Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Percezione e rappresentazione della realtà, movimento dello sguardo dell’osservatore e dinamicità dello spazio. Queste le caratteristiche della ricerca artistica di David Hockney. Un’indagine sviluppata attraverso la sperimentazione dei più svariati mezzi espressivi, ognuno dei quali approfondito fino a una totale padronanza dei risultati. Hockney passa dalla pittura al disegno, alla fotografia, esplorando anche i diversi mezzi messi a disposizione dalle nuove tecnologie (fax, fotocopiatrici, stampanti laser).
Visioni e vedute
“Credo che ci siano persone che vedono il mondo prima attraverso gli occhi che attraverso le loro facoltà intellettive”. La percezione visiva e la rappresentazione della realtà sono le due tematiche che caratterizzano maggiormente l’opera di David Hockney.
Non è semplice definire limiti e confini di un’indagine artistica così complessa e articolata, nella quale tuttavia si possono evidenziare varie fasi e problematiche ricorrenti. L’attenzione dell’artista sembra focalizzarsi inizialmente sulla pittura per poi passare al disegno e, infine, alla fotografia e a tutti i mezzi di riproduzione “di massa” (fotocopie, incisioni, litografie, stampa laser, stampa in offset, fax). In realtà Hockney usa la fotografia sin dall’inizio e, dalla metà degli anni Sessanta, comincia a lavorare per il teatro come scenografo. Ma ciò che lo interessa maggiormente è quella che lui stesso definisce la “veridicità del medium”. La sua ricerca, infatti, si muove nell’ambito dei più svariati mezzi, senza mai tentare di creare nuova sintesi tra differenti polarità espressive, ma con l’attenzione rivolta a generare una totale libertà di movimento tra le diverse possibilità, sostenendo, in modo molto deciso, la necessità di un’arte che sia accessibile a tutti. Oltre alle “aree mediatiche” in cui Hockney ha sviluppato la propria analisi, possiamo individuare alcune grandi categorie tematiche da lui esplorate: dai ritratti ai paesaggi, dalle nature morte alle scene di genere. In ogni caso, nelle sue serie di dipinti, incisioni e photocollage l’attenzione è sempre rivolta al problema della rappresentazione nell’accezione più classica del termine: la raffigurazione della realtà che ci circonda.
“Sempre un soggetto e un po’ di forma”, spazio e bordi
“Sentivo che ero un artista piuttosto tradizionale e un pittore nel senso che per me la pittura doveva avere un contenuto [...] i miei dipinti hanno un contenuto, sempre un soggetto e un po’ di forma. E io ero tradizionale nel senso che sentivo di dovermi bilanciare tra queste due cose [soggetto e forma] per fare davvero della buona pittura. ”È proprio intorno a questo aspetto “convenzionale” del dipingere che Hockney svilupperà il proprio lavoro, da un lato assimilando l’idea di composizione pittorica e di osservazione della realtà, dall’altro rifiutando elementi compositivi fondamentali nella pittura occidentale (a partire dal Rinascimento) quali, ad esempio, il punto di vista prospettico fisso e la rappresentazione canonica dello spazio. “Con la prospettiva fissa, il tempo si ferma e da questo momento lo spazio è diventato congelato, pietrificato. La prospettiva esclude il corpo dell’osservatore. Hai un punto fisso, non hai movimento; in breve, non sei lì”.
In seguito, la scoperta dei kakemono (rotoli di pittura cinesi), suggerisce a Hockney un diverso approccio alla spazialità e al movimento dell’occhio all’interno dello spazio e del tempo del quadro.
