DE BLASIO
Famiglia di orefici e argentieri, originaria di Guardia Sanframondi (Benevento), attiva oltre che a Napoli, anche in Puglia e Basilicata durante tutto il secolo XVIII. Figura di maggiore spicco fu Andrea (notizie dal 1708); qui di seguito, seguendo l'ordine cronologico, si danno notizie degli altri artisti dei quali per lo più si ignorano però i rapporti di parentela.
Domenico, formatosi certamente nell'attiva bottega di famiglia, già nel 1707 doveva essere un artista affermato, tale da inviare le sue opere fuori città: a quella data risalgono una croce argentea ed un busto reliquiario raffigurante S. Biagio (quest'ultimo trafugato di recente) per l'omonima chiesa di Maratea (Grelle, 1981, pp. 150 s.).
A Napoli in quegli anni ebbe una serie di commissioni importanti come quella del busto di S. Teresa per la cappella del Tesoro di S. Gennaro, che venne modellato nel 1715 da Domenico in collaborazione con Andrea D..I probabilmente suo fratello, sulla base di un loro disegno (Catello, 1977, p. 146). L'anno precedente Domenico bollava un reliquiario per la chiesa di S. Angelo a Nilo, ora conservato nel convento di S. Lorenzo Maggiore, e nel 1716 eseguiva un reliquiario per l'abbazia di Montecassino. Fu anche autore di svariati oggetti di uso profano, attualmente disseminati in varie raccolte private, come testimonia il suo bollo di argentiere (Catello, 1973, pp. 100, 133, 284).
Nella sua produzione si annoverano poi alcuni lavori che testimoniano la sua altissima perizia tecnica: non esiste più, ma certamente non dovette essere l'unico esemplare del genere fornito dall'artista, il ricco baldacchino in argento e rame dorato, con figure, per il quale nel 1732 Nicola e Domenico D. ebbero 400 ducati di compenso dalla chiesa delle Anime del Purgatorio (Ruotolo, 1982, pp. 190, 193).
Domenico venne eletto console dell'arte negli anni 1725, 1728 e nel 1733 come risulta dal punzone impresso su una croce conservata nella cattedrale di Matera. Tra gli esemplari superstiti della sua produzione statuaria in argento deve infine considerarsi anche il busto di S. Procolò nel duomo di Pozzuoli (Catello, 1982, p. 51), di fattura pienamente settecentesca.
La prima menzione di Nicola nelle fonti documentarie, nell'anno 1732, riguarda il pagamento del baldacchino in argento e rame dorato "alla tedesca", perduto, eseguito in collaborazione con Domenico, per la chiesa delle Anime del Purgatorio (Ruotolo, 1982). Nel 1740 Nicola, "rinomato argentiero", riceve l'incarico dai pp. predicatori per una pisside di argento dorato "fraschiata" in superficie e decorata con "fiorami intrecciati a bassorilievo" (Rizzo, 1979., p. 253). L'anno successivo Gabriele Solimena, nipote dei pittore Francesco, pagò l'incredibile somma di 900 ducati al maestro argentiere per la manifattura di un Trionfo in argento (verosimilmente un sontuoso centrotavola; Catello, 1982, p. 58). Nicola si dedicò anche alla statuaria in argento: si conservano due esempi rilevanti nei busti di S. Rocco e S. Domenico, nelpiccolo museo di Guardia Sanframondi. I due oggetti, così come un parato di cartegloria ivi raccolto, mostrano a chiare lettere il punzone "NDB", oltre a quello consolare e la data 1751. Si tratta della prima volta in cui si incontra il bollo di Nicola argentiere: l'acquasantiera del 1752, insieme a due piatti rispettivamente del 1755 e del 1776, in collezione privata, reca soltanto il marchio consolare.
Come gli altri argentieri della famiglia, Nicola lasciò una serie di opere in Puglia; all'anno 1756 risalgono una croce in argento e altri lavori in rame dorato ad ornamento dell'altare maggiore nella cattedrale di Lecce (Pasculli-Nappi, 1983, p. 225).
Nicola fu attivo ancora per molti anni lavorando infine per la corte con Matteo D., dal 1774 al 1777 (Catello, 1982, p. 51).
Tra gli esponenti della famiglia D., Gennaro si qualifica come uno degli artefici più significativi nel campo dell'arte argentaria napoletana della prima metà del secolo. Fu eletto console due volte, nel 1740 e nel 1747. L'impianto architettonico del paliotto argenteo per la chiesa del SS. Salvatore a Gerusalemme, che reca il suo bollo e la data 1731, mostra tutte le caratteristiche del gusto scenografico barocco, insieme a precise derivazioni stilistiche da quello della cattedrale di Otranto, precedente di una ventina d'anni e assegnato ad un altro argentiere della famiglia D., con tutta probabilità Andrea.
