DE ANGELIS, Cesare Crescenzo
Nacque a Torrice, nei pressi di Veroli (prov. di Frosinone) da Crisanto e Marta De Angelis e fu battezzato il 30 giugno 1705.
Conseguì la laurea in utroque iure, presso l'Archiginnasio della Sapienza, il 3 febbr. 1731; fu canonico e vicario generale della Chiesa di Veroli e successivamente arcidiacono di quella cattedrale; vicario generale e in seguito capitolare di Orvieto. Ordinato sacerdote il 6 giugno 1734, egli venne nominato vescovo di Segni il 15 dic. 1755 e consacrato il 21 dicembre. Di questa diocesi rimase titolare fino alla morte, dimostrando, secondo tutte le fonti, un notevole zelo religioso ed una totale integrità. Fece parte della commissione per la beatificazione del francescano Teofilo Della Corte. Tipico uomo di chiesa, "intento soltanto alla cura del suo piccolo gregge, non avente né parentado né corrispondenza in Roma, non che in Corsica" (Semeria, p. 412), alieno alle vicende politiche e amministrative dello Stato ecclesiastico ed estraneo agli ambienti curiali, furono proprio queste caratteristiche a determinare la sua scelta. nella delicatissima missione in qualità di visitatore apostolico in Corsica, missione che lo impegnò tra il 1760 e il 1764, e che costituì l'episodio saliente della sua vita.
La decisione della Curia romana di inviare in Corsica un visitatore apostolico si situava in una situazione religiosa e politica estremamente travagliata. Già da diversi anni l'isola era dominata dal governo ribelle di Pasquale Paoli, che aveva instaurato la sua capitale a Corte, mentre i Genovesi si erano ridotti ad occupare le piazzeforti costiere. Di fronte al dilagare della rivolta, già nel 1756 i vescovi di Aleria, Mariana e Nebbio avevano chiesto ed ottenuto da Benedetto XIV il permesso di assentarsi dalle loro diocesi e di ritirarsi nelle città costiere o sulla terraferma. Il più completo marasma aveva colpito le diocesi abbandonate: la predicazione e l'attività pastorale erano state sottratte al controllo dell'autorità ecclesiastica, mentre il governo Paoli si era in parte sostituito all'autorità ecclesiale.
I Corsi, nel corso delle loro decennali rivolte contro Genova, avevano sempre manifestato il loro ossequio verso la Curia romana, richiedendo più volte che l'isola fosse sottoposta, in posizione autonoma, all'autorità della S. Sede. Il Paoli attuava, nei confronti del clero, quello che potrebbe essere definito un giurisdizionalismo sui generis: egli non aveva esitato ad applicare il pugno di ferro contro i vescovi filogenovesi, confiscando i loro beni; aveva interferito nella nomina dei vicari, sostituendo quelli filogenovesi con altri da lui nominati; aveva vietato agli ecclesiastici di obbedire a divieti e prescrizioni di vescovi e di altri superiori dipendenti da Genova; aveva imposto che in tutti i conventi venissero deposti i superiori gerarchici di nazionalità ligure, sostituendoli con superiori di nazionalità corsa. aveva vietato di pubblicare qualsiasi editto o bolla che non passasse preventivamente per la sua censura, e aveva utilizzato per spese di guerra una parte delle decime delle diocesi abbandonate. Contemporaneamente non aveva cessato di invocare l'intervento risanatore della S. Sede, chiedendo più volte l'invio di un visitatore apostolico. Si trattava di una richiesta che, oltre a venire incontro ai desideri di una popolazione ferventemente religiosa (l'invio di un visitatore era stato invocato più volte dai Corsi in rivolta, ancor prima del 1755, anno in cui il Paoli ne aveva assunto la direzione), costituiva in sé una mossa politicamente abile, in quanto, nelle intenzioni corse, l'invio di un visitatore presso il governo ribelle avrebbe potuto costituire, di fatto, un suo riconoscimento.
