David
Il personaggio biblico che dal 1504 M. poteva ammirare dalle finestre di Palazzo Vecchio effigiato nella statua michelangiolesca – la evocherà in un suo scritto giocoso come il «Gigante di Piazza» (Capitoli per una compagnia di piacere, ed. Vivanti, p. 246) – è senza dubbio, con Mosè, la «figura» dell’Antico Testamento che acquisisce maggiore pregnanza politica nei suoi testi. In effetti, «Davit» è l’esempio perfetto di chi, avendo rifiutato quelle altrui, non si affida che ad «armi proprie», dimostrando con ciò che «le armi di altri o le ti caggiono di dosso o le ti pesano o le ti stringono» (Principe xiii 17). Donde, forse, la significativa infedeltà nel dotare il giovane eroe di un suo proprio «coltello», mentre nel racconto biblico la spada con cui egli decapita Golia è quella sottratta allo stesso filisteo morente (I Re 1 17 50). Ma ben più sostanziosa appare la forzatura del senso complessivo dell’episodio veterotestamentario, nel quale la vittoria di D., proprio per la sproporzione degli strumenti di offesa e di difesa, non è che il segno dell’elezione divina.
Di questo modo di leggere la Bibbia «sensatamente» (Discorsi III xxx 17), ovverosia politicamente, sono ancor più sorprendente testimonianza le due larghe menzioni che del re di Giuda e Israele si incontrano nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: forse non tanto la prima, ove D., «uomo per arme, per dottrina, per giudizio eccellentissimo» (I xix 6), è la prova di come una così alta «virtù» nella fondazione o rifondazione di un regno possa consentire una successione relativamente debole, senza che ciò comporti la rovina dello Stato; quanto piuttosto la seconda, nella quale, con Filippo di Macedonia, D. è colui che ha saputo senza esitazioni rispondere alle necessità estreme in cui si trova un «nuovo principe» con deboli fondamenti: la necessità, cioè, di
fare ogni cosa in quello stato di nuovo; come è nelle città fare nuovi governi con nuovi nomi, con nuove autorità, con nuovi uomini; fare i ricchi poveri, i poveri ricchi, come fece Davit quando ei diventò re, “qui esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes”, edificare oltra di questo nuove città, disfare delle edificate, cambiare gli abitatori da un luogo a un altro; ed in somma, non lasciare cosa niuna intatta in quella provincia e che non vi sia né grado, né ordine, né stato, né ricchezza, che, chi la tiene, non la riconosca da te (I xxvi 2).
Certamente, commenta M. con la sua asciutta e austera sensibilità etica,
sono questi modi crudelissimi, e nimici d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano; e debbegli qualunque uomo fuggire, e volere piuttosto vivere privato, che re con tanta rovina degli uomini; nondimeno, colui che non vuole pigliare quella prima via del bene, quando si voglia mantenere conviene che entri in questo male (I xxvi 2).
Avendo assecondato la dura logica, schiettamente rivoluzionaria sul piano politico, sociale e persino culturale (i «nomi»), in cui viene a trovarsi il fondatore di un regno, D. è dunque l’emblema della capacità di entrare nel male, quando questo sia politicamente costruttivo o almeno sia tale da consentire il ‘mantenersi’.
Quanto al versetto citato a proposito della violenta azione politica di D., si tratta in realtà di parole che nel celebre Magnificat (Luca, 1 53, anche se possono aver interferito nella memoria di M. luoghi dei Salmi: cfr. Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di G. Inglese, 1984, p. 239) sono in bocca a Maria, la quale ne riferisce il contenuto a Dio stesso.
Si può comprendere che per tale straniante utilizzazione del testo evangelico nel caratterizzare atti presentati come nemici «d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano», si sia parlato di un’intenzione blasfema da parte di M. (Strauss 1953).
Tale è D. nel M. politico. Appartiene invece a una lettura della Bibbia remota da quella per lui ‘sensata’, e dunque del tutto tradizionale, l’insistito ricorso al medesimo personaggio nell’occasionale Esortazione alla penitenza, dov’è citato ben cinque volte come prova dell’infinita misericordia divina nei confronti del pentimento autentico.
Bibliografia: L. Strauss, Thoughts on Machiavelli, Glencoe 1953, pp. 49-50; G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 2° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 457-59; M. Martelli, Machiavelli e gli storici antichi, Roma 1998, p. 27; F.-J. Verspohl, Michelangelo Buonarroti und Niccolò Machiavelli. Der David, die Piazza, die Republik, Bern-Wien 2001; G. Scichilone, «Tagliare a pezzi». Cesare Borgia tra rimandi biblici e fonti senofontee in Machiavelli, in Studi di storia della cultura. Sibi amicisque suis, a cura di D. Felice, Bologna 2012, pp. 67-80.