DE BENEDICTIS, Giovanni Battista
Nacque ad Ostuni (Lecce) il 20 genn. 1622, da una famiglia di oscura origine. Priva d'avvenimenti di rilievo la sua vita, tutta dedicata con intensa partecipazione alla diffusione e alla difesa dell'ortodossia cattolica contro il cartesianismo dei filosofi napoletani dell'ultimo Seicento. Piuttosto tardi decise di entrare nella Compagnia di Gesù, di cui vestì l'abito il 20 genn. 1659 e di cui pronunciò i voti solo parecchi anni dopo, nel 1677. Nel collegio dei gesuiti di Lecce insegnò filosofia e teologia per tredici anni, poi passò al collegio Massimo di Napoli, che ospitava i figli della migliore società. Il suo influsso su di essi finì per riverberarsi anche sulle famiglie nobili della città, sicché si capisce la considerazione con cui lo trattavano i superiori, che vedevano in lui un "ottimo ingegno e adatto ad occupare ogni incarico di responsabilità all'interno dell'ordine". Invece divenne soltanto prefetto agli studi, incarico certo non di gran prestigio.
La sua fama di aristotelico intransigente cominciò a diffondersi anche fuori della Compagnia, attraverso la partecipazione alle sedute dell'Accademia dei Discordanti, sorta a Napoli per contrastare i successi di quella degli Investiganti, apertamente antiaristotelica. Il contrasto appariva subito insanabile al D., che vide nel gruppo che si raccoglieva intorno agli Investiganti, dal Cornelio al Di Capua, dal Porzio ai D'Andrea, i più pericolosi nemici dell'ortodossia e della tradizione, in nome di Cartesio e del neomaterialismo atomistico.
A parte, infatti, la pubblicazione degli Analecta poetica (Neapoli 1686 e 1689), due volumi di poesie e di epigrammi composti da gesuiti, la sua prima opera importante è un trattato completo di Philosophia peripatetica (Neapoli 1688 e 1692) in quattro parti: logica, fisica prima, fisica seconda. metafisica, chiaramente diretto contro i nuovi filosofi napoletani. Poiché gli parve, però, che per contrastare meglio gli Investiganti fosse necessario avere un maggior seguito di lettori, abbandonò il latino e il tono dotto di quest'opera per scendere sul terreno del pamphlet polemico, quando ancora non si era concluso il processo agli ateisti, con la sua opera più famosa, quella per cui viene spesso citato come il più fanatico difensore dell'aristotelismo del suo secolo: le Lettere apologetiche in difesa della teologia scolastica e della filosofia peripatetica, uscite a Napoli nel 1694 con lo pseudonimo di Benedetto Aletino.
Dedicate al principe di Tarsia C. F. Spinelli, sono cinque ampie lettere indirizzate a personaggi fittizi dietro ai quali sono riconoscibili diversi Investiganti. La prima, diretta a Luigi Oligoro (probabilmente Francesco D'Andrea), sostiene che l'unico metodo per combattere gli eretici, tra i quali sono naturalmente catalogati i cartesiani di Napoli, consiste nel rigoroso ritorno alla teologia scolastica, onde evitare il pericolo di cadere in affermazioni d'origine protestante. La seconda, indirizzata a Nicolò Marziale (forse il Cornelio, forse il Di Capua), prende come spunto una analisi critica delle concezioni mediche espresse dal Di Capua nel suo Parere... divisato in otto ragionamenti (Napoli 1681), per attaccare giansenisti e calvinisti sul -loro modo di interpretare s. Agostino intorno a Dio e all'anima. La terza, rivolta al Di Capua, ha come bersaglio esplicito la filosofia cartesiana, anzi "il Cartesio creduto da più di Aristotele": e proprio dal cogito muove il D. per demolire Cartesio, che se non è eretico è affine agli eretici, affermando che le cose sono indipendenti dal pensiero. La quarta lettera, ad Arrigo Filostasio (probabilmente Filippo D'Anastasio, arcivescovo di Sorrento e amico del Valletta), insiste soprattutto sull'atomismo professato dai cartesiani Gassendi e Boyle e, sulle loro orme, da non pochi investiganti, tutti quindi "ateisti". Nella quinta, a Roberto Filadelfò (il Valletta), si oppone decisamente alla libertà del pensiero e alle novità ch'essa favorisce, sulla strada dell'ateismo di atomisti e libertini.
Coinvolto direttamente nella polemica, il D'Andrea volle replicare con una Risposta... contro le Lettere apologetiche del p. De Benedictis gesuita, rimasta manoscritta (Napoli, Bibl. naz., I - D - 4)., in cui lo definisce "ignorante, impostore e pazzo". Maggior diffusione ebbe invece la replica di Costantino Grimaldi nella sua Risposta alla lettera prima apologetica in difesa della teologia scolastica di B. Aletino, Colonia [ma Ginevra] 1699, uscita anonima, cui seguirono altre due Risposte (Ginevra 1703), questa volta non più anonime, rispettivamente alla seconda e terza lettera dell'Aletino (le Risposte alla quarta e alla quinta restarono un progetto).
