DE FERRARI, Giovanni Andrea
Nacque a Genova nel 1598 da "famiglia qualificata", essendo il padre Battista "d'ottimi costumi e di perfetta indole", come ricorda il Soprani (1674, p. 255), che conobbe personalmente il D. e gli fu vicino negli ultimi anni. Dopo essersi dedicato allo studio delle lettere (Soprani Ratti, 1768, I, p. 267), ancora molto giovane, iniziò a maneggiare i pennelli presso la bottega di Bernardo Castello, venendo così a contatto con l'ambiente influenzato dalla cultura manieristica toscana.
Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento erano molti gli artisti toscani che lavoravano a Genova: Aurelio Lomi, Simone Balli, Pietro Sorri, Agostino Tassi, Ventura Salimbeni.
Dopo breve tempo passò agli insegnamenti dello Strozzi: il primo fondamento manieristico si arricchisce così con l'apporto di un colore ricco e corposo che sulla tela si concretizza in materia. Le prime opere risentono dell'influsso del maestro anche nella scelta dei tipi iconografici e nel modo di trattare l'incarnato dei volti, tanto da essere i quadri del D., spesso ritenuti opera del maestro (Soprani-Ratti, 1768, I, p. 267).
Ma, mentre il colore dello Strozzi esalta la luce, quello del D. diventa sempre più trasparente: risente delle opere di A. Van Dyck, presente a Genova, lo copia, ne studia a lungo i ritratti e nella moltitudine dei personaggi che il genovese affolla nei suoi quadri, isola i volti, sapientemente colti dal vero.
L'ambiente culturale in cui operò era uno dei più aperti, ed il D. fece proprie le varie esperienze, giungendo ad annunciare l'affermarsi della pittura naturalistica ligure. Non è escluso che il D. abbia avuto contatti diretti col caravaggismo a Roma, dal momento che nel 1634risulta nell'elenco degli iscritti all'Accademia di S. Luca (M. Piacentini, Documenti, in Archivi d'Italia, VI [1939], p. 172); d'altra parte, Orazio Borgianni e Orazio Gentileschi avevano lasciato opere a Savona e Genova. Non sono da trascurare infine gli influssi della pittura veneta, specialmente i dipinti del Bassano, e la presenza di artisti stranieri a Genova nella prima metà del Seicento, come Rubens e Velásquez, dal quale apprese una morbidezza di impasti di tipo spagnolo.
Il ritrovamento del documento dell'Archivio di Stato di Genova (Notaio Cuneo Giacomo,filza 9, 27 giugno 1619), riguardante una ordinazione fatta dal D. nel 1619 di dieci quadri di piccole dimensioni da eseguirsi per il convento delle figlie di s. Giuseppe (Falletti, 1956) ci ha permesso di conoscere il momento in cui l'artista, appena ventenne, si era già staccato dallo Strozzi ed operava in una propria bottega aperta nella propria casa (Soprani, 1674, p. 256).
Nella sua bottega si formarono molti artisti come il Grechetto, Valerio Castello, Bernardo Carbone, Giovan Battista Merano, Giovan Battista Croce. In queste tele si rivelano l'interesse per la natura morta, per gli oggetti della vita quotidiana, espressi con una spontaneità che andrà via via esaurendosi nelle grandi tele.
Opera giovanile è pure la figura allegorica della Giustizia, commissionata dal governo della Repubblica genovese per decorare il palazzo ducale; mentre la Temperanza è firmata e datata 1651 (Belloni, 1974, p. 13); le due figure che dovevano essere accanto alle figure allegoriche dell'Ansaldo e del Fiasella