CHIOSSONE, David Michele
Nacque a Genova il 29 ott. 1820 da Giambattista e da Antonietta Calcagno. La passione per il teatro si manifestò in lui precocemente. "Cominciò a scrivere a 13 anni brevi scene, ch'egli mandava per posta ai capocomici senza nome d'autore, ed alla rappresentazione delle quali assisteva poi in incognito da un angolo della platea" (Diz. d. Risorg. naz.);verso la metà degli anni '30 collaborò anche con novelle e poesie a vari giornali genovesi. Quest'immagine dell'adolescenza del C. fu certamente ingrandita nelle proporzioni dalla retorica commemorativa all'indomani della sua scomparsa, principale ispiratore A. G. Barrili col suo necrologio; ma nell'arbitrio degli amichevoli ricordi può leggersi un tratto autentico: il C. fu "poeta" adolescenziale, istintivo, di un'ispirazione non convenzionale anche se destinata ad esiti di convenzione per incuria critica.
La prima produzione firmata dal C. (forse del 1834) fu La figlia del corso (poistampata anche come La figlia di un corso), opera di maniera romantica rappresentata più tardi, nel 1844 (Firenze, teatro dei Cocomero, compagnia Mascherpa; cfr. l'edizione postuma dell'opera, Milano 1874). Nella seconda metà degli anni '30 il C. si dedicò principalmente a tradurre con libertà alcune commedie straniere. Vennero così Le astuzie di Vespina, da Scribe, atto unico rappresentato a Piacenza al teatro Comunale dalla comp. Lipparini il 7 marzo 1837, Nessun uomo, commedia in due atti ridotta dall'inglese (1840), e Il custode di due donne (1840). Nel 1845 il C. prese la laurea in medicina e contemporaneamente cominciò a intrattenere fruttuosi rapporti con le più importanti compagnie teatrali di giro. Attraverso questo rapporto diretto con la pratica viva del teatro, cominciò a liberarsi dalla soggezione ai più convenzionali moduli di scrittura teatrale: il "dramma sociale umanitario" e la "commedia italiana" d'imitazione goldoniana, di cui fu esempio Sogno d'oro (cfr. Enc. Ital.). Ma già nella Sorella del cieco, "dramma umanitario" del 1846, il C. aveva qualcosa di più di una vicenda di convenzione, rappresentandovi l'angoscia per la malattia agli occhi che lo aveva colpito e che andava aggravandosi.
Del 1848 fu il suo primo rilevante successo, La suonatrice d'arpa, "forse il più popolare dei moderni drammi italiani" (Barrili), portato poi al trionfo dalla Ristori e da Virginia Marini al fianco di Tommaso Salvini.
La suonatrice d'arpa s'inserì nella tradizione del teatro popolare d'educazione e non a caso, in quel periodo, sull'onda dell'entusiasmo patriottico, il C. aveva tentato la via della poesia civile, pur estranea alle sue corde: Viva l'Italia, canto popolare nazionale (musicato dal maestro G. Novella); Dio a Pio IX, Pio IX a Dio, canti biblici; A Carlo Alberto, canto biblico;e al contempo aveva preso a scrivere articoli patriottici sul Mondo illustrato di Genova (1847-48).
Successivamente, dopo la sconfitta di Novara, il C. promosse insieme con altri la commissione, poi Comitato genovese di soccorsi per l'emigrazione italiana (manifesto del 16 genn. 1850), che nasceva con un programma di "grande imparzialità, non volendosi fare lo strumento di alcuna opinione", basato sulla creazione di un fondo e su iniziative editoriali di solidarietà (cfr. G. Mazzini).
Fu questo ancora il periodo di'più intensa attività drammaturgica del C., se pur non il più felice per risultati. Del 1849 sono: La sua immagine, commedia, e L'ultimo addio, dramma rappresentato per la prima volta ad Ancona, al teatro delle Muse, dalla Compagnia Romana ("Vi sono in questo lavoro tutti quegli effetti che rendono l'arte convenzionale": Catanzaro, 1876). Ancora nel 1850 (6 febbraio) il C. tornò al successo con una commedia in tre atti, La fioraia, rappresentata al teatro S. Agostino di Genova dalla compagnia di F. A. Bon, opera di transizione verso le maggiori che egli realizzò nel quinquennio 1857-62.
Del 1857 è Cuore di marinaro, dramma scritto per Gustavo Modena e messo in scena prima ad Acqui l'8 novembre, poi a Genova l'11 dicembre al teatro Andrea Doria, e infine premiato a Torino per il concorso governativo al teatro Carignano poco dopo.