“[La tradizione occidentale] restringe lo spazio a un unico punto di vista rappresentato come attraverso una porta aperta; [quella Cinese] suggerisce lo spazio illimitato della natura come se avessero camminato oltre quella porta e conosciuto d’improvviso l’esperienza mozzafiato dello spazio esteso in ogni direzione e all’infinito fino al cielo”. Si lega a questo il problema del bordo dell’immagine, del margine, del confine sia del quadro che della percezione, del movimento dell’occhio dell’osservatore. Soprattutto nella realizzazione dei paesaggi, la questione della cornice assumerà una grande importanza e Hockney arriverà a realizzare una propria costruzione del paesaggio in cui introdurrà il concetto di spettatore mobile, uno spettatore, cioè, che deve fisicamente muoversi, percorrere il quadro, per guardare ciò che ha di fronte. “Tutte le immagini sono artificiali perché qualcuno ne ha definito i bordi. Quando si definisce il bordo di un’immagine si ‘redige’ il mondo. Si prende una decisione e si impone qualcosa. Per questo motivo mi interessa tanto il rotolo cinese di immagini, perché esso si basa su un’altra concezione del bordo”.
Incontri
David Hockney arriva a Londra nel 1959 per seguire i corsi del Royal College of Art. Oltre alla formazione accademica è essenziale l’incontro con Ronald B. Kitaj, da cui nascono le discussioni e gli scambi che faranno di lui un prolifico teorico dell’arte. Sarà proprio in questi anni che formulerà un’ostinata difesa della pittura figurativa e dell’importanza della presenza della figura umana nel quadro. Gli studi portano David Hockney a confrontarsi con i più grandi maestri dell’arte contemporanea. In questo periodo sperimenta un tipo di pittura chiaramente ispirata a Jean Dubuffet. Ma è la mostra su Picasso a Londra nel 1960 che gli fa eleggere l’artista a suo modello. Dell’artista spagnolo e del cubismo lo interessano soprattutto l’indagine spaziale e la rappresentazione “realistica” degli oggetti raffigurati nel modo in cui vengono pensati più che nel modo in cui si vedono.
Già vicino agli ambienti omosessuali londinesi, nel 1961 Hockney visita New York dove trova una libertà di costumi, anche sessuali, impensabile in Gran Bretagna. Sono di questo periodo (1960-1961) i cosiddetti Love paintings, in cui raffigura coppie (quasi sempre di uomini) in atteggiamenti di tenerezza o velata sensualità. Molto spesso i temi da lui trattati hanno una forte relazione con problematiche sociali, ma la sua “denuncia” non assume mai toni aggressivi, c’è invece grande attenzione per la complessità delle relazioni. Sempre in questi anni comincia a realizzare incisioni che continuerà poi a produrre sperimentando diverse tecniche di stampa.
“Cominciai a fare dei lavori di grafica nel 1961 perché non avevo soldi e non potevo comprarmi i colori e al Dipartimento di Grafica fornivano i materiali gratuitamente. Quindi, cominciai le incisioni”.
Los Angeles e gli intervalli europei
Alla fine del 1963 visita Los Angeles ed è attratto a tal punto dallo stile di vita di questa città che decide di trasferirvisi. Con l’arrivo in California comincia a utilizzare colori acrilici, molto luminosi ma nello stesso tempo artificiali, sintetici, freddi. L’atmosfera della città, la luce, il paesaggio, la vita quotidiana, diventeranno soggetto di molte opere. Tra il 1965 e il 1966 realizza la serie delle Piscine. Il suo interesse per la trasparenza e i riflessi di luce lo porta a dipingere sempre più spesso superfici “mobili”: specchi, vetri, acqua. Le Piscine costituiscono una tappa decisiva nel suo percorso di riflessione sulla rappresentazione. Come molte tele di questo periodo, anche queste sono bordate di bianco a ricordare i margini di una fotografia: artificiale, bidimensionale. Nel 1968 torna in Gran Bretagna (si trasferirà definitivamente a Los Angeles nel 1981) e, nel 1970, si inaugura la sua prima grande retrospettiva a Londra, alla Whitechapel Gallery.
