DE DOMINICIS, Saverio Francesco
Nato a Buonalbergo (Benevento) il 22 marzo 1845 da Vincenzo e Nicoletta Marinari, seguì gli studi liceali nel capoluogo e nel 1864 si iscrisse, come allievo della Scuola normale, all'università di Pisa dalla quale uscì laureato in filosofia nel 1868. Dopo oltre un decennio passato ad insegnare nei licei di Cremona (1869-70). Venezia (1870-72), Bologna (1872-74) - dove, nel 1874, aveva sposato la bolognese Maria Angiolina Colognesi, nata il 25 ag. 1855 - e Bari (vi fu trasferito d'ufficio per le sue idee filosofiche evoluzionistiche, nel 1874, rimanendovi per oltre sei anni), nel 1881 fu nominato professore straordinario di pedagogia nella facoltà di lettere e filosofia dell'università di Pavia. A Pavia insegnò fino al collocamento a riposo avvenuto nel 1920, e tenne, tra il 1885 e il 1904, anche l'incarico di filosofia morale e, tra il 1904 e il 1909, quello di filosofia della storia.
Nel quasi quarantennio del suo insegnamento partecipò attivamente alle battaglie culturali nazionali e fu interprete sensibile dei movimenti politici e sociali che si venivano manifestando, ma non aderì mai ad alcun partito politico, né ricoprì incarichi ufficiali: fu soprattutto un professore e un intellettuale, che venne esercitando un preciso ruolo di critico acuto ed aperto nei confronti della politica scolastica che fu tipica dell'età liberale e della stessa evoluzione della società italiana postunitaria. Ormai quasi dimenticato (dopo gli attacchi sferratigli dagli idealisti, con in testa Gentile che lo aveva accusato di "scientismo", di "dommatismo" e di "materialismo", ma anche per la dissoluzione che aveva investito il "fronte" positivistico, perfino in pedagogia, a cominciare da circa il 1895) morì a Pavia il 16 nov. 1930.
L'aspetto caratterizzante del pensiero del D. va individuato nell'adesione alle teorie evoluzionistiche, che espose nella sua prima opera filosofica organica (La dottrina dell'evoluzione, I, L'organismo della filosofia positiva, Torino 1878; II, Le forme e le leggi dell'evoluzione, ibid. 1881), dopo essersi occupato di problemi antropologici (L'antropologia in relazione all'educazione nazionale, Venezia 1871), di filosofia politica (Filangieri o l'idea dello Stato nella filosofia italiana del secolo XVIII, Bologna 1873) e di alcuni momenti del pensiero moderno (Galilei eKant o l'esperienza e la critica nella filosofia moderna, ibid. 1874).
Se il D. riconosceva a Comte di essere stato il fondatore della "filosofia positivista", di aver colto la funzione centrale assunta dalla scienza nel mondo moderno, di averla separata dalla metafisica e di averne reclamato con vigore l'unità metodologica - come sosteneva in Il concetto pedagogico di Augusto Comte (Palermo 1884) -, soltanto con Darwin e la teoria evoluzionistica si era posta una base scientifica alla pedagogia, in quanto si erano collegati, più strettamente, lo psichico e il biologico, si era prospettata una interpretazione dinamica ed evolutiva delle attività psichiche, si era, inoltre, ricongiunto l'individuo alla specie, sottolineando l'aspetto sociale di ogni esperienza sia a livello biologico e fisiologico, sia a livello storico-culturale, riconnettendola anche ai principi della "razza" e della "nazione". Il darwinismo fondava infatti una "nuova psicologia" che faceva da "base scientifica" alla pedagogia. Questa psicologia che si articola "sulle leggi fondamentali dell'essere vivente, rischiarata dallo studio dell'organo fondamentale dell'attività psichica, il sistema nervoso, mentre sola può dare la genesi delle facoltà e mostrame le leggi, è, dall'altra parte, necessariamente portata a studiare il soggetto in relazione all'oggetto, l'uomo in relazione all'ambiente, tanto fisico quanto morale", come affermava in La pedagogia e il darwinismo, pubblicato a Bari nel 1874 (ma poi ancora a Napoli nel '79 ed a Torino nel 1900). Tuttavia, va ben rilevato, il suo darwinismo risultava assai lontano dalle implicazioni reazionarie (razzistiche e nazionalistiche) del "darwinismo sociale" diffuso anche nella cultura italiana degli ultimi decenni dell'Ottocento, anzi si collocava su un versante decisamente progressista, attento sì alle dinamiche sociali, ma per cogliere in esse le tensioni emancipatrici e le richieste democratiche.