"Drammetto famigliare lo definì G. Modena in privato, eppure fatto d'ingredienti di successo: il grigio sfondo di un miserevole orfanotrofio.; una ragazza che vi ha passato tutta la sua vita per la morte della madre; il suo amore per un maestro; il ravvedimento del padre che l'ha abbandonata; la collera del nonno - il marinaio - per lui; infine il perdono. Dramma dei riconoscimenti, dei sacrifici, della speranza; quale storia ideologica più toccante per la borghesia italiana alla vigilia dell'Unità? Il Modena trasformò quell'operina, gradita al governo cavouriano, nel suo ultimo grande successo, fiacendone un pezzo iecitativo d'aita scuola sulle angosce e i rancori di un vecchio. Tagliò il dramma, inserì delle note comiche nel suo personaggio (G. Modena, Epistolario), sperimentò una recitazione di autoanalisi psicologica anticipatrice delle tecniche stanislavskijane (cfr. la prefaz. del C. nell'ediz. pubbl. postuma, Milano 1874). Cuore di marinaro sidimostrò dunque un valido strumento di valorizzazione dell'arte dei Modena. Se l'epoca d'oro del grande attore all'italiana si realizzò fra l'altro a spese di una scrittura teatrale flinzionalizzata, essa suscitò al contempo una dimensione antiaccademica fra gli scrittori, nella direzione della drammaturgia di adattamento; e come Dramaturg, il C. non sfigurò al fianco dei suoi amici letterati, il poeta Ippolito D'Aste e I' "incantatore" Paolo Giacometti.
"Combineremo un matrimonio de' tuoi occhi con le mie orecchie" aveva scritto scherzosamente il Modena al C., alludendo ai reciproci malanni; le loro strade però poi si separarono. Quegli non accettò di dirigere una compagnia di dilettanti a Genova, come il C. avrebbe voluto, e sì appartò polemico verso i moderati, nel cui novero poneva anche l'autore del Cuore di marinaro; il C. invece continuò per la sua via e nel 1860 realizzò la sua pièce più sentita, Illibro dei ricordi, un'opera fra il dramma e la conunedia, dove finalmente riuscì a rilevare personaggi credibili attraverso un "dialogo ben condotto". Il lavoro andò in scena il 2 genn. 1860 al teatro Valle di Roma, recitato dalla compagnia di Luigi, Bellotti Bon.
Sui quarant'anni, il C. riprese l'attività patriottica (che sempre coincise con i momenti'di più intensa produzione drammatica, corrispondendo ad un'unica "passione"). Divenne presidente della sezione genovese del ricostituito Comitato di soccorso e di un Comitato di solidarietà per le famiglie dei garibaldini. In parallelo, a teatro. realizzò come un appello al rinnovamento politico La torredi Babele, commedia in quattro atti messa in scena al teatro Carignano di Torino il 17 febbr. 1862, ancora da L. Bellotti Bon.
Una parte della critica fu severa verso questo lavoro che pure ricevette un'"accoglienza festosa". L. E. Tittari ne scrisse come di una commedia dozzinale, chiassosa, sproporzionata, anacronistica: "L'autore del Libro dei ricordi ha dato prova di conoscere assai profondamente il cuore umano.... Si dedichi dunque al dramma ... e lasci ad altri il trattare la commedia d'intrigo". La commedia però, anche se fondata su una paradossale meccanicità d'effetti, coi suoi motivi dichiaratamente propagandistici, non dispiace; atto di sfiducia verso le riposanti sponde del letterario teatro d'educazione, è come un'invettiva di un Tartufo alla rovescia, l'avvocato Cesare che, giunto in un castello presso Perugia, svela le molteplici ipocrisie di una famiglia aristocratica.
In quegli anni il C. scriveva di sé: "Non ho mai preteso di essere poeta ed ho invece la spoetizzante abitudine di fare il medico... ma se il cuore è poeta allora anch'io ho la mia parte d'ambizione" (lettera inedita da Genova, 5 maggio 186 1). Il C. non fu certo "fra i principali autori del nuovo teatro italiano", come scrisse il Poggi (Diz. d. Risorg. naz.); fupiuttosto un dilettante del teatro, collaboratore di grandi attori, testimone di un'epoca teatrale che tendeva alla maturità dello spettacolo borghese, cui contribuì, ma da cui in definitiva fumesso al margini per i suoi scarti di gusto e per le sue incongruenze ideologiche. Né il C. riuscì a far vivere nelle sue opere certi suoi tratti anticonformisti di vita: la sua matrice illuminista, la sua diffidenza verso i ruoli intellettuali della "nuova società", la sua operosità pratica di medico, diversa da tante fittizie catarsi. del suo teatro. Teatro che, nella sua idea, rimase per lo più condizionato da una concezione consolatoria delle disillusioni. Se il "cuore" fu il distintivo ideologico del personaggio, bisognerà tuttavia distinguere lo scrittore dal medico e divulgatore scientifico. Come drammaturgo, il C. "visse in un periodo di transizione e di ciò risentì nei suoi drammi... che hanno tutti i pregi e i difetti, della prima e della seconda [scuola del secolo]" (Catanzaro, 1876); unica loro coerenza interna rimanendo la "sincerità rapita": ancora nei suoi ultimi anni il C. ricorderà la nascita dei suoi drammi maggiori come una sorta di liberazione da uno stato confusionale, quando i turbamenti della malattia si sostituirono ai turbametiti dell'adolescenza nella sfera dell'ispirazione (cfr. la prefazione del C. a La torre di Babele).