Di fronte alla delicatezza della questione, Benedetto XIV, tradizionalmente cauto nei confronti del giurisdizionalismo dei sovrani, aveva sempre opposto un rifiuto alle richieste di invio di un visitatore. L'atteggiamento della Curia romana mutò con l'elezione al soglio pontificio di Clemente XIII, orientato verso un più deciso ristabilimento della disciplina ecclesiastica e difensore ad oltranza dei diritti della Chiesa. Pur rendendosi conto della difficoltà della questione, che poneva Roma di fronte al pericolo di un conflitto con la Repubblica di Genova, a poco più di un anno dalla sua elezione il pontefice nominava una commissione cardinalizia, che espresse il 31 luglio 1759 parere favorevole all'invio di un visitatore apostolico. Clemente XIII anticipò la decisione in una memoria inviata il 3 agosto al Senato di Genova, in cui veniva ribadito il carattere esclusivamente religioso della missione che il visitatore avrebbe dovuto svolgere; la risposta genovese, violentemente negativa, del 27 agosto, era l'inizio di una polemica che sarebbe durata parecchi anni.
Nonostante il tenore di questa risposta Clemente XIII nominava, col breve Inter coeteras curas, del 18 sett. 1759 il D. visitatore apostolico, dopo averlo nominato assistente al soglio pontificio il 26 ag. 1759. Particolari salienti del breve erano l'assegnazione al D. di tutti i poteri vescovili sulle tre diocesi abbandonate dei loro titolari, ivi compresi i poteri di ristpbilire la disciplina ecclesiastica su tutti i regolari di qualunque Ordine ed istituto compresi nelle diocesi suddette, e la facoltà di emanare le sanzioni necessarie contro i renitenti; il D. doveva cessare le sue funzioni in caso di ritorno dei vescovi nelle diocesi. Per sottolineare il desiderio di Clemente XIII di mostrarsi assolutamente imparziale nel conflitto tra Genovesi e Corsi il breve cogi continuava: "V'ingiungiamo altresì particolarmente di non ingerirvi mai nelle cose temporali, affinché non veniste mai a fare qualche passo che, pregiudicando i diritti del Senato, non autorizzasse in veruna maniera l'indipendenza e la rivoluzione de' Corsi". Di analogo tenore erano le istruzioni segrete di cui il D. era munito.
La Repubblica di Genova continuava nel frattempo ad esercitare violente pressioni contro l'invio del D.; un nuovo documento genovese, del 20 sett. 1759, valutava l'invio del visitatore come un attentato alla sovranità della Repubblica e manifestava l'intenzione di non permettere il suo sbarco nell'isola, facendo partire da Genova navi da guerra per impedirlo. Ciò determinò un ritardo di parecchi mesi nella partenza del D., che avvenne soltanto il 7 apr. 1760. Partito da Roma, il D. raggiungeva Civitavecchia, da dove, su una nave pontificia che eludeva la serveglianza genovese, sbarcava, accompagnato dal frate passionista Tommaso Struzzieri, nel porto delle Prunette. Di lì egli fu successivamente accompagnato a Canapoloro, "come a residenza assegnatagli", dove fu accolto da. festeggiamenti di popolo e dove ebbe dal Paoli, che gli assicurò la più piena libertà di azione e la sua completa collaborazione, accoglienza deferente e ossequiosa.
Da questo momento esplose con particolare virulenza la polemica tra il giurisdizionalismo genovese e la difesa a oltranza dei diritti della Chiesa operata da Clemente XIII. Non appena informato della partenza del D., il Senato di Genova emanava, il 14 apr. 1760, un editto che prometteva una taglia di 6.000 scudi a chiunque avesse catturato il visitatore e lo avesse consegnato alla Repubblica. Il 14 maggio il pontefice rispondeva all'editto con un breve ortatorio in cui veniva ribadito il carattere esclusivamente religioso della missione del visitatore e la neutralità della S. Sede nel conflitto corso-genovese; dal canto suo Paoli fece bruciare l'editto dal boia e assegnò al D. una scorta di 300 uommi. Il 15 maggio Clemente XIII interveniva nella polemica con un nuovo breve, nel quale l'editto veniva riprovato e dichiarato non valido. Genova rispondeva il 21 giugno con un bando che accusava il D. di parzialità verso i ribelli ed abrogava a sua volta il breve papale. Ben presto il conflitto si allargava al piano europeo, con memorie da parte sia genovese sia romana, indirizzate alle corti di tutta Europa. Nel 1761 vi fu un tentativo di mediazione da parte del Tanucci, che proponeva a Genova il ritiro dell'editto di taglia sul D. e a Roma il richiamo del visitatore; la proposta fu però rifiutata da Clemente XIII e il conflitto continuò praticamente fino alla cessione dell'isola alla Francia.
