DE CRESCENZIO, Nicola (Nicolò) Pasquale Michele
Nacque a Terlizzi (prov. di Bari) il 17 maggio 1832 da Vincenzo e da Caterina De Napoli. Studiò nel seminario vescovile di Molfetta, dove la sua presenza tra i "convittori forestieri" (tra gli altri, L. La Vista e G. Nisio) è registrata dal novembre 1843 al maggio 1847, ma non è esclusa per periodi immediatamente successivi.
Nel 1850 si recò a Napoli per studiarvi diritto, il cui insegnamento era allora impartito più nelle scuole di insegnanti privati che non nell'università, dove - fino alla legge 30 maggio 1875 - erano ammessi a sostenere gli esami anche i non iscritti. Ottenuti i gradi dottorali il 6 maggio 1856, partì subito dopo - contrastato dalla famiglia - per la Germania, allo scopo di perfezionare la propria formazione. Frequentò dapprima l'università di Lipsia, soprattutto per apprendervi il tedesco, e poi quella di Heidelberg, dove fu discepolo di K. A. von Vangerow, professore di pandette, e di K. J. Mittermaier, già maestro ed intimo di molti tra i maggiori studiosi napoletani (da Nicolini a Scialoja, a Pisanelli, a Mancini).
Rientrato in Napoli nei primi mesi del '60, il D. partecipò attivamente al movimento per la caduta del regime borbonico, conoscendo per un breve periodo anche il carcere, dal quale fu liberato poco dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala. Nel '61 aprì una scuola privata di diritto romano, non rispettando la consuetudine napoletana secondo cui un buon insegnante di diritto doveva essere enciclopedico. In un primo momento egli avrebbe piuttosto voluto dedicarsi -anche per suggerimento di Mittermaier - al diritto penale; ma poi cambiò idea, impressionato dalla decadenza degli studi romanistici.
"Nei studi privati di giurisprudenza - scrisse il 5 genn. 1861 a Mittermaier - s'insegnava il dritto romano in una maniera curiosa: per dritto romano intendevano soltanto le istituzioni e le insegnavano in termini generali ... non facendo caso delle fonti, né davano al giovane nessuna contezza della esistenza del Corpus juris; in questo modo il giovane dopo tutto il suo studio non era buono neppure all'azione meccanica di trovare una legge nel corpo del dritto. Oltre di ciò, avevano una barbara idea, che il dritto romano per noi non aveva che una importanza storica; e così lo studio del dritto romano non costituisce in Napoli che la storia male esposta del dritto". Nel suo concetto, all'opposto, il diritto romano - "che si può per certo riflesso dire essere il nostro dritto patrio" - andava studiato "non solo per l'intelligenza del nostro dritto civile, ma come dritto positivo e come fondamento di ogni altro edifizio scientifico". Si propose pertanto di dividere i suoi corsi in cinque parti essenziali, che toccassero non solo le istituzioni e le pandette, ma anche la storia, il diritto criminale e la procedura, mettendo in mano agli allievi sin dal primo giorno - come si faceva in Germania - il testo del Corpus iuris.
Questi propositi vennero precisati e resi espliciti nella prefazione al Sistema del diritto civile romano, che uscì in Napoli - tra il 1863 e il '64. in tre volumi. In essa il D. ribadiva di essersi proposto di studiare ed esporre l'intero "sistema" del diritto giustinianeo, "rapportando" principi le singole determinazioni" (p. XIV) e dando conto, a un tempo, dello svolgimento degli istituti nelle esperienze precedenti e delle dispute dottrinali succedutesi sui testi, con particolare riguardo "all'ultimo movimento della scienza".
L'opera - di carattere eminentemente scolastico e nelle esplicite intenzioni dell'autore ispirata al modello del Vangerow - si attribuiva come scopo originale quello di riempire i "vuoti" che i giovani napoletani potevano riscontrare nei manuali in uso in Germania e adottati anche tra loro, nei quali spesso gli autori si limitavano a esporre soltanto alcuni principi - che poi sviluppavano dalla cattedra - o addirittura a indicare la sola rubrica dei paragrafi delle fonti romane, rinviando per gli approfondimenti a monografie o a riviste specialistiche, spesso inaccessibili al pubblico napoletano.