Il D. non fece attendere la sua replica al Grimaldi, pubblicando la Difesa della scolastica teologia (Roma 1703), in cui nonsolo contestò i rilievi dell'avversario ad uno ad uno, accusandolo anzi di essersi servito di argomentazioni di, provenienza luterana (particolarmente da A. Tribbechovius), ma ristampò anche la sua prima Lettera con alcune correzioni marginali, basate sui rilievi del Grimaldi.
Il gruppo degli amici del Valletta interpretò tale Difesa come una sfida ed in diverse opere si ebbero strascichi polemici in difesa della libertà di pensiero contro le affermazioni dell'Aletino e contro la sua tendenza a vedere eresie dappertutto.
Il D., intanto, ribatteva ancora al Grimaldi con la Difesa della terza lettera apologetica (Roma 1705), in tre parti, in cui mise in discussione le affermazioni di questo da un punto di vista teologico, rigettando le affermazioni teologiche attribuite a Cartesio e polemizzando su tutta una serie di questioni particolari. Né gli parve sufficiente. Nel 1695 uscì anonima a Napoli Turrisfortitudinis, un'opera che definiva eretici gli amici del Vailetta e del Caravita, tanto che furono incarcerati i tipografi e i presunti autori prima che si sapesse che l'autore era il De Benedictis.
Crebbe così il risentimento contro di luì anche perché pare che il suo giudizio presso le decisioni del S. Uffizio, soprattutto quelle relative al rinnovamento culturale in atto, non fosse di poco peso; molta influenza aveva pure sul card. Cantelmo, zelante sostenitore dell'Inquisizione, una Vita del quale, ad opera del Di Capua, il D. lasciò pubblicare, anche se vi sentiva qualche influenza d'Oltralpe.
Da qualche parte s'incominciò a chiedere il suo allontanamento da Napoli, ma il D. proseguì imperterrito la sua, battaglia. Nel 1698 pubblicò a Graz La scimia del Montalto, un'apologia dei Padri della Chiesa che ebbe molte edizioni, con lo pseudonimo di B. Ciaffoni; in essa polemizza. con il sacerdote Francesco de Bonis e con i probabilisti, accusati di mascherarsi con gli abiti della Chiesa per abbatterla. Tradusse diverse opere del gesuita Gabriel Daniel, come la Réponse aux lettres provinciales de L. de Montalte, una famosa replica a Pascal, col titolo Ragionamenti di Cleandro e di Eudosso sovra le Lettere al Provinciale di Pascal (Pozzuoli 1695;anche in edizione latina), nella cui introduzione il D. lamenta la diffusione del giansenismo a Napoli, dovuta soprattutto all'odio per i gesuiti.
Altra opera del Daniel che fu da lui tradotta è Viaggio per lo mondo di Cartesio, con seco la sua continuazione (Genova 1703), dove si cerca di dimostrare che ci sono molti punti in comune tra Giansenio e Cartesio. Tra il 1700 e il 1702 pubblicò a Roma quattro opuscoli in difesa dei gesuiti e della loro azione missionaria in Cina; ma più importante è la Difesa della bolla di Alessandro VII Ad Sancram contro gli sforzi dell'ultime due Lettere provinciali ed altri insulti et cavillazioni de' giansenisti (Palermo 1700), con lo pseudonimo di Giacinto Bandoni.
In essa riprendeva gli elementi della polemica antigiansenistica contenuti nelle opere precedenti, ma ciò che sollevò veementi proteste fu la violenza degli attacchi al Di Capua e ai suoi amici, tanto che gli stessi superiori del D. si videro costretti ad interdirne la pubblicazione e a fare pressione presso il viceré, duca di Medinaceli, per un immediato allontanamento da Napoli dell'intemperante gesuita; la difesa degli oppositori del governo, che vedevano in tale provvedimento un grave atto di violenza volto a soffocarne la voce, valse a rimandare di un anno il trasferimento, che avvenne nel 1701 in Sicilia.
Vi si trattenne poco, ché l'anno dopo era già a Roma come consulente del S. Uffizio. Si fece affidare l'esame dei libri del suo nemico Grimaldi, tentando di farli condannare, ma quello a sua volta accusò di empietà i libri del D., ed ottenne, dopo un primo parere negativo, un se.condo giudizio positivo da parte del carmelitano C. F. Barberio, esponente dell'antigesuitismo. La questione fu affidata ad un terzo revisore, che declinò l'incarico su pressione del D., e quindi rimandata sine -die, anche per un attacco apopiettico subito dal Grimaldi e, poi, per la morte del D., avvenuta a Roma il 15maggio 1706 per un volvolo intestinale, mentre stava facendo osservazioni sull'eclisse solare (per estrema vendetta, il Grimaldi insinuò che compisse predizioni astrologiche).
Più anticartesiana che filoaristotelica, intrisa di umori velenosi, l'opera filosofica dei D., tesa più a dimostrare l'empietà dei suoi nemici che a capirne le ragioni, è oggi priva di qualsiasi valore, mentre l'anticurialismo del Grimaldi, difeso anche dal Giannone, rappresentò una rivendicazione del nuovo ruolo affidato al filosofo, più impegnato nei confronti della società e liberato dai.vincoli dell'aristotelismo.
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