L'attività del D. in Corsica, che si avvalse della collaborazione e della disponibilità dei Paoli, anche se tale collaborazione fu- non di rado punteggiata da contrasti, fu condotta con energia e insieme con la necessaria duttilità. Essa si sviluppò su tre piani: il recupero e la riaffermazione dei tradizionali diritti della Chiesa; il ristabilimento della disciplina ecclesiastica; una costante azione di informazione alla S. Sede sugli avvenimenti.
Pochi giorni dopo il suo arrivo, il D. si rivolgeva al clero e al popolo corso con una lettera pastorale in cui ribadiva i poteri concessigli con il breve Inter coeteras curas; dal canto suo il Paoli convocò una consulta, che si tenne a Corte dal 10 al 12 maggio, in cui fu solennemente decretato che il governo non si sarebbe più occupato delle questioni riguardanti il governo e l'amministrazione dei beni della Chiesa. Fu inoltre decretato di consegnare al D. le decime delle diocesi di Mariana, Aleria e Nebbio, e di conservare in deposito, a disposizione della S. Sede, quelle di Ajaccio e Sagona. Forte di questo decreto il D. emanava, il 30 maggio 1760, un editto con cui venivano nominati, in ciascuna delle diocesi da lui governate, ecclesiastici di sua fiducia incaricati della collazione delle decime, ammonendo duramente i renitenti di sanzioni ecclesiastiche.
Successivamente il D. iniziava una serie di visite nelle diocesi commessegli; tali visite erano preparate da una lettera pastorale del 20 sett. 1760, nella quale prometteva "di procurare con ogni sforzo di estirpare affatto gli abusi, i vizi e gli scandali" che avevano afflitto fino allora la disciplina ecclesiastica. In tale lettera il D. dava minuziose istruzioni perché fossero messi a sua disposizione gli inventari di tutti i luoghi visitati, e "tutte le notizie, colle quali vogliamo essere opportunamente prevenuti", minacciando i ritardatari di pene ecclesiastiche e pecuniarie. Inoltre ordinava che prima del suo arrivo fosse pronto in ogni chiesa, oratorio, confraternita, luogo pio, un rendiconto delle entrate e delle uscite, tutti i libri parrocchiali e le tabelle degli obblighi delle messe. Proseguendo nell'opera di risanamento e di riorganizzazione della Chiesa il D. fondava, specialmente a Corte, scuole di teologia e di latino; nel 1762 convocava a Cervione i superiori degli Ordini religiosi, ai quali imponeva un regolamento comune, che fu dato alle stampe. Nel giro di pochi anni, quindi, egli ristabilì gran parte della tradizionale disciplina ecclesiastica.