A causa del ristretto e specifico orientamento disciplinare - impresso alla. sua scuola e della novità del metodo, il D. non ebbe all'inizio grande afflusso di studenti. Nel frattempo, con i proventi assicuratigli da quei pochi che aveva - e che riuniva in una stanza piccola e buia del vicoletto Mezzocannone -, poté sposare, nell'ottobre del 1862, Carolina De Lucia, sua conterranea, a cui era legato sin dagli anni giovanili e da cui ebbe poi diversi figli.
A poco a poco si sparse la fama di questo professore austero e scrupoloso, semplice nel costume e aperto, parlatore limpido ma non eloquente, poco incline alle nebulosità e alle astruserie. E allora nell'aula magna del collegio dei nobili al vico Nilo stettero "sempre stivati come sardine", e al vico S. Giovanni Maggiore Pignatelli furono in più di duecento. Dopo la lezione -- ricordarono poi con devota ammirazione molti allievi - le dispute continuavano per strada, mentre lo si riaccompagnava verso casa o spesso, anche nei giorni di vacanza, al caffè De Angelis, ritrovo degli studenti, o di sera, con i più intimi, in casa sua.
Il Sistema - di cui nel '69 uscì, presso Jovene, una seconda edizione riveduta e ampliata, in due volumi - e soprattutto la crescente reputazione del suo privato insegnamento gli valsero, nel '67. la libera docenza di diritto romano nell'università di Napoli (d. M. 29 giugno 1867). Nel 1868, liberatasi per le dimissioni di G. Ceneri la cattedra di diritto romano nell'università di Bologna, il D. chiese di esserne nominato titolare (aprile 1868); ma la sua domanda - pur calorosamente appoggiata da Antonio Scialoja presso il ministro dell'Istruzione Broglio - non ebbe esito.
Qualche anno dopo, rimaste vacanti, per il riordinamento dell'università di Roma, le cattedre di Pisa e di Padova, il D. si rivolse allora direttamente a Scialoja, nel frattempo divenuto ministro della Pubblica Istruzione. Finalmente nel settembre del '73 Scialoja poté nominarlo professore straordinario di diritto romano nell'università di Roma (d. m. 23 sett. 1873), nella cattedra appena lasciata da F. Serafini, chiamato a Pisa. Gli conferì anche l'incarico delle istituzioni.
All'ultimo periodo del suo insegnamento privato, appartengono, oltre ad iniziative di rilievo strettamente culturale -come la traduzione dell'opera di F. L. Keller sulla procedura civile romana, affidata al suo allievo F. Filomusi Guelfi e pubblicata con le annotazioni del maestro (Il processo civile romano e le azioni, Napoli 1872) - anche alcune esperienze di pubblico amministratore: già subdelegato della sezione Stella nel comune di Napoli, poi consigliere provinciale, nel 1870 venne nominato governatore della Real Santa Casa dell'Annunziata di Napoli, in un consiglio di amministrazione composto altresi da C. Cammarota e da F. de Siervo (soprintendente).
Quella gestione produsse alcune importanti riforme, tra le quali l'abolizione del vecchio sistema della "ruota" e la connessa adozione di un nuovo statuto dell'ente. Ad entrambe il D. lavorò con dedizione, visitando, nel corso del 1872, i principali brefotrofi d'Italia e pubblicando, come relazione di questo viaggio, uno studio su I brefotrofi e l'esposizione dei bambini (Napoli 1873), poi esibita, in quanto "opera economico-giuridica", tra i titoli per lo straordinariato. Redasse il progetto del nuovo statuto (definifivamente approvato con r.d. 27 giugno 1875, ma già pronto due anni prima), in cui si estendeva la categoria degli ammissibili ai figli legittimi di genitori successivamente morti o incarcerati o ammalati e si prevedeva l'obbligo della consegna, all'atto della presentazione del bambino, dell'estratto del registro dello stato civile (Relazione e progetto del nuovo statuto della R. Santa Casa dell'Annunziata di Napoli, Napoli 1873).
