DE ANDRÉ, Fabrizio Cristiano
Cantautore italiano, nacque a Genova, nel quartiere di Pegli, il 18 febbraio 1940 da genitori benestanti di origini piemontesi. Il padre, Giuseppe De André, era nato a Torino nel 1912 in una famiglia di condizioni modeste che pare vantasse però origini provenzali, forse addirittura nobili; la madre, Luigia Amerio (‘Luisa’), era nata nel 1911 a Pocapaglia (Cuneo), figlia di proprietari di vigneti e piccoli produttori vinicoli. La coppia si sposò nel 1935 e si stabilì a Genova dopo la nascita del primo figlio, Mauro (1936). Nella città ligure Giuseppe De André, che si era laureato in Lettere e Filosofia a Torino ventiduenne, acquistò un Istituto tecnico per geometri e ragionieri a Sampierdarena. Uomo intraprendente, diede impulso manageriale alla scuola e ne incrementò le iscrizioni, procurando a sé stesso e alla propria famiglia una condizione agiata.
Poco più di tre mesi dopo la nascita di Fabrizio, l’Italia entrò nel secondo conflitto mondiale, e già nel 1942 la famiglia De André (ad eccezione del padre che restò in città fino al 1944, quando venne ricercato per aver coperto gli alunni ebrei della scuola) lasciò Genova e si stabilì nella campagna astigiana, nella località di Revignano, dove Giuseppe aveva appositamente acquistato l’anno prima la Cascina dell’Orto. Qui i De André rimasero fino al settembre 1945, quando, a guerra conclusa, tornarono a Genova. Dal 1947 De André frequentò le scuole elementari, dapprima in un istituto privato, indi nella scuola statale; iniziò a prendere lezioni private di violino nel 1948. Il legame con l’astigiano non si spezzò: i De André continuarono a trascorrere i mesi estivi in campagna, dove mantennero la cascina fino al 1950.
Fabrizio De André si formò dunque per un verso frequentando le scuole e passando la gran parte dell’anno nel capoluogo ligure e per l’altro trascorrendo le vacanze nella campagna piemontese. Si delineano così fin dalla formazione infantile due contesti che idealmente si ritrovano nell’intera sua produzione canora: da una parte quello, evidentissimo, di Genova, del mare, e della cultura marinara, che si esprime in riferimenti ad ambienti urbani specifici, a viaggi e tradizioni mediterranee; dall’altra, quello della cultura rurale e popolare, che si manifesta in ambienti popolari e in riti e forme di comportamento dal carattere atavico (oltreché, direttamente, nella canzone Ho visto Nina volare, 1996, che fa riferimento a un’amica d’infanzia).
Nel dopoguerra crebbe il benessere economico e la rilevanza sociale della famiglia De André: il padre proseguì e ampliò l’attività dell’istituto scolastico ed entrò in politica nelle file del Partito Repubblicano Italiano, divenendo negli anni Cinquanta consigliere, assessore e vicesindaco di Genova. Ritiratosi dall’impegno politico per dissensi col partito, proseguì nel decennio successivo la propria attività manageriale; ricoprì incarichi di primo piano ai vertici di Eridania nel gruppo Monti e fu poi dirigente dell’editoriale di controllo del Resto del Carlino e della Nazione, la Poligrafici.
Terminata la scuola media nel 1954 nell’istituto del padre, Fabrizio si iscrisse al Liceo classico, dove manifestò particolare interesse per la poesia, oltre a dar prova di atteggiamenti provocatorii verso i docenti e l’istituzione. L’adolescente, e poi il giovane, crebbe frequentando amici come lui appartenenti alla buona borghesia cittadina: tra di essi v’era il poco più anziano Paolo Villaggio, conosciuto nei tardi anni Quaranta durante un soggiorno in montagna. I due conducevano la vita degli enfants terribles, frequentavano i quartieri e i vicoli malfamati della città, manifestavano il loro ribellismo negli orari confusi di sonno e veglia ma anche, per De André, nell’abuso di alcolici e sigarette, sino ai primi segni di sostanziale dipendenza e d’alcolismo che finiranno per accompagnare, con alti e bassi, la vita del cantautore fino a metà degli anni Ottanta. Nel corso degli anni Cinquanta, De André conobbe il pensiero anarchico, al quale aderì poi per tutta la vita. Terminato il Liceo, si iscrisse a Giurisprudenza nell’anno accademico 1959-60 e sostenne alcuni esami soprattutto nel biennio iniziale; ridusse quindi il proprio impegno di studente universitario man mano che si venne affermando come musicista: al termine dell’anno accademico 1964-65, l’ultimo al quale si iscrisse, aveva sostenuto in tutto otto esami (Moscadelli, 2012, pp. 42, 56 n.).