Tra il 1973 e il 1974 vive a Parigi, dove frequenta Aldo e Piero Crommelynck, che erano stati gli stampatori di Picasso, morto lo stesso anno. Frequentando la stamperia apprende nuove tecniche d’incisione e di stampa e realizza una serie di acqueforti ispirate al maestro. Negli anni successivi inizia un’importante attività di scenografo per il teatro. La prima commissione di questo genere era stata per una produzione di Ubu Roi di Alfred Jarry al Royal Court Theatre a Londra nel 1966. Nel 1974 ritorna alla produzione scenografica, che porta avanti ancora oggi, disegnando le scene di Rake’s Progress di Stravinskij per il Festival di Glyndebourne.
La visione ordinaria di un Ciclope. Hockney e la fotografia
Continuando a muoversi con estrema curiosità all’interno delle varie possibilità espressive, dal 1982 Hockney sperimenta l’uso della macchina fotografica, pur dichiarando di non credere nella verità di quel medium. “La fotografia va bene se non ti importa di guardare il mondo dal punto di vista di un Ciclope paralizzato, per una frazione di secondo”. In realtà, gli scatti Holiday snaps (serie di foto “ordinarie” di soggetti familiari, stampate in negozi comuni – quindi senza alcuna considerazione per la resa estetica dei colori e per lo sviluppo – e ordinate in album come se fossero foto di vacanze), erano cominciati nel 1963 e da quel momento la fotografia era diventata la base per la progettazione della maggior parte dei suoi quadri.
Il problema maggiore che la fotografia pone a Hockney resta quello dello spazio. Nascono così i photocollage (il primo, Gran Canyon, 1982), cioè ricostruzioni di un’immagine completa attraverso l’unione di una serie di dettagli fotografati individualmente; in questo modo Hockney si svincola dalla costrizione di un unico punto di vista immobile. La sensazione che si prova guardandoli è di muoversi nello spazio della rappresentazione. All’inizio i photocollage sono immagini composite di Polaroid disposte in una griglia rettangolare con cui studia il problema della suddivisione delle superfici seguendo l’ottica “non naturalistica” dettata dai cubisti: le superfici non possono collegarsi l’una all’altra, a causa del bordo bianco delle foto, e l’illusione di uno spazio tridimensionale non si produce automaticamente. Con gli scatti a 35 mm, che utilizza successivamente, invece, lo spazio diventa più fluido. In questi lavori è forte l’influenza delle combinazioni di luci e colori delle scenografie teatrali. Partendo dalla fotografia si rivolge verso ogni tipo di innovazione tecnologica in modo piuttosto ossessivo.
Tempi di riproduzione: laser, fotocopie
Nel 1986 Hockney inizia a esplorare nuovi percorsi creativi della stampa lavorando con fotocopie a colori e stampanti laser. Nel 1989 invia alcune opere per la Biennale di São Paulo via fax, macchina che, apparentemente, sembra eliminare il fattore temporale che in realtà resta ben presente nei tempi di esecuzione, osservazione e trasmissione. È del 1990-1991 la serie 112 L.A. Visitors in cui tutti gli ospiti di Hockney vengono ripresi con una videocamera fissa e le immagini digitali scaricate su un computer e stampate con una stampante laser a colori. Nel 1992 comincia la serie dei Very New Paintings: la sensazione dello spettatore è di essere completamente immerso nel paesaggio e non di guardarlo dall’esterno come osservatore passivo. La struttura “architettonica” del paesaggio resta ma si tratta di paesaggi stilizzati, quasi astratti. Inizia in questi anni la collaborazione con lo stampatore Ken Tyler, con cui produce numerose acqueforti e litografie.
Nonostante la vastità della sua opera e dei mezzi utilizzati, David Hockney resta uno degli artisti più solidi e coerenti della seconda metà del Novecento. Oltre alla straordinaria qualità estetica, la sua opera mantiene ancora oggi una particolare attualità e Hockney è un importante modello di riferimento per molti giovani artisti.