Nel '74 il D. presentò una nuova domanda per la nomina a professore ordinario, aggiungendo agli altri titoli scientifici la prima parte di uno studio sulla liberatio (La liberatio. Studi di dritto romano, Napoli 1874), che rimarrà incompleto. Ottenuta, invece di questa nomina, la conferma dello straordinariato e dell'incarico per il 1874-75, fu costretto subito dopo a rinunciarvi - dichiarandosi, però, disposto a continuare gratuitamente l'insegnamento - per poter accettare la candidatura alle elezioni politiche nel collegio di Bitonto. Dopo l'esito sfavorevole della consultazione venne riconfermato - nello stesso novembre 1874 - nella precedente posizione, e così l'anno successivo.
La nomina a professore ordinario di diritto romano nell'università di Roma - così strenuamente desiderata - arrivò con il r. d. 12 marzo 1876, a seguito di numerose vicissitudini nelle quali fu decisivo l'intervento del ministro Bonghi, cui il D. si era ripetutamente rivolto. Alla fine egli poté essere giudicato da una commissione composta da P. S. Mancini, G. Polignani, N. Alianelli, F. Buonamici e presieduta da A. Messedaglia e nella quale sia Polignani sia Messedaglia erano entrati in sostituzione di altri membri originariamente indicati dal Consiglio superiore: il primo, per disposizione dei ministro, al posto di G. Ceneri, liquidato con la motivazione che la sua venuta a Roma da Bologna sarebbe riuscita per lui "disagevole" e "dispendiosa" per il ministero; ed il secondo, incaricato dal medesimo Consiglio superiore, di sostituire G. B. Giorgini, su richiesta di quest'ultimo.
Tra i commissari, tutti convennero sopra gli indiscussi meriti didattici del D., messi in evidenza - del resto - dal parere favorevole espresso sulla domanda dalla facoltà romana (già nell'ottobre del '74, preside Mancini). Quanto ai titoli scientifici, nel coro dei consensi (addirittura appassionati nel caso di Mancini, che stese un lunghissimo parere su ogni punto favorevole) si distinsero alcune caute riserve di Buonamici, che sottolineò la scarsa originalità del Sistema ed invece l'erroneità dell'idea fondamentale sostenuta - anche se in questo caso originalmente - nello studio sulla liberatio, senza peraltro esprimere voto contrario.
Consolidata, con l'ordinariato, la propria posizione accademica, il D. continuò a dedicarsi cm passione ai suoi studenti romani - tra cui vi furono V. Scialoia, destinato a succedergli nella stessacattedra, e P. Cogliolo - svolgendo per alcuni anni, come incaricato, anche il corso del diritto civile (in quello delle istituzioni gli era succeduto un altro allievo napoletano, G. Semeraro).
Nel frattempo, conclusa l'esperienza nel governo della R. Santa Casa dell'Annunziata, venne coinvolto, forse ancora per i suoi legami con gli Scialoja, nella direzione del nuovo giornale Il Foro italiano, dove entrò al posto di A. Baccelli, che era stato designato in un primo momento, al fianco di Enrico Scialoja, figlio maggiore di Antonio e suo antico allievo nella scuola napoletana, e di F. Mecacci (1876). Al Foro egli poi rimase sempre legato, anche quando, lasciata la direzione, passò nella Commissione scientifica, insieme a C. F. Gabba, G. Giorgi e, più tardi, a C. Vivante.