Nel 1954 De André abbandonò il violino e iniziò a suonare la chitarra; poco dopo diede vita a piccole formazioni musicali e, grazie al buon livello tecnico raggiunto con lo strumento, studiato soprattutto in relazione alla canzone e al jazz, prese parte al Modern Jazz Group. Al 1958-1961 risalgono gli spettacoli ai quali De André partecipò per il teatro ‘La borsa di Arlecchino’ e le prime prove di cantautore; a questo lasso di tempo risale la sua prima canzone, Nuvole barocche. La data di composizione, collocata comunemente nel 1958, non è finora documentata con certezza; nel 1961 ne pubblicò il 45 giri (sul lato B vi era E fu la notte) per Karim, una piccola casa discografica che, come è emerso da recenti ricerche (Vita, 2013), era stata fondata quell’anno da Giuseppe De André assieme all’industriale Pino Gualco anche nell’intento di sostenere l’esordio del giovane musicista. Il brano, presto liquidato dall’autore come un «peccato di gioventù», è una canzone d’amore infelice in linea con le tendenze canore del periodo, profondamente influenzato dal recente successo di Domenico Modugno; pare che autore-ombra ne sia stato Umberto Bindi (Pistarini, 2010, pp. 12 s.).
Nel 1961, come secondo disco, De André registrò La ballata del Michè e La ballata dell’eroe, un 45 giri ch’egli considerava il proprio vero esordio. Le due ‘ballate’ trattano temi singolari: la prima prende spunto da un fatto di cronaca, il suicidio di un uomo in carcere; essa manifesta il peso che sul giovane De André esercitarono la musica e le scelte tematiche di Georges Brassens, conosciute a metà degli anni Cinquanta grazie ad alcuni dischi portati a casa dal padre al rientro da un viaggio in Francia. La ballata dell’eroe dà voce a una posizione personale del cantautore contro la guerra nella figura del milite caduto in servizio e celebrato dallo Stato appunto come eroe. Dal punto di vista del testo il messaggio antimilitarista e antieroico è espresso anche nei termini d’una canzone d’amore sui generis: del soldato caduto non sappiamo niente, nemmeno il nome; ma sappiamo che c’era una donna «che lo amava», che «aspettava il ritorno di un soldato vivo» e che dopo la sua morte si ritrova vedova in un letto coniugale isterilito, dov’ella si corica con accanto «una medaglia alla memoria». Dal punto di vista musicale il brano si caratterizza per l’accentuato melodismo; l’arrangiamento – l’assetto sonoro e ritmico complessivo coi quali il brano viene presentato – ne sottolinea la connotazione fortemente emotiva; la vocalità espressiva e dai tratti enfatici non pare troppo dissimile o distante da Nuvole barocche. Insomma, tra i due primi dischi v’è discontinuità, ma non una reale cesura, soprattutto nel caso della Ballata dell’eroe.
Nello stesso 1961 De André conobbe Enrica Rignon (‘Puny’). I due si sposarono il 26 luglio 1962; il 29 dicembre nacque Cristiano. Sempre nel 1962 Fabrizio De André iniziò a lavorare nell’amministrazione dell’Istituto scolastico paterno.
Al 1963 risale un nuovo 45 giri, con Paolo Villaggio coartefice: nel lato A, Il fannullone traeva spunto proprio dallo stile di vita condotto dai due amici; il lato B presenta l’ironico e anacronistico arcaismo di Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers. Nello stesso anno Giuseppe De André ritirò la propria partecipazione dalla Karim.
Fino al 1966 l’attività canora di De André si tradusse in 45 giri, per un totale di 18 canzoni dalle alterne fortune e di diverso carattere. In essi il cantautore si distingue per il timbro di voce, la pronuncia chiara, l’accompagnamento di chitarra ch’egli stesso suona con le tecniche d’arpeggio e pennata in uso a quell’epoca nel contesto più ampio del folk revival. Tra queste canzoni, La guerra di Piero (1963) fu il frutto della collaborazione col chitarrista Vittorio Centanaro, che non la poté firmare in quanto non ancora iscritto alla SIAE; La canzone di Marinella (1964; portata poi al successo nel 1967 da Mina) si ispirò a un fatto di cronaca – la morte di una giovane prostituta – difficile da ricostruire con certezza (solo di recente è stato collocato con ogni probabilità nel milanese; cfr. Argenta, 2010); Delitto di paese (1965) è una cover di Georges Brassens, da L’Assassinat; Geordie (1966) recupera un’antica ballata popolare britannica ch’era stata già registrata dalla cantautrice Joan Baez; La canzone dell’amore perduto (1966), basata su un motivo tratto da una composizione di Georg Philipp Telemann (il Concerto in Re maggiore per tromba, TWV 51:D7), pare alludesse all’affievolirsi del rapporto con la moglie. I testi si organizzano in strofe ritmate da evidenti rime baciate, alternate o incrociate sulla base di un verso assunto come metro di riferimento (per esempio l’endecasillabo nella Guerra di Piero o nella Canzone di Marinella, che tuttavia si apre e si chiude con un dodecasillabo; oppure il verso martelliano per Geordie, che inizia però con un enigmatico decasillabo e prevede anche altre misure).