Gennaro fu il titolare di una delle più attive botteghe napoletane del tempo, come risulta, tra l'altro, dai pagamenti relativi all'esecuzione della cona per l'altare di S. Maria di Costantinopoli nella cripta della cattedrale di Acquaviva (Pasculli Nappi, 1983, pp. 125 s.). Nonostante il manufatto rechi il bollo di argentiere riferibile ad Andrea e la data 1753, all'anno precedente risalgono i pagamenti a Gennaro, menzionato come autore del disegno.
Il prezzo pattuito era di 2.000 ducati e venne saldato nel dicembre 1757; a riscuotere è Baldassarre D. che a quella data compare come "artefice insieme al quondain Gennaro, suo fratello". Quest'ultimo viene indicato come "principale" nell'esecuzione dei lavori: infatti a lui spetta l'"invenzione" dell'opera attuata nel disegno, oltre che il contatto personale coi committenti; si spiega in tal modo l'apparente contraddizione tra la presenza del bollo di Andrea, chiaramente leggibile sulla cona, e il riferimento a Gennaro, nelle carte di archivio, per un lavoro di équipe condotto nell'ambito familiare della bottega sotto la guida del maestro più anziano.
Baldassarre fu eletto console dell'arte nel 1750, 1756 e nel 1764 (Catello, 1973, p. 102). Recentemente è stato rinvenuto il suo marchio consolare per il 1753 sulla cona dell'altare argenteo di S. Maria di Costantinopoli nella cattedrale di Acquaviva (Catello, 1981, p. 132). Nei documenti relativi alla commissione dell'opera Baldassarre è citato come artefice, almeno per il disegno dell'"incassatura con gradini d'argento", insieme al fratello Gennaro (Pasculli-Nappi, 1983, pp. 125 s.).
Il suo bollo è stato ritrovato su un parato di cartegloria (coll. priv.) è alla base dell'Immacolata nella collegiata di S. Mauro a Casoria, oltre che su un'alzata databile alla metà del secolo (Genova, coll. priv.).
Tra i maestri argentieri della famiglia D. vanno ancora considerati Carmine, attivo nel 1770 per una "portella di custodia" in rame dorato con la Cena in Emmaus per la cappella del Sacramento nella collegiata di Maglie, e Paolo, saggiatore presso la Regia Zecca e titolare per la garanzia dei lavori in argento, il cui emblema consisteva nel bollo completo di trifoglio, come si rileva da una coppia di giare in collezione privata, del 1831.
Bibl.: F. Strazzullo, Saggistorici sul Duomo di Napoli, Napoli 1959, pp. 260, 265; E. Catello-C. Catello, Argenti napol. dal XVI al XIX sec., Napoli 1973, pp. 72 s., 137 (per Carmine e Paolo); 100, 133, 284 (per Domenico); 102, 296 (per Baldassarre); 123 (per Nicola); 134, 262, 274 (per Gennaro); Id., La Cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1977, p. 146 (per Domenico); V. Rizzo, Notizie su artisti e artefici dai giornali copiapolizze degli antichi banchi pubbl. napol., in Le arti figur. a Napoli nel Settecento, Napoli 1979, p. 253 (per Nicola); V. De Martini, in Il Museo di Guardia Sanframondi, Salerno 1979, p. II, schede 12-14 (per Nicola); Id., Il Museo di Guardia Sanframondi, in Napoli nobilissima, XVIII (1979), 5, p. 196; A. Grelle, Per l'oreficeria dal XV al XIX secolo, in Arte in Basilicata, Matera 1981, pp. 150 s., 153 (per Domenico); E. Catello, Gli altari d'argento nella cattedrale di Acquaviva delle Fonti, in Napoli nobilissima, XX (1981), p. 132 (per Baldassarre); Id., L'arte argentaria napol. nel XVIII sec., in Settecento napol. Documenti, Napoli 1982, pp. 51 (per Domenico, Gennaro, Nicola), 52 s. (per Gennaro), 51, 58 (per Nicola); R. Ruotolo, Documenti d'arte sul Settecento napolet., ibid., pp. 190 s., 193 (per Domenico, Gennaro); C. Gelao, Una statua d'argento di Paolo de Matteis, in Napoli nobilissima, XXI (1982), p. 194 (per Domenico, Nicola, Gennaro); M. Pasculli-E. Nappi, Arte napol. in Puglia dal XVI al XVIII sec., Fasano 1983, pp. 71 (per Gennaro), 125 s. (per Gennaro e Baldassarre), 225 (per Nicola), 246 (per Nicola, Carmine e Paolo).