Come medico, invece, il C. si adoperò da riformatore e seppe farsi apprezzare specie per il suo trattato digiene, Il dottorOmobono, titolo che gli rimase poi nella vita come soprannome. Fu questa seconda attività a caratterizzare il suo ultimo decennio di vita.
Fu "consigliere e poi assessore all'Igiene nel municipio di Genova, fondò uno speciale ufficio per i servizi igienici della città, diffuse nel popolo l'uso delle vaccinazioni, migliorò il servizio necroscopico, istituì le farmacie notturne, diresse con mirabille abnegazione l'assistenza pubblica nelle epidemie coleriche del 1866-67, Tenne inoltre nel 1865 la vicepresidenza degli, ospedali civili" e nel 1868 fondò l'Istituto dei ciechi di Genova (Diz. d. Risorg. naz.).
Morì a Genova il 25 agosto 1873.
Opere: Il custode di due donne, Milano 1840; Nessun uomo, ibid. 1840; Scene di famiglia, ibid. 1845; Rosetta: scena di famiglia, ibid. 1846; Viva l'Italia, Genova 1847; Dio a Pio IX, Pio IX a Dio, ibid. 1847; A Carlo Alberto, ibid. 1847; La Costituzione del re Carlo Alberto, ibid. 1848; Le astuzie di Fespina, Spoleto 1849; La figlia del corso, ibid. 1849; La sua immagine, ibid. 1849; In morte di Pietro de Rossi di Santarosa, Genova 1850; La sorella del cieco, Firenze 1852; La suonatrice d'arpa, ibid. 1853 (ripubbl. in trad. francese Emilie ou lajoueuse de harpe, Rome 1880); L'ultimo addio, Firenze 1855; Teresina. Scene di famiglia, Genova 1858; Il matrimonio per concorso (melodramma scritto in coll. con D. Bancalari, mus. S. A. De Ferrari), Milano-Genova 1858; Il dottor Omobono, Genova 1865; Dei miglioramenti igienici introdotti in Genova nel ventennio 1846-1866, ibid. 1867; Il cholera morbus in Genova nell'anno 1867, ibid. 1868; La fioraia, Milano 1872; Lo stratagemma di Carolina, ibid. 1873; Il libro dei ricordi, 2 ediz., ibid. 1874; La torre di Babele, ibid. 1875 (con prefaz. del C.); L'ingegno e la dote, ibid. 1876; Cuore di marinaro, ibid. 1874 (con prefazione del C.); Cuore e denari, ibid. 1888; Zefiro e Floro, ibid. 1888. Inoltre: Il cantodegli italiani, e Cento sunetti zeneixi, senza indic. di luogo e data; O marcheize a Zena, Genova s.d.; Mente e cuore, Milano s. d.
Fonti E Bibl.: Necrol. di A. G. Barrili, D. C., in Il Movimento (Genova), 27 ag. 1873. Un, gruppo di lettere del C. scritte fra il 1860 e il 1863 si trova inedito presso la Bibl. del Burcardo di Roma, Autogr. 399, Cfr. inoltre: Ed. naz. degli scritti di G. Mazzini, Epistolario, XXII, p.237; Le carte di A. Bertani, Milano 1962, ad Indicem;G. Modena, Epistolario, a cura di T. Grandi, Roma 1955, adIndices;L. E. Tittari, Gran ressa al Gerbino, in IlMonitore degli spettacoli, 4 dic. 1862; C. Catanzaro, D. C.: profilo critico-biografico, Milano 1874; Id., Cari estinti, Siena 1876, pp. 81-92; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano1934, ad Ind.;M. Ciravegna, L'emigraz. polit. a Genova dalla caduta della Rep. romana al moto di Milano del 1853, in L'emigraz. pol. inGenova ed in Liguria dal 1848 al 1857, III, Modena 1957, p. 498; V. Monaco, La repubblica del teatro, Firenze 1968, pp. 87-144 passim; Diz. del Risorg. nazionale, II, p. 679; Enc. Italiana, X, p. 139.