Come poi nell’intera sua carriera, già in questi primi anni De André fu spesso l’autore primario del testo verbale, mentre la musica ebbe artefici differenti: il caso delle covers o dei rifacimenti è solo il più evidente. Era tuttavia personalissima la capacità di De André di cogliere, assimilare e valorizzare con la propria interpretazione canora e strumentale le suggestioni che poteva ricevere dai vari collaboratori: lo comprovò la sua progressiva affermazione nel panorama musicale a partire dal 1963, tale da spingere nel 1966 la Karim a riunire in un long playing intitolato Tutto Fabrizio De André dieci delle canzoni apparse fin lì in 45 giri. L’operazione fu condotta senza chiedere l’assenso allo stesso De André; la casa editrice fu poi condannata al pagamento (mai effettuato) di 40 milioni di lire di danni al cantautore; non fu però sufficiente a salvare la casa discografica dal declino e di lì a poco dal fallimento.
Nel 1967 De André passò a una nuova casa discografica, la Bluebell, per la quale registrò il primo long playing autentico, sotto il titolo Volume I. L’album si apre con Preghiera in gennaio, ispirata al suicidio di Luigi Tenco la notte tra il 26 e il 27 gennaio a San Remo, in concomitanza col Festival della Canzone italiana (nel 1962 Tenco aveva intonato La ballata dell’eroe nel film La cuccagna, regia di Luciano Salce). Nel disco confluirono quindi canzoni riprese da Brassens (Marcia nuziale, La morte), una canzone di De André già nota e appositamente riarrangiata (Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers) e canzoni nuove (Preghiera in gennaio, Si chiamava Gesù, Via del Campo, Bocca di rosa, La canzone di Barbara, Spiritual, Caro amore), apparse in qualche caso anche in dischi a 45 giri dal carattere tematico (Preghiera in gennaio e Si chiamava Gesù; Via del Campo e Bocca di rosa). L’album subì diverse modifiche nelle ristampe successive: la più nota fu la rimozione di Caro amore e l’inserimento di La stagione del tuo amore.
Legate a canzoni presenti nell’album furono due vicende pubbliche che coinvolsero De André. La prima fu, nel dicembre 1967, la comparizione a processo a Milano per il testo di Carlo Martello, tacciato di oscenità: la causa, avviata a seguito della pubblicazione del brano in 45 giri quattro anni prima, si concluse poi con l’archiviazione. La seconda, non priva di aspetti grotteschi, fu il divieto di trasmissione radiofonica da parte della RAI di Si chiamava Gesù: a differenza dalla Radio Vaticana, che nel febbraio 1968 la inserì nella propria programmazione, l’emittente di Stato italiana vi ravvisò dei contenuti blasfemi.
Nel 1968 De André incise il secondo long playing, sempre per Bluebell: Tutti morimmo a stento: cantata in Si minore per solo, coro e orchestra. Per questo lavoro De André si valse della collaborazione di Gian Piero Reverberi come arrangiatore. Col disco De André aderì per la prima volta alla recente tendenza internazionale – praticata soprattutto nel contesto del progressive rock britannico – del concept album, un prodotto discografico nel quale le canzoni non erano semplicemente accostate bensì collegate da un tema comune, offrendosi come parti di un discorso anche musicalmente unitario. Il sottotitolo, inoltre, evidenziava il tentativo, anch’esso in voga al tempo e già evidente in diverse canzoni precedenti di De André, di creare legami tra la sfera della canzone e quella della musica d’arte. Il disco, una sorta di sintesi delle peculiarità di De André, include una nuova cover da Brassens (Leggenda di natale). L’avvicinamento di De André alla tendenza progressive è testimoniato anche dalla sua partecipazione, come coautore dei testi, a Senza denaro senza bandiera, concept album degli italiani New Trolls: non era il primo contributo a lavori non destinati all’esecuzione in proprio (nel 1965 aveva scritto il testo di una canzone per un 45 giri di Giuliana Milan, Stringendomi le mani); seguirono poi musiche per un programma televisivo (I viaggi di Gulliver, con Reverberi, 1969), per il film Topo Galileo (1987, regìa di Francesco Laudadio, con Mauro Pagani), nonché collaborazioni ai testi per canzoni o covers di vari interpreti, per esempio La famosa volpe azzurra (da Leonard Cohen) per Ornella Vanoni (1980), Pitzinnos in sa gherra per i sardi Tazenda (1990) o Cose che dimentico per il figlio Cristiano (1994).
