DAVID
Nacque intorno al secondo decennio del sec. XIII, verosimilmente a Siena, da nobile famiglia di parte ghibellina.
Le fonti note, che pure sottolineano - anche se in modo molto generico - l'elevatezza delle origini di D., non riferiscono il nome di suo padre né forniscono ragguagli utili per una identificazione della famiglia cui egli appartenne. Tuttavia l'Ugurgieri Azzolini nella prima stesura delle Pompe sanesi sostenne che D. discendeva dalla famiglia senese dei Dandini; ma in successive aggiunte manoscritte alla sua opera avanzò l'ipotesi che fosse figlio di Uguccione di Bandino Patrizi, esponente della nobiltà senese, e che il cognome Dandini si dovesse considerare una lectio facilior del genitivo del nome Bandino. L'appartenenza di D. alla famiglia Dandini fu sostenuta pure dal primo biografo di D., il Libanori, il quale affermò, senza alcuna prova, che D. era figlio di Ugone, noto esponente ghibellino. Questa affermazione fu accolta come dato di fatto dagli eruditi successivi.Dopo avere compiuto gli studi ed essersi addottorato probabilmente in utroque presso l'università di Siena, D. abbracciò la vita religiosa. Nel 1250 entrò come novizio nel cenobio cisterciense di S. Galgano, presso, Monte Siepi in diocesi di Volterra. Ebbè tra i compagni di noviziato Giacomo da Montieri dei Malespini e Ranieri Belforti; suo maestro fu il priore Ottone Malavolti. Il 25 marzo dell'anno seguente fece la sua professione solenne e fu accolto nellà comunità monastica. Negli ultimi mesi dello stesso 1251 fece parte del gruppo di confratelli che accompagnò a Perugia l'abate di S. Galgano, ove doveva incontrarsi col papa Innocenzo IV, allora residente nella città umbra. Poco dopo fu inviato - lui di famiglia ghibellina - a Siena insieme col confratello Ranieri Belforti, di famiglia guelfa, col compito di pacificare la città, sconvolta dalle lotte tra le fazioni, esplose dopo la morte di Federico II di Svevia. In S. Galgano seppe meritarsi anche la stima dei suoi confratelli, tanto che alla morte dell'abate Forese fu, nonostante la sua giovane età, compreso nella rosa dei candidati alla successione. Preferì rinunziare, per favorire l'elezione di Ranieri Belforti (1254, secondo il Libanori). Accompagnò quindi il nuovo abate, quando questi si recò a Citeaux per il capitolo generale dell'Ordine. In questa occasione fu utilizzato come consigliere giuridico dallo stesso priore generale Guido (III).
Al suo ritorno in Italia venne nominato prefetto delle fabbriche del monastero. Nel 1265 accompagnò l'abate Ranieri a Perugia, dove il consiglio dell'Ordine, composto dagli abati di La Ferté, di Pontigny, di Clairvaux e di Morimond si era riunito sotto la presidenza del nuovo papa Clemente IV, per trovare una soluzione alla vertenza apertasi nel 1262 con l'elezione dell'abate di Citeaux Giacomo (II). In quella occasione D. stese per il pontefice una relazione, che costituì la base della bolla Parva fons qui pubblicata il 9 maggio di quello stesso anno e contenente la "determinatio multarum difficultatum tunc in Cisterciensi ordine pendentium", raggiunta attraverso una serie di provvedimenti di riforma, che avevano come obbiettivo quello di ricostituire "in summa pace" l'Ordine stesso.
Nel successivo 1266 D. venne nominato dal papa suo vicario generale per la riforma dell'eremo di Camaldoli e delle comunità da esso dipendenti: mantenne tale ufficio sino alla fine del settimo decennio del secolo, dimostrando notevole intelligenza e profonda saggezza nell'operare. Nel 1270 aveva già fatto ritorno nel suo eremo: di lì si mosse infatti nell'estate di quello stesso anno per trattare, a nome di Guido da Monforte, vicario e luogotenente generale di Carlo d'Angiò in Toscana, la pace con Siena ed il rientro dei fuorusciti guelfi. L'accordo venne giurato il 15 agosto e in quella occasione D. ebbe anche una parte notevole nella formulazione della riforma costituzionale, che venne allora attuata nella città e che vide, tra l'altro, l'istituzione della magistratura dei Trentasei capitani di parte (Libanori, pp. 77 s.).