Per la pubblicazione del giornale Il Foro italiano si costituì in Roma, il 19 dic. 1875 (per atto dei notaio E. Serafini) una Società anonima, il cui maggior azionista - fra i venticinque primi sottoscrittori, in maggioranza avvocati del foro di Roma - fu E. Scialoja. L'iniziativa - alla quale aderirono, come fondatori o primi collaboratori e corrispondenti, molti personaggi di spicco (dallo stesso A. Scialoja a G. Pisanelli, da V. Sansonetti a G. Mantellini, da U. Rattazzi a P. S. Mancini) - inirava alla pubblicazione di una raccolta generale di giurisprudenza pratica, estesa alle pronunce delle più diverse autorità, anche non giurisdizionali. Nel progranuna approvato durante la prima assemblea, si stabili di astenersi "dal sottrarre ogni spazio utile alle decisioni con monografie o dissertazioni puramente teoriche, con riproduzione di leggi o di regolamenti o con altre materie estranee alla giurisprudenza", pubblicando commenti o annotazioni, privi di citazioni superflue, "solo quando il bisogno lo richieda"..
Da quelle colonne, in "note" asciutte e rigorose, anche se cariche di dottrina, il D. ripropose i contenuti fondamentali del suo insegnamento: la necessità di ragionare per principi chiari e perciò - come scrisse in una delle primissime "note", pubblicata in stralcio (Il Foro italiano, I [1876], pp. 351 ss.) e per intero nell'estratto (Della indivisibilità del canone enfiteutico secondo l'antico ed il moderno diritto, Roma 1876) e poi ripubblicata in varie sedi (anche ne Il Filangieri, I [1876], pp. 737-63) - "di rapportare le istituzioni giuridiche, in special modo quelle che oggi mostrano un carattere incerto e poco ben definito, ai tipi classici, finché una chiara ed esplicita determinazione di legge non lo vieti".
Rapportarsi, dunque, al modello romano, sul presupposto del suo insuperato valore teoretico, non per fare dell'archeologia, ma per meglio capire il presente, liberandosi dal,'e approssimazioni e dalle forzature introdotte con i codici francesi, contro cui egli non perse occasione per polemizzare. La "dommatica" e la "storia" si incontravano e anzi dichiaratamente si mescolavano nello scopo "pratico", che è quello proprio della conoscenza giuridica.
A quegli anni romani devono attribuirsi gli studi che confluirono nelle voci Accessione e Adozione dell'Enciclopedia giuridica italiana, edita da Vallardi, ed un breve ma succoso parere, pubblicato sotto forma di lettera a Vittorio Imbriani, Sul diritto di apporre epikrafi nei sepultuarii famigliari, Roma 1881.
Nel novembre del 1882 il D. venne chiamato - su sua domanda, per ragioni di salute - alla cattedra di diritto romano della facoltà napoletana, lasciata vacante da G. Polignani, scomparso nell'agosto precedente.
Commemorando solennemente, qualche mese dopo, lo studioso ed il maestro, al quale era legato da antica amicizia, il D. ne tracciò un profilo appassionato che veramente può essere considerato il più ampio compendio dei suoi medesimi convincimenti sopra il significato e la funzione della romanistica e, in generale, della conoscenza giuridica (Commemorazione di G. Polignani. Discorso letto nella università di Napoli il giorno 10 giugno 1883, Napoli 1883). "Avvezzo per antica abitudine - scrisse di Polignani (p. 21) - a spiare i più minuti movimenti del diritto nella pratica della vita, informava gli alunni a quel sicuro intuito giuridico che preserva dalle inutili e vaghe astrattezze, vero penicolo delle menti giovanili, e che produce i suoi tristi effetti allorché queste dalle astratte contemplazioni sono chiamate a regolare i rapporti sociali". Perciò "egli aveva sempre dinanzi alla mente di formare il giureconsulto secondo l'odierno stato della legislazione" e o credea che il professore dovesse intrattenersi in special modo su quegli istituti che possono e deggiono rispondere ai bisogni pratici e perenni di ogni comunanza civile, che si muovono ed agitano sotto quei preziosi frammenti del Digesto" (p. 20). Del resto, proprio lo scopo pratico poteva fargli avvertire l'esigenza di "conformare lo studio sistematico all'esegetico" e di ritornare sempre alle fonti, per quanto al loro apparente disordine si opponesse il nitore della moderna dommatica. È ben vero che la semplice esegesi può condurre ad uno studio frammentario e superficiale; ma - osservò il D., prendendo le distanze da uno degli atteggiamenti più caratteristici della pandettistica che egli stesso, tra i primi, aveva contribuito ad importare in Italia - "non si può sconvenire che il sistema, portato alla esagerazione, ci potrebbe condurre ad un altro e forse peggiore inconveniente, che qua e là si manifesta specialmente in Germania ed in particolar modo nei libri destinati all'insegnamento. Per la mania di generalizzare troppo e di parere ad ogni costo originali, non potendo gli scrittori sottrarsi all'influenza del tempo in cui vivono, lo studio dei testi è in certo modo trasandato e qualche volta anche falsato. Spesso il concetto giuridico di una disposizione, l'indole e le movenze di un istituto di diritto si concepiscono attraverso delle idee moderne. Vero è che ogni principio generale che si enuncia, ogni fondamento giuridico che si assegna a questo od a quell'altro istituto si cerca riprovare coi testi; ma però spesso è il testo che s'interpreta in guisa da farlo servire ad una idea individuale preconcetta, non è la teoria che si rileva e si ricava dal testo delle disposizioni legislative" (pp. 25 s.).