Questa posizione teorica, caratterizzata da una forte adesione alle tesi di Darwin, su cui si innestano però motivi comtiani ed elementi lamarckiani, resterà presente nel D. fino alla fine della "carriera" intellettuale; la ritroviamo sullo sfondo anche della sua opera più impegnata e matura, di quella Scienza comparata dell'educazione, uscita in quattro volumi tra il 1908 e il 1913 presso editori torinesi e milanesi. Nel primo volume, dedicato all'Antropologia pedagogica, il D.delinea uno "studio dell'educando" che dal piano strettamente psicologico risalga al fisiologico e al biologico, per inoltrarsi poi nel sociale, indagando le varie istituzioni formative, con un'attenzione particolare verso la scuola (questi temi sono messi al centro del secondo volume: Vita interna della scuola). Il terzo e il quarto volume sono dedicati alla Sociologia pedagogica e alla Storia della pedagogia. Il volume che tratta la Sociologia può essere considerato., con lo scritto sul darwinismo, il testo maggiore della pedagogia del De Dominicis.
In esso si afferma non solo la necessità dell'educazione "per la conservazione della specie", ma soprattutto la sua intrinseca socialità, presente già a livello animale, che si manifesta nel ruolo educativo primario svolto dalla famiglia e dal contesto socio culturale. Ciò viene a indicare la socializzazione come il fine stesso dell'educazione, ma essa si definisce, nell'età presente (scientifica e democratica), come ispirata a "scopi e fini sociali generali", rappresentati dal patriottismo o dalla formazione di una "personalità sociale", oltre che dall'"eguaglianza", dalla "giustizia" e dalla "solidarietà" che "costituiscono i sommi imperativi della coscienza civile" (p. 331). Da questi fini g*enerali dell'educazione consegue che l'opera di formazione delle giovani generazioni deve essere svolta dallo Stato ("la famiglia è insufficiente all'opera educativa richiesta dal nostro tipo sociale; impotente e disadatta è la Chiesa"), che diviene quindi lo strumento essenziale dell'"uguagliamento umano" (p. 411).
La posizione positivistico-evoluzionistica, presente nelle opere maggiori, sta al centro anche delle varie raccolte di saggi pubblicate dal D. (Studi di pedagogia, Milano 1884; Idee per una scienza dell'educazione, Torino 1900), come pure della Rivista di pedagogia che il D. diresse a Pavia dal 1906 al 1910 e che si occupò prevalentemente di problemi di politica scolastica.
Alla luce di una concezione statale, laica e progressista dell'educazione il D. venne sviluppando, nel corso della sua lunga attività intellettuale, un'analisi attenta delle istituzioni scolastiche dell'Italia postunitaria, mettendone a nudo con decisione ed acume le carenze e le disfunzioni e proponendo alcuni precisi rimedi, ispirati ad una visione democratico-egualitaria del ruolo dell'istruzione pubblica che viene ad articolarsi in un preciso "programma neoilluministico" (Tisato, 1973). Questo impegno educativo e civile portò il D. a sostenere un movimento d'opinione che prese il nome di Partito nazionale della scuola, il quale ebbe anche un organo di diffusione dei suoi ideali (Annata pedagogica), che vide la luce a Milano nel triennio 1898-1901.