A fine 1968 De André registrò Volume 3, una silloge di canzoni già edite e riarrangiate per l’occasione con l’ausilio di Reverberi, covers da Brassens, un adattamento di S’i’ fosse foco di Cecco Angiolieri e il rifacimento d’un’antica canzone popolare francese (Il re fa rullare i tamburi).
Un nuovo concept album fu il long playing del 1970, La buona novella, rivisitazione della vicenda di Gesù sulla scorta dei Vangeli apocrifi. Nell’album, in realtà, Gesù non prende mai la parola: la sua storia è sempre filtrata attraverso gli occhi e le esperienze di altri personaggi. Nel lato A la narrazione s’incentra su Maria prima della nascita del figlio, nel lato B sulla passione e morte di Cristo. Gli arrangiamenti furono di Reverberi; produttore fu Roberto Danè. L’album ebbe carattere civile e politico: non solo per l’idea di Gesù come «il più grande rivoluzionario di tutti i tempi» (dichiarata dallo stesso De André in un concerto del 1998), o per la rilettura provocatoria dei dieci comandamenti nel Testamento di Tito, ma anche per la riflessione, manifestata soprattutto dalla musica, su tematiche d’attualità come il ruolo della donna e l’impegno della maternità (Ave Maria, Tre madri; cfr. Somigli, 2010). Nel contesto sociale incandescente, questi ultimi aspetti, espressi in maniera indiretta attraverso le scelte canore e d’arrangiamento, non vennero còlti dal pubblico, e De André subì energiche contestazioni; l’album ebbe un successo commerciale contenuto. Tuttavia già nel corso dell’anno De André mise a fuoco il soggetto, a tutta prima poco legato alle istanze sociali e politiche del tempo, per il long playing successivo, il concept album dal titolo Non al denaro non all’amore né al cielo, ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters nella versione italiana di Fernanda Pivano. L’album uscì nel 1971: vi collaborarono Giuseppe Bentivoglio per i testi e Nicola Piovani per le musiche; l’arrangiamento è dello stesso Piovani. L’album si articola in nove canzoni, ognuna delle quali dedicata a una delle figure ritratte da Edgar Lee Masters. Rispetto alla fonte, vuoi americana vuoi mediata dalla traduzione Pivano, De André e Bentivoglio reinventarono i testi; la musica ne amplificava il potenziale evocativo e i possibili riferimenti, per quanto allusivi, all’attualità sociale e musicale: si pensi, come esempio, a Un ottico, con le sue suggestioni sonore psichedeliche.
Tra il 1972 e il 1973 De André lavorò con Bentivoglio e Piovani al quarto concept album, Storia di un impiegato (1973). Controvoglia, e spinto in tal senso dai propri collaboratori (come il cantautore affermò in seguito in varie occasioni), nel disco De André optò per una connotazione sociale e politica diretta. Il lavoro coniugava aspetti cantautoriali e sonorità elettroniche e progressive, presenti in misura assai maggiore di quanto non fosse fin lì avvenuto. Dal punto di vista narrativo l’album lumeggiava le disavventure di un impiegato fattosi, anche a seguito di una delusione amorosa, rivoluzionario e ‘bombarolo’. Sul disco pesarono istanze diverse e financo opposte. De André aderiva al pensiero anarchico: per lui l’impegno di tipo sociale sarebbe dovuto passare attraverso un «discorso umano» (Viva, 2000, p. 156), come già nella Buona novella e in Non al denaro non all’amore né al cielo; per il marxista Bentivoglio il messaggio doveva essere invece espresso in maniera diretta e senza ambiguità. L’intera vicenda narrata nel disco e la sua conclusione nel nome del fallimento e della disillusione misero in luce i tratti intrinsecamente contraddittorii e irrisolti di un’operazione discografica che De André considerò «un mezzo pasticcio» (ibid.). Essa segnò sia la fine della collaborazione con Bentivoglio sia l’inizio di una fase esistenzialmente e musicalmente complessa, un periodo ch’egli stesso definì «di crisi» (ibid.).
