Davo
. Nella commedia e nella satira latine è caratteristico nome servile, tanto che talvolta designa antonomasticamente lo schiavo, come per esempio presso Orazio (Ars poet. 237-238 " ut nihil intersit, Davusne loquatur et audax Pythias ") o anche, per citare un esempio medievale, presso Matteo di Vendôme Ars versificatoria I 53 (in E. Faral, Les arts poétiques..., p. 125). Reca questo nome, nell'Andria di Terenzio, il servo ingegnoso - tipo fisso, del resto, nella palliata - che con la sua industria scioglie i nodi dell'azione. E a una battuta di Davo nell'Andria allude Giovanni del Virgilio nel primo carme a D., dove afferma che " Davus... ambiguae Sphingos problemata solvet " (v. 9) prima che la plebe ignorante possa comprendere l'ardua dottrina del poema dantesco. Si tratta di un ricercatissimo adynaton, figura retorica in cui l'impossibilità di un determinato evento è dichiarata indirettamente subordinando l'evento stesso al verificarsi di una condizione evidentemente assurda. Il discorso delvirgiliano riposa perciò sulla premessa che mai Davo saprà sciogliere l'enigma della Sfinge: nella commedia terenziana infatti il servo finge di non capire un ammonimento del vecchio Simone e si giustifica dicendo " Davo' sum, non Oedipus " (v. 194), cioè " non sono un interprete di enigmi come Edipo ". Un'allusione così raffinatamente enigmatica (è il caso di dirlo) testimonia che Giovanni del Virgilio era buon lettore di Terenzio e che egli supponeva in D. un'eguale familiarità con il comico latino; ma ovviamente non offre elementi per determinare se in questa sua supposizione egli si apponesse al vero. Del resto nemmeno il Boccaccio sembra aver compreso la sottilità delvirgiliana, giacché nel codice Laurenziano XXIX 8 Davo è definito in una sua chiosa " quidam malus poeta ".
La chiosa del Boccaccio è in rapporto con l'adozione di una variante al v. 8, che in tutti i codici, compreso in origine il Laur. XXIX 8, suona " Ante quidem cythara pandum delphyna movebis ". Nel Laurenziano però il Boccaccio corregge movebis in movebit sovrapponendo una t alla s della desinenza. Questa lezione, accolta dall'Albini e in seguito adottata dal Pistelli nell'edizione del 1921, ha tuttavia un evidente carattere di congettura facilior giacché interpretando i vv. 8-9 " Ante delphyna movebit Davus et... problemata solvet " Si regolarizza bensì la costruzione dando lo stesso soggetto ai due predicati ed eliminando l'anastrofe Davus et ma si smarrisce il riferimento del v. 8 al noto adynaton di Virgilio " sit Tityrus... Orpheus in silvis, inter delphinas Arion " (Buc. VIII 55-56). Giovanni del Virgilio ha scritto dunque movebis rivolgendosi dottamente a Dante-Titiro (senza alcunché di offensivo: già in Virgilio Titiro è contrapposto a Orfeo e ad Arione non in quanto " malus poeta " ma solo perché non può operare miracoli favolosi con il canto; donde i presupposti per l'adynaton). E D. ha compreso e accolto il suggerimento delvirgiliano assumendo appunto, e non senza una qualche ironia, il nome di Titiro nella risposta. Ma tra Davo e Arione non è posta, contrariamente a quanto credeva il Boccaccio, alcuna relazione.
Bibl. - Ph. H. Wicksteed-E.G. Gardner, D. and Giovanni del Virgilio, Westminster 1902, 212.