Seguitando a rivolgere principalmente alla scuola le sue fatiche di studioso, il D. svolse anno per anno dei corsi monografici su argomenti civilistici, - quasi tutti poi pubblicati in edizione litografata con la collaborazione del suo allievo e nipote Nicola Minutillo, studente di quarto anno nel 1882, poi libero docente di diritto romano, che il D. amò con affetto di padre: Corso di diritto romano: Della proprietà (a. a. 1882-83); Successione testamentaria e necessaria (a. a. 1884-85); Della successione (II; a. a. 1885-86); De iure in re aliena (a. a. 1886-87 e a. a. 1887-88); Diritti di obbligazione (a. a. 1888-89 e 1889-90); Del possesso (a. a. 1890-91); Dei diritti reali (I: Della proprietà) (a. a. 1893-94, pubblicato a stampa, Napoli 1893-94). Accanto alle lezioni ufficiali egli tenne poi anche per alcuni anni un corso libero di esegesi delle fonti del diritto romano.
Sempre alla sua funzione di maestro devono ricondursi sia la frequente partecipazione a commissioni di concorso per cattedre universitarie (nel 1881 per es. insieme a Filomusi Guelfi, per la cattedra di diritto romano a Roma, per la quale concorrevano, tra gli altri, V. Scialoja e B. Brugi), sia anche, dal maggio 1888 e per il previsto quadriennio, la sua attività di membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, di nomina elettiva in rappresentanza delle facoltà di giurisprudenza - al fianco, tra gli altri, di F. Serafini, F. Schupfer, E. Vidari, anch'essi di nomina elettiva, e di S. Cognetti de Martiis e L. Mattirolo di nomina ministeriale - (il provvedimento di nomina è il r. d. 29 apr. 1888).
Socio dell'Accademia Pontaniana e dell'Accademia di scienze morali e politiche della Società reale di Napoli, vi lesse alcune importanti memorie, nelle quali confermò l'importanza dello studio "storico" per le questioni di diritto positivo: La dottrina della conferma e della ratifica degli atti nulli per difetto di forma secondo il codice civile italiano, Napoli 1885, poi su Il Filangieri, nello stesso anno e da questo estratta, Napoli 1885, con il titolo Della ratifica e conferma degli atti nulli in modo assoluto per effetto [sic] di forma secondo il codice civile italiano; Considerazioni sul capoverso dell'art. 890 del codice civile italiano, Napoli 1888; La personalità dello schiavo nel diritto romano, Napoli 1891). Fu anche animatore e poi presidente onorario del Circolo giuridico di Napoli, costituito sul modello di quello palermitano per radunare, come in una libera palestra, giuristi pratici e teorici.
Tra gli ultimi lavori romanistici sono la voce Obbligazione dell'Enciclopedia giuridica italiana - scritta in collaborazione con C. Ferrini - e quella Successione (diritto romano), redatta per il Digesto italiano. Fedele alla sua vocazione di docente ed al suo costume di uomo onesto e mite, volle continuare a tenere le sue lezioni fin quando la salute, sempre più malferma, glielo consentì.