Alcune relazioni professionali e umane si chiusero; altre si aprirono. Di fatto ormai non più in sintonia con Bentivoglio e i coautori della Storia di un impiegato, nel 1973 De André fu colpito da un giovane e ancora poco noto cantautore: Francesco De Gregori. Nella primavera 1974 lo invitò a trascorrere alcune giornate in Sardegna nella casa di Portobello di Gallura, acquistata nel 1969, per lavorare a nuovi progetti. Nacquero dal sodalizio i due album Canzoni (1974) e Volume VIII (1975). Canzoni riprende la struttura della silloge ed è basato in gran parte sul recupero di canzoni e covers sia edite (tra quest’ultime, Suzanne e Giovanna d’Arco da Leonard Cohen, pubblicate in 45 giri nel 1972) sia nuove; nell’album figurava anche Via della povertà, cover di Desolation row di Bob Dylan, un autore per il quale De André aveva già manifestato interesse e che forse mise in repertorio anche su stimolo di De Gregori. Volume VIII (1975) fu composto in gran parte di canzoni nuove (unica cover, peraltro inedita, fu Nancy, da Leonard Cohen) e venne realizzato a quattro mani dai due cantautori. Tra le canzoni dell’album giova ricordare Giugno ’73: a detta di De André essa allude a una donna (Roberta) con la quale egli, conclusa ormai di fatto la storia con Enrica ‘Puny’ Rignon, aveva avuto una relazione negli anni precedenti e alla quale aveva fatto riferimento anche in Verranno a chiederti del nostro amore nella Storia di un impiegato (cfr. per es. Fasoli, 1995, p. 60; nei ricordi di Cristiano De André, tuttavia, quest’ultima canzone sarebbe legata alla storia con Puny, sua madre: cfr. Colombati, 2011, p. 1269 n.).
Nel 1974, durante le fasi di lavorazione di Canzoni, De André, ormai sciolto anche dal legame affettivo con Roberta, avviò una nuova relazione sentimentale con la cantante Dori Ghezzi: nel 1977 i due ebbero una figlia, Luisa Vittoria (‘Luvi’) e nel 1989 si sposarono. Alla fine del 1974, spinto anche da ragioni di carattere economico, De André decise inoltre di cominciare a esibirsi dal vivo. La prima tournée partì il 18 marzo 1975 alla Bussola di Viareggio e coinvolse alcuni membri dei New Trolls. Se si escludono le piccole esibizioni musicali nei gruppi al tempo dell’adolescenza, o l’esperienza della Borsa di Arlecchino, fino ad allora De André si era tenuto lontano dal palcoscenico per un misto di perfezionismo, timidezza, paura del pubblico. Il successo fu immediato, e l’esito dell’operazione lo incoraggiò a proseguire con i concerti, che assunsero un ruolo di primo piano nella sua attività, incidendo anche sul versante creativo. Le tournées di De André, infatti, non furono mere occasioni per presentare dal vivo e promuovere nuove canzoni, né rappresentarono soltanto una possibilità per il pubblico di avere col cantautore un contatto non mediato dal disco, dalla radio o dalla televisione: esse agirono anche e soprattutto come stimolo per il cantautore stesso per rivisitare e ricreare anche in termini radicali l’intera propria produzione. Emblematiche, in tal senso, la tournée del 1978-79 con gli arrangiamenti progressive della Premiata Forneria Marconi testimoniati dai due album Fabrizio De André e PFM in concerto, e l’ultima, del 1997-98, nella quale De André offrì riletture inedite dei propri successi degli anni Sessanta, rivelandone – come avviene per esempio con Geordie – significati e aspetti nascosti.
Tra il 1977 e il 1978 De André compì un’ulteriore svolta artistica, accompagnata da un nuovo cambio di casa editrice (la Bluebell era fallita). La collaborazione con De Gregori si chiuse e si aprì quella col poeta e cantautore Massimo Bubola: assieme a lui realizzò per Ricordi l’album Rimini (1978). Il disco è incentrato su un aperto intento polemico rispetto ai valori sociali borghesi e alla loro diffusione di massa; il titolo stesso, ripreso dalla canzone d’apertura, allude alla località balneare intesa – nelle considerazioni dei due autori – come simbolo di ambizioni e stili di vita edonistici e superficiali. Da segnalare, in tale contesto, la storia d’amore tra due soldati in Andrea, uno dei primi brani canori italiani ad avere per tema un amore omosessuale. Nell’album figura inoltre la prima canzone di De André in dialetto: è Zirichiltaggia, scontro tra due fratelli espresso nei toni frenetici d’un country in gallurese.
Il legame dell’artista con la Sardegna, palesato anche da questa scelta linguistica, si era rafforzato nel 1976 con l’acquisto della tenuta dell’Agnata nei pressi di Tempio Pausania, che il 27 agosto 1979 fu teatro del rapimento di De André e Dori Ghezzi da parte di banditi sardi. La reclusione si protrasse fino a dicembre, quando tra il 20 (Ghezzi) e il 22 (De André) furono liberati a seguito del versamento d’un consistente riscatto. Rispetto a quest’esperienza la coppia manifestò fin da subito estrema compostezza, fino al punto da destare sorpresa nell’opinione pubblica: non solo i due ostaggi non mostrarono mai desiderio di vendetta, ma lasciarono trasparire una sorta di umana comprensione per i loro rapitori e per le ragioni che dovevano averli indotti a compiere il delitto; dopo che i rapitori furono arrestati, De André e Ghezzi non vollero costituirsi parte civile.