Venuto a morte in quello stesso anno 1270 il vescovo di Sovana (Grosseto) Teodino, il capitolo di quella cattedrale, su indicazione del signore della città, Ildebrandino Aldobrandeschi, elesse a succedere al presule scomparso proprio D., che, ricevuta nell'eremo di S. Galgano, dov'era nel frattempo rientrato, la delegazione inviata dal clero e dal signore sovanese, rifiutò l'alto incarico. Si era, in quel momento, in un periodo di vacanza della Sede apostolica, apertosi con la morte del papa Clemente IV (29 nov. 1268): il timore che la mancata approvazione potesse costituire un vizio tale da invalidare la sua elezione, dovette senza dubbio essere tra i motivi del diniego. Infatti D. si acconciò ad accettare solo quando fu elevato al soglio di Pietro, col nome di dregorio X, Tebaldo Visconti (cons. 27 marzo 1272), ed il nuovo pontefice, raggiunto a Firenze dai legati dell'Aldobrandeschi, gli ebbe ordinato di assumere "per obbedienza" il governo della Chiesa sovanese (breve del 15 ott. 1272). Ottenuta in tal modo la ratifica pontificia, D. si recò a Firenze, dove si trovava il papa e dove fu consacrato dal vescovo di quella città, Giovanni Mangiadori.
D., secondo quanto afferma il Libanori, non prese immediatamente possesso della sede episcopale: seguì infatti il papa, che si recò negli ultimi mesi dell'anno a Lione, e partecipò ai lavori del concilio ivi convocato. Nominato tesoriere per l'Italia delle collette per la Terrasanta, fu inviato nel 1273 come nunzio straordinario presso Rodolfo I d'Asburgo, eletto nell'ottobre re di Germania e dei Romani, per presentare a quest'ultimo le congratulazioni del pontefice. Solo quando il papa fu di ritorno in Arezzo, D. poté lasciare la Curia e fare solenne ingresso nella sua diocesi.
Incisiva fu l'azione di D. come vescovo di Sovana. Prendendo a cuore la salute spirituale del popolo confidatogli, compì regolarmente e di persona periodiche visite pastorali, di cui volle egli stesso curare e conservare i registri. Tenne, nel terzo anno del suo episcopato, una sinodo diocesana per la riforma dei costumi del clero e per provvedere ad una regolare officiatura delle chiese di Sovana e del suo territorio. Introdusse nella diocesi i francescani, per i quali fece costruire un monastero e una chiesa in località Pietra Lunga fra Piancastagnaio e Aspertula su un terreno già di proprietà degli Aldobrandeschi: per sottolineare l'importanza dell'evento, D. volle presiedere nel 1273 alla cerimonia della posa della prima pietra della futura chiesa, che sarebbe stata dedicata a S. Bartolomeo. Poiché cinque anni più tardi la chiesa e gli annessi edifici monastici non erano ancora stati ultimati, D., per accelerare il completamento del monastero, Concesse l'indulgenza di quaranta giorni a tutti quei fedeli che avessero contribuito con offerte in denaro o Con prestazioni d'opera al completamento del complesso edilizio. Il desiderio di terminare i lavori era pienamente giustificato dalla necessità di trasferire nel nuovo monastero i frati minori francescani che aveva nel frattempo installato nel vetusto monastero del Crocifisso, ormai quasi in rovina.
D'altro canto si deve tener presente che l'azione pastorale di D. si sviluppava nel quadro della politica espansionistica portata avanti in quegli anni da Ildebrandino Aldobrandeschi. Così, dopo la conquista di Piancastagnaio da parte delle milizie aldobrandinesche, impose un sacerdote di propria nomina nella chiesa di S. Maria del Piano a fianco di un altro presbitero scelto dall'abbazia di S. Salvatore. Nel 1279 fu incaricato dal pontefice Niccolò III di risolvere, insieme con il preposito di Sovana Gualtieri, un'annosa vertenza tra il vescovo di Grosseto e l'abbazia di, S. Salvatore sul Monte Amiata circa la giurisdizione ordinaria, civile e criminale sopra la chiesa di S. Maria del Piano. D. emanò due lodi arbitrali in data 3 febbraio e 7 marzo 1280, nei quali, avvalendosi del consiglio del preposito Gualtieri, riconobbe il diritto giurisdizionale sulla chiesa di S. Maria del Piano al monastero di S. Salvatore.