Morì a Napoli il 25 genn. 1895.
Fonti e Bibl.: Per i dati anagrafici: Terlizzi, Arch. parrocchiale, reg. dei battesimi ed i registri di stato civile di quel Comune. Sul periodo della formazione: Molfetta, Arch. diocesano. Seminario vescovile, libri di amministrazione 1843-44, f. iv e 1846-47, f. iv. Preziose informazioni si ricavano da alcune lettere del D. a Mittermaier (e in particolare da quella datata 5 genn. 1861), conservate in Heidelberg, Universitätsbibliothek, Heidelb. Hs. 3468 e qui fornitemi da A. Mazzacane. Per diversi particolari di vita e di costume, possono anche essere utili - spesso come diretta testimonianza - l'ormai classico La fine di un Regno di R. De Cesare (allievo dei D.) - che cito nella edizione di Roma 1975 -, spec. I, pp. 82 ss.; e II, pp. 103, 108, 130 ss. e ancora di R. De Cesare, A. Scialoja. Memorie e documenti, Città di Castello 1893, pp. 6 e 47 (con rinvii allo studio di suo zio, Carlo De Cesare, La vita, i tempi e le opere di Antonio Scialoja, Roma 1879). Sul suo insegnamento privato, a parte il carteggio Mittermaier, utilissime le testimonianze di diversi suoi allievi: da quelle raccolte In memoria del prof. N. D. nel primo anniversario della sua morte, Napoli 1896, a quella di V. Scialoja, N. D., in Bull. dell'Ist. di diritto romano, VII (1894), pp. 302 ss., ripubblicato in Scritti giuridici, Roma 1934, II, pp. 30 ss.; da quelle che si trovano in Onoranze a N. D., Napoli 1913 (con un discorso ufficiale di C. Fadda), a quella di C. Villani, Scrittori e artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, p. 302. Sul suo itinerario accademico: Arch. centrale dello Stato, Min. della Pubbl. Istruzione, Div. istr. sup., fasc. personali (il versam.), De Crescenzio Nicola, dove si conservano - tra gli altri - alcuni atti della commissione esaminatrice nel concorso per l'ordinariato (su cui cfr. anche Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, processi verbali, 1875, 3, 2901; 1876, 1, 3; e 1876, 1, 161). Diverse altre notizie - con un dettagliato stato di servizio - nel fascicolo personale conservato nell'università di Roma (uff. pers. n. 4758). Sull'esperienza di governatore dell'ospizio dell'Annunziata, cfr. le carte conservate nell'Arch. stor. di questo Istituto, spec. quelle relative ad atti e verbali del governo negli anni 1870-76; qualche dato in G. D'Addosio, Origine, vicende stor. e progressi della Real Santa Casa dell'Annunziata di Napoli (ospizio dei trovatelli), Napoli 1883, pp. 278, 606. Sulla costituzione della Società per Il Foro italiano, cfr. i rogiti dei notaio E. Serafini di Roma in data 19 dic. 1875, rep. 6442 e 6443, in Archivio di Stato di Roma, 30 Notai capitolini, uff. 13, not- Serafini E. Sulla nomina a membro del Consiglio superiore della P, I., cfr. il registro conservato negli uffici del Consiglio medesimo (con l'elenco dei componenti dal 1881). Varie notizie in: A. De Gubematis, Dicrionnaire intern. des écrivains dujour, Florence 1890, p. 78r, R. La Volpe, Commemorazione di N. D., in Atti dell'Accad. Pontaniana, XXVIII (1898), pp. 1 ss.; N. Spano, L'università di Roma, Roma 1935, pp. 165 e 337; R. Trifone, L'univers. degli studi di Napoli dalla fondazione ai giorni nostri, Napoli 1954, p. 143; G. Guastamacchia, Quadri e figure di storia terlizzese, Molfetta 1967, p. 127; A. Pappagallo, Uomini nella storia di Terlizzi, Bitonto 1969, p. 30.