Il primo lavoro successivo al rapimento fu, nel 1980, la canzone Una storia sbagliata, dedicata a Pier Paolo Pasolini e scritta con Bubola per la trasmissione televisiva giornalistica Dietro il processo. Allo stesso anno risale la creazione di una piccola etichetta, la FaDo, voluta da De André e Ghezzi; pubblicò subito l’album di Dori Ghezzi Mamadodori, contenente anche una canzone scritta da Bubola e ispirata al rapimento dell’anno prima (Stringimi piano, stringimi forte). Anche De André offrì una sorta di rilettura musicale della propria vicissitudine nell’album del 1981, Fabrizio De André, realizzato con Bubola e noto poi come ‘L’indiano’, dall’immagine d’un pellirossa in copertina. Come da Canzoni in poi, il disco si basa di fatto sull’accostamento di brani diversi: ma come in Rimini si può rintracciare un chiaro fil rouge. In questo caso, a fungere da legame è proprio la Sardegna, o meglio il popolo sardo, che De André vedeva afflitto da una storia secolare di oppressione ed emarginazione, e il suo corrispettivo dei nativi americani. Le canzoni si riferiscono direttamente o allusivamente all’uno e all’altro contesto (per esempio: Fiume Sand Creek evoca lo sterminio di una tribù d’indiani d’America da parte d’un generale ventenne «occhi turchini e giacca uguale»; Canto del servo pastore si rifà al rapporto diretto del popolo sardo con la natura); connessa all’esperienza del rapimento è Franziska, e proprio a quell’evento si riferisce Hotel Supramonte.
Nel 1982 De André realizzò la prima tournée fuori d’Italia, riscuotendo particolare successo in Germania. All’impresa prese parte lo strumentista Mauro Pagani, che De André aveva conosciuto all’epoca della Buona novella (suonava l’ottavino in Maria nella bottega del falegname). La frequentazione dei due gettò le basi per la nuova e a conti fatti definitiva svolta musicale di De André verso una produzione che di nuovo assunse – ancorché in termini più liberi di quanto non fosse avvenuto negli anni Sessanta e Settanta – le forme del concept album, abbracciando in maniera sincretica tradizioni musicali, culturali e linguistiche del Mediterraneo prima, del mondo intero poi.
L’album Crêuza de mä (1984) fu il frutto tangibile di quest’incontro: De André ne curò principalmente i testi, Pagani le musiche. Il lavoro segnò per De André una netta presa di distanza dalle influenze musicali nordamericane rintracciabili negli album precedenti e si contraddistinse per tratti musicali, linguistici e narrativi di estrema originalità: addirittura la casa editrice Ricordi ne sconsigliò la realizzazione. Scritto in dialetto genovese, Crêuza de mä è un concept album che ha per soggetto il Mar Mediterraneo, le sue genti, le sue tradizioni. Si apre coi marinai che tornano dai loro viaggi (Crêuza de mä): hanno fame e portano con sé tante storie, leggendarie o reali, antiche o recenti (Jamin-a; Sinán Capuán Pasciá; in Sidun De André e Pagani fanno esplicito riferimento alla guerra del 1982 in Libano e alle battaglie che coinvolsero Sidone facendo strage nella popolazione civile), lontane e vicine (’A pittima; Ä duménega, su Genova e i suoi usi); ma alla fine il marinaio deve riprendere il largo portando con sé il ricordo della propria città e della donna che ama (D’ä mæ riva). Sotto il profilo musicale l’album si basa sulla commistione di tradizioni e stili provenienti dal bacino mediterraneo, in particolare orientale, e prevede l’uso di strumenti di provenienza etnica e d’impiego a quel tempo ancora raro nel mondo della canzone, quali la gaida macedone (una sorta di cornamusa), lo shanai turco (affine all’oboe), il greco bouzouki e varie tipologie di percussioni. Con tali caratteri, l’operazione si configurò come uno dei primi esempi di world music, intesa ancora come capacità di recepire stimoli musicali provenienti da aree geografiche e culturali lontane senza però ricondurli (come avvenne poi nella world music degli anni Novanta e dei primi Duemila) agli stilemi del pop commerciale nordamericano e più genericamente internazionale. Nelle intenzioni di De André, anzi, essa aveva proprio l’obiettivo di prendere le distanze dalle influenze esercitate sia sulla propria produzione sia in senso più generale dalla musica nordamericana, magari anche cantautoriale, additando prospettive nuove e originali. In maniera del tutto inattesa Crêuza de mä fu un grande successo, tanto commerciale quanto di critica, insignito del premio Tenco e premiato per la miglior copertina al Salone internazionale della musica di Milano.
