dalle dinamiche del mercato. Chiude la trilogia A dangerous method (2011), un biopic dedicato ai rapporti intercorsi tra Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e Sabina Spielrein, basato su un testo teatrale adattato da Christopher Hampton: qui C. si concentra sulle parole della psicoanalisi e sullo scacco del linguaggio nell’indagare il senso ottuso dei corpi, con immagini che dal realismo in costume si deformano sottilmente nel grottesco, mentre le parole continuano a scorrere, con sottile e crudele umorismo. La contemplazione e l’interrogazione della superficie, la ricerca dei sintomi del mutamento interiore, del male profondo caratterizzano anche Cosmopolis (2012) e Maps to the stars (2014), come tutto il lavoro di C. a partire da A history of violence. Il primo, tratto dall’omonimo romanzo di Don deLillo, legge nello svuotamento espressivo del personaggio principale (il teen idol Robert Pattinson, protagonista della saga Twilight) l’astrarsi alienante del capitalismo finanziario, fatto di dati e flussi informativi che non trovano corrispettivo nel reale, che non esistono in uno spazio-tempo tangibile, ma che del reale decidono le sorti. A C. interessa la separazione tra il destino di un mondo ridotto a strisce di dati informatici e il corpo, tra la smaterializzazione di ogni cosa e la materia umana ridotta a residuo, a eccesso violento e disarmonico. Per il secondo film (basato su una sceneggiatura di Bruce Wagner), che è anche il primo girato da C. negli Stati Uniti, ha scelto Hollywood come set per raccontare le vicende di uomini e donne interessati esclusivamente a produrre immagini di sé (in TV, sui tabloid, sui social network) nel corso di un’esistenza edonista e narcisistica che dimentica di rispettare il reale, eludendo il concetto di morale.
Nel 2005, con l’Associazione Volumina di Torino, ha realizzato il libro d’arte Red cars, basato su materiale raccolto per un progetto mai realizzato sulla rivalità, negli anni Sessanta, tra i piloti della Ferrari Phil Hill e Wolfgang von Trips, quest’ultimo morto nel 1961 a Monza in un incidente che causò 15 vittime, nel solco dei suoi film Fast company (1979; Veloci di mestiere) e Crash (1996). Nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo, Consumed (trad. it. Divorati, 2014), anticipato dal book trailer The nest, che ritorna all’estetica del body horror con cui aveva esordito nel cinema, raggirando per merito della scrittura i limiti del mostrabile e aggiornando l’antica poetica al nuovo contesto sociale e mediale.
Bibliografia: G. Canova, David Cronenberg, 3a ed. aggiornata, Milano 2007; C. Bartolini, Videocronenberg, Milano 2012.