La missione del D. incontrò maggiori ostacoli per quel che riguarda le prerogative e i diritti della Chiesa, specie in campo finanziario. Dalla corrispondenza col segretario di Stato Torrigiani emergono le difficoltà incontrate nei rapporti col Paoli su questo argomento. Questi, nel suo atteggiamento ambivalente di ossequio alla Chiesa e di. prassi giurisdizionalistica, era deciso a rispettare tali diritti finché questi non entravano in contrasto con le esigenze della lotta contro Genova e con le necessità dell'ordine interno. Soltanto pochi mesi dopo le solenni decisioni della consulta di Corte, il Paoli affermava in un manifesto l'intenzione di porre una decima sul clero, per sopperire alle spese di guerra. Solo le proteste della Curia e l'opera di mediazione del D. riuscivano ad ottenere la liberazione di tre sacerdoti, uno dei quali era accusato di aver consegnato al vescovo di Nebbio una parte delle entrate della diocesi. Nel 1761 i contrasti furono rinnovati dalla richiesta, avanzata dal Paoli, di un prestito di 1.000 scudi sulle rendite ecclesiastiche, che da Roma gli fu negato. Preoccupazione costante di Roma in questa e in altre occasioni era di non fare concessioni che facessero apparire la missione del D. come un appoggio alla causa dei ribelli; e il Torrigiani insisteva molto su questo nelle sue lettere al D., invitandolo ad un atteggiamento fermo nella sostanza e "dolce e insinuante" nella forma. Nell'agosto del 1761 il Torrigiani esortava il D. a terminare rapidamente i compiti inerenti alla sua missione; il conflitto con Genova preoccupava infatti la S. Sede e si profilava la mediazione napoletana; ma non essendo essa giunta a buon fine, il D. continuò a prorogare la sua permanenza in Corsica, mediando pazientemente i contrasti col Paoli e informando la S. Sede su tutti gli avvenimenti dell'isola.
La permanenza del D. in Corsica durò fino al maggio 1764, e fu interrotta dall'aggravarsi di una malattia. Con gli stessi compiti, restò lo Struzzieri, dal 12 ott. 1764, vescovo di Tium. Il D. continuò a godere formalmente del titolo di visitatore, fino alla morte, avvenuta a Segni il 10 sett. 1765.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Acta Camerarii Sacri Collegii 34, f. 301; Proc. Dat. 132, ff. 161 ss.; Secr. Brev. Apost. 3471. f. 8; 3449, ff. 35 ss. La corrisp. tra il D. e la segret. di Stato è contenuta in Arch. Segr. Vat., Corsica, 3-4; gli atti della missione in Corsica del D., Ibid., Corsica, 8; altro materiale Ibid., Corsica, 2, 6, 9 e Genova, 18; Diario ordinario (Cracas), 27 dic. 1733, p. 3; G. Cambiagi, Istoria del Regno di Corsica, IV,Firenze 1772, pp. 20-51, 100; F. O. Renucci, Storia di Corsica, I,Bastia 1833, p. 64; G. Marocco, Monumenti dello Stato Pontif., IX, Roma 1843, pp. 83 s.; P. Corrado, Corsica e S. Sede, in Arch. stor. di Corsica, IV (1928), 1-2, pp. 15-59 Passim; S. B. Casanova, Histoire de l'Eglise corse, II,Zicavo 1931, pp. 177 ss.; O.F. Tencajoli, Rapporti tra Roma e la Corsica nei secoli passati, in Atti del III congresso naz. di studi romani, II,Roma 1933, pp. 454 s.; G. C. Cordara, Iulii Cordarae de suis ac suorum. a cura di G. Albertotti-A. Faggiotto, in Miscell. di storia italiana, s. 3, XXII (1933), p. 274; I. Rinieri, I vescovi della Corsica, Roma 1934, pp. 189-205; G. B. Semeria, Storia eccles. di Genova e della Liguria, Torino 1938, pp. 408-20; L. v. Pastor, Storia dei papi, XVI, I, Roma 1953, pp. 1008 ss.; F. Fonzi, Le relaz. tra Genova e Roma al tempo di Clemente XIII, in Annuario d. Istituto stor. ital. Per l'età moderna e contemp., VII (1957), pp. 61-77 passim, 99; F. Venturi, P. Paoli e la rivoluzione di Corsica, in Riv. stor. ital., LXXXVI (1974), pp. 65-66 n., 70 s.; C. Bordini, Rivoluz. corsa e illuminismo italiano, Roma 1979, pp. 120, 143 n.; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica. VI, Patavii 1963, p. 380; Diz. biogr. d. Italiani, XXVI, p. 338 (s. v. Clemente XIII).