Nel 1985, il 18 luglio, morì a Genova Giuseppe De André: una sorta di promessa fatta al padre morente aiutò Fabrizio a liberarsi dalla sua condizione d’alcolista. Reduci dal successo di Crêuza de mä, nel 1986 De André e Pagani intrapresero un viaggio in barca a vela (in quest’anno De André divenne per la prima volta nonno), alla ricerca di stimoli per l’album successivo, che avrebbe dovuto sviluppare alcuni tratti del precedente. Il rischio di produrre un doppione, o tutt’al più una ‘parte seconda’, e l’esigenza di De André di ritornare a una più marcata connotazione sociale, in linea con le sue esperienze degli anni Sessanta, determinarono la fine del progetto. Non si interruppe tuttavia il rapporto con Pagani; assieme i due scrissero le musiche già menzionate per Topo Galileo (1987), un film con Beppe Grillo (amico di famiglia di De André, che fu anche suo testimone di nozze), e quindi intrapresero i lavori per un nuovo album, Le nuvole (1990), al quale collaborarono in un secondo momento Bubola e il cantautore Ivano Fossati. Il concetto di fondo dell’album è il potere: le ‘nuvole’ sono per De André le figure e le istituzioni di potere, che ingombrano la società e la guastano. Il disco è organizzato in due parti: nella prima, quattro brani in italiano come lingua dell’ufficialità, con la parziale eccezione del napoletano italianizzato in Don Raffaè, vertono sul potere e le sue storture; nella seconda, quattro canzoni in dialetto sono espressione degli ‘ultimi’, del loro tentativo di resistere a quel potere.
La tematica degli ‘ultimi’, di quelli che il potere lo subiscono senza possibilità di scampo, è al centro dell’album successivo, Anime salve (1996). Gli anni che separano i due album furono ricchi di eventi. De André si esibì in diverse tournées di gran successo. Nel 1992 creò un doppio scandalo assumendo posizioni pubbliche spiazzanti: per esprimere lo sdegno rispetto alle vicende storiche patite dai nativi americani rifiutò di esibirsi nelle manifestazioni per le Colombiadi, pur a fianco di Bob Dylan; lo stesso anno, da anarchico e fautore del decentramento e delle autonomie, rispondendo ai giornalisti in una conferenza stampa prese in contropiede l’opinione pubblica tracciando una sorta di parallelismo tra la Lega Nord dell’epoca e il Partito Sardo d’Azione, per il quale simpatizzava (Viva, 2000, pp. 215 s.). Il 3 gennaio 1995 morì a Genova la madre di De André (nel 1989 era morto prematuramente il fratello Mauro). Nel 1996 De André pubblicò assieme ad Alessandro Gennari il romanzo Un destino ridicolo, nel quale tornano personaggi e tematiche tipici della sua produzione.
Nel frattempo era stata avviata la gestazione del nuovo album. Le canzoni che lo compongono furono scritte in collaborazione con Ivano Fossati; il sodalizio tuttavia si interruppe e gli arrangiamenti vennero affidati a Piero Milesi. Ne risultò un album assai meditato, collocato idealmente sulla scia di Crêuza de mä e basato su suggestioni e stimoli di varia provenienza. Rispetto al 1984 però lo sguardo si allarga: persone e situazioni sono còlte sia nella loro specificità, sia come espressione di tutti coloro che nel mondo ne compartecipano i destini. Le «anime salve» sono per De André gli «spiriti solitari», coloro che vivono ai margini della società perché non accettano di doverne condividere i valori: hanno il volto di un transessuale brasiliano in Italia (Prinçesa, ispirata al romanzo autobiografico Prinçesa di Fernanda Farias de Albuquerque e Maurizio Jannelli), degli zingari (Khorakhanè), o di un marinaio (Le acciughe fanno il pallone); l’ultima canzone nel disco, Smisurata preghiera (ispirata alla Saga di Maqroll il gabbiere di Álvaro Mutis, che De André conobbe di persona nella primavera di quell’anno), è una riflessione su di loro e sul loro non piegarsi alla maggioranza. I testi sono in italiano, con inserti in genovese (Dolcenera), romanès (Khorakhanè), portoghese (Prinçesa); solo  cúmba è tutta in dialetto (genovese). Le scelte musicali, mai scontate, e in qualche caso addirittura divergenti rispetto al testo verbale (per esempio l’evocazione, attraverso il berimbau brasiliano, dello scacciapensieri siculo per la Sardegna di Disamistade), proiettano le varie situazioni in contesti diversi e lontani, ne dilatano il senso e il valore simbolico.
L’album fu un successo, di pubblico e di critica. Nello stesso 1996, la versione spagnola di Smisurata preghiera (Desmedida plegaria) fu inserita come brano finale nella colonna sonora del film Ilona arriva con la pioggia del colombiano Sergio Cabrera, basato sull’omonimo lavoro di Mutis. Al disco fecero seguito un tour e un nuovo album antologico (Mi innamoravo di tutto, 1997), con una nuova versione della Canzone di Marinella, di nuovo cantata da Mina. Tra il 1997 e il 1998 si svolse un nuovo tour nei teatri. A luglio iniziò il tour estivo; s’interruppe il 24 agosto ad Aosta, quando al cantautore fu diagnosticato il cancro ai polmoni. De André si spense a Milano poco più di quattro mesi dopo, l’11 gennaio 1999.