Nelle sue analisi della situazione scolastica in primo luogo il D. sottolineava la questione della "scuola elementare", che risultava in Italia "difficilissima". Per rilanciare l'istruzione elementare riteneva necessario che essa venisse ad ispirarsi alla "logica dell'utile" e non del "superfluo", dei "vacuo", dell'"infecondo", rispondendo al "bisogno delle classi agricole ed operaie", e che dovesse riorganizzarsi come scuola "popolare o nazionale". Si trattava, inoltre, di introdurre i nuovi principi pedagogici nella vita della scuola, rendendo "piacevole" il lavoro scolastico e ricollegandolo alla "evoluzione storica dell'umanità".. e di mettere al centro dell'insegnamento una fede radicalmente laica. Infine, sul piano amministrativo, il D. delineava una scuola in cui fossero rappresentati non solo il comune o lo Stato, ma, prima di tutto, i lavoratori della scuola e sosteneva che essa dovesse essere finanziata direttamente dai cittadini. In questo quadro di riforma un posto centrale veniva assegnato anche ai "giardini dinfanzia" gestiti dallo Stato, che dovevano riallacciarsi all'insegnamento dell'Aporti e del Fröbel (Educazione infantile: manuale per le mamme e le educatrici, 2 voll., Milano 1900-1901).
Anche sul terreno della scuola secondaria il D. espresse critiche e proposte decisamente avanzate: reclamò, in Classicismo e tecnicismo (pubblicati negli Studi di pedagogia), un superamento del dualismo che si stava creando tra formazione classica e formazione tecnica, attraverso una riunificazione dei due tipi di scuola, in modo che "le stesse istituzioni scolastiche, cui s'indirizzano le classi, economicamente meglio provvedute dalla società, si distacchino dal medesimo tronco e dopo una certa unione mentale e morale" con le classi inferiori; si oppose esplicitamente alla formazione soltanto culturale e non professionale degli insegnanti - "i professori entrano nell'insegnamento secondario senza coscienza del proprio ufficio: cominciano come mestieranti", scriveva in Le nostre università e le nostre scuole secondarie (in Rivista di filosofia scientifica, II [1882], pp. 166-185) - ed auspicò la creazione di "scuole di magistero", teoriche e pratiche; respinse ogni "concorrenza clericale" nell'insegnamento secondario, in, opposizione al "classicismo", al "formalismo", all'"esteriorità" che ne connotava il modello di istruzione (I seminari e la concorrenza clericale nell'istruzione pubblica, in Rivista difilos. scientifica, I [1881], pp. 186-200).
In un importante discorso tenuto nel 1890 a Pavia - Le università trasformate in Comuni scientifici (Bergamo 1890) - il D. affrontava il problema della riforma universitaria. Anche in'questo caso le sue tesi sono assai radicali: l'università è "in isfacelo", non come centro di produzione culturale, ma "nell'impianto legislativo e regolamentare", dovuto al "caos di disposizioni burocratiche", il quale rispecchia, a sua volta, il "modo come fu intesa e condotta l'ultima nostra rivoluzione politica", che, secondo il D., non era stata né una rivoluzione etica né una rivoluzione democratica. Di qui la necessità di interventi capaci di rinnovare profondamente le strutture dell'università: si dovranno affermare concretamente i "diritti dello studente" (libera immatricolazione, partecipazione alle elezioni delle cariche, libertà dei piani di studio, ecc.); sarà necessario ricollegare l'università alla società (delegandola a formare, ad un tempo, scienziati e professionisti; sopprimendo le facoltà e sostituendovi le "sezioni", più sensibili agli scambi interdisciplinari; realizzando una vera "libera docenza"); l'università, inoltre, dovrà "assumere il volto di un Comune scientifico", in cui la "libertà della scienza dovrebbe essere sovraordinata allo Stato" e in cui si delinei una "personalità giuridica consorziata di comune, provincia, regione, Stato".
Bibl.: F. Modugno, Ardigò e D., Torino 1882; F. Giuffrida, Il fallimento della pedagogia scientifica, Città di Castello 1920, pp. 139-64; G. Gentile, Le origini della filos. contemporanea in Italia, II, I positivisti, Messina 1921, pp. 195 210; S. Caramella, Studi sul positivismo pedagogico, Firenze 1921, pp. 135-51; G. Flores d'Arcais, La pedagogia di S. D., in Rass. di pedagogia, IX [1951], pp. 193-205; U. Spirito, Il pensiero pedagogico del positivismo, Firenze 1955, passim; R. Tisato, Studi sul positivismo pedagogico in Italia, Padova 1967, pp. 99-126; Positivismo pedagogico ital., II,a cura di R. Tisato, Torino 1973, pp. 849-906; N. Maresca, S. F. D. (necrol.), in Ann. della R. Univ. di Pavia, 1930-31, pp. 239-40.