Secondo il Libanori, D. sarebbe stato consigliere dello stesso Ildebrandino Aldobrandeschi, il quale lo avrebbe istituito, morendo, tutore della figlia Margherita. Sempre secondo il Libanori, avrebbe governato, come visitatore, la Chiesa senese dopo la tragica morte del vescovo Bandino, sino al 1282, quando Martino IV elevò a quella sede Uguccione Malavolti. Un importante ruolo di mediazione tra il Comune di Siena e Carlo d'Angiò egli avrebbe svolto in quei medesimi anni. Testimonianza dei buoni rapporti che lo avrebbero legato al principe francese starebbe. nel fatto che egli avrebbe tenuto a battesimo come padrino la figlia di Carlo d'Angiò.
Ammalatosi, fece testamento dividendo i suoi beni tra i poveri, l'eremo di S. Galgano ed il pagamento dei debiti. Confortato dagli abati Ranieri di Monte Siepi e Gerardo di S. Salvatore all'Amiata, morì a Sovana il 25 sett. 1283.
Il suo successore fu eletto, dopo molte rinunzie da parte degli ecclesiastici designati a tale carica dal capitolo della Chiesa sovanese, nella persona di Marco, canonico e cappellano del vescovo di Albano, chericevette la ratifica ufficiale della sua elezione dal papa Martino IV con una bolla del 23 dic. 1283.
Alla morte di D. scoppiò una controversia fra i canonici della Chiesa di Sovana, i monaci di S. Galgano e i monaci della badia di S. Salvatore del Monte Amiata sul diritto di dare sepoltura al suo corpo nei rispettivi cimiteri. Finirono col prevalere i monaci di S. Galgano che furono gli unici in grado di presentare uno scritto di D., nel quale il defunto vescovo esprimeva la volontà di essere seppellito nel cimitero del monastero di S. Galgano senza alcuna formalità e senza lastra tombale. Benché allora si avanzassero forti dubbi sulla autenticità del documento, la volontà del defunto venne eseguita.
Fonti e Bibl.: La documentazione relativa alla vita del D. è conservata presso l'Arch. di Stato di Siena, Diplom. delmonasterodi S. Salvatore del Monte Amiata, pergg. 1280, 3 febbr. e 7 marzo, e Diplom. del monastero di S. Galgano, 1284, dic. 3 e 1286, febbr. 25; presso l'Arch. di Stato di Firenze, Diplom. del monastero di S. Bartolomeo di Piancastagnaio, pergg. 1273: 1273, sett. 2; 1278, sett. 5. Cfr. inoltre Les registres de Martin IV (1281-1285), a cura di F. Olivier-Martin, I, Paris 1901, n. 413; Les registres de Grigoire X (1272-1276) et Jean XXI (1276-1277), a cura di J. Guiraud-E. Cadier, I, Paris 1960, nn. 70, 71; G. Prunai, Fondi diplom. senesi nell'Archivio di Stato di Firenze, in Bull. senese di storia patria, LXVIII (1961), pp. 197 s., 218 n.; D. Willi, Päpste, KardinäleundBischöfieausdemCistercienser-Orden, Bregenz 1912, n. 166; A. Potthast, Regesta pontificum Romanorum..., II, Berlin 1875, n. 19.185; G. Jongelinckx, Notitia abbatiarum Ordinis Cistertiensis per universum orbem..., Coloniac Agrippinae 1640, p. 83; Id., Purpura divi Bernardi..., ibid. 1644, p. 70; Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi..., I,7, Pistoia 1649., p. 157; A. Libanori, Vita di mons. D. Dandini, vescovo di Sovana..., Venezia 1665; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra..., III, Venetiis 1718, coll. 741 s.; G. Gigli, Diario senese, II,Lucca 1723, pp. 197 s.; D. M. Manni, Osservazioni istor. sopra i sigilli antichi dei secoli bassi, VIII, Firenze 1742, p. 23; E. Repetti, Diz. geografico, stor. e fisico della Toscana, V,Firenze 1846, p. 415; G. Cappelletti, Le Chiesed'Italia dalla loro origine ai nostri giorni, XVII, Venezia 1869, p. 743; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi. I, Monasterii 1913, p. 466.