Fabrizio De André è stato uno dei più importanti esponenti della canzone italiana. L’estrema attenzione all’aspetto verbale della canzone, l’adozione di forme metriche chiare e, soprattutto nella prima fase, aderenti alla tradizione poetica italiana, la dovizia delle immagini hanno portato vari critici a considerarlo a tutti gli effetti un poeta. Ma egli se ne schermiva con un atteggiamento a metà tra l’umile e l’ironico: «Benedetto Croce diceva che fino all’età di diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. Quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore» (così nella videocassetta allegata a Fabrizio De André: parole e canzoni). Sotto il profilo musicale, la produzione di De André si può suddividere in quattro grandi periodi: 1961-67, l’epoca dei 45 giri e dell’adesione alle tendenze folk; 1968-73, i concept album e il progressive; 1973-81, a sua volta articolabile in 1974-75, la collaborazione con De Gregori, e 1978-81, quella con Bubola; 1984-96, la svolta etnica da Crêuza de mä ad Anime salve. Questi quattro periodi, considerati davvicino, per un verso presentano interrelazioni reciproche e per l’altro manifestano anche al loro interno elementi assai eterogenei, risentendo dei vari collaboratori dei quali il cantautore si valse: le canzoni cambiano significativamente per scelte testuali, forme, arrangiamenti, sempre attente a quanto accade nel panorama dell’attualità, rispetto al quale si collocano in posizione al tempo stesso contigua e dialettica. Anche quando il contributo di De André verte soprattutto sul testo, la sua responsabilità rispetto alle scelte musicali non viene meno: ciò fa senz’altro di lui uno dei principali artefici dei mutamenti avvenuti nella canzone italiana tra gli anni Sessanta e i Novanta. L’intera produzione di De André si caratterizza per la profonda tensione morale: essa si esprime nella predilezione per i cosiddetti ‘ultimi’, coloro che per condizione o scelta deliberata subiscono gli effetti di una forza istituzionale, sociale, morale alla quale non si conformano e ne vengono schiacciati. L’umanità, o meglio l’uomo, è dunque al centro delle canzoni e della poetica di De André: si può parlare in questo senso di un suo peculiare ‘umanismo’.
La bibliografia su De André è ormai vastissima: si vedano in proposito i siti internet www.viadelcampo.com (vi si fa rinvio anche per la discografia, i testi delle canzoni e le note di copertina) e al sito della Fondazione Fabrizio De André, diretta da Dori Ghezzi, www.fondazionedeandre.it, nonché la bibliografia in Archivio d’autore: le carte di F. De A., inventario a cura di M. Fabbrini - S. Moscadelli, Roma 2012, pp. 83-111; a questo volume si rinvia anche per il catalogo dei manoscritti del cantautore custoditi nel Centro interdipartimentale di studi Fabrizio De André dell’Università di Siena.
Si offre qui al lettore una selezione di testi – alcuni già citati nel corso della ‘voce’– che danno un’introduzione generale all’autore e alla sua poetica: D. Fasoli, F. De A.. Passaggi di tempo, Roma 1995; F. De André. Accordi eretici, Milano 1997; F. De André. Parole e canzoni, Torino 1999 (un volume e un VHS); L. Viva, Non per un dio ma nemmeno per gioco. Vita di F. De A., Milano 2000; Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di F. De A., a cura di R. Bertoncelli, Firenze 2003; P. Ghezzi, Il Vangelo secondo De André. «Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria», Trento 2004; C.G. Romana, Smisurate preghiere. Sulla cattiva strada con F. De A., Roma 2005; W. Pistarini, Il libro del mondo. F. De A.: le storie dietro le canzoni, Firenze 2010; P. Somigli, Dalla parte dell’uomo: musica e parole in F. De A., in Id., La canzone in Italia: strumenti per l’indagine e prospettive di ricerca, Roma 2010, pp. 65-90; C. Cosi - F. Ivaldi, F. De A.: cantastorie fra parole e musica, Roma 2011; C. Colombati, F. De A., in La canzone italiana, 1861-2011, a cura di C. Colombati, II, Milano 2011, pp. 1210-1275; R. Argenta, Storia di Marinella… quella vera, Rivoli 2012; W. Pistarini, F. De André. Canzoni nascoste, storie segrete, Firenze 2013; V. Vita, La Karim. Storia della prima casa discografica di De A., pp. 155-163; P. Somigli, L’arrangiamento come produttore di senso: due esempi e una riflessione in prospettiva didattica, in Musica pop e testi in Italia dal 1960 a oggi, a cura di A. Ciccarelli - M. Migliozzi - M. Orsi, Ravenna 2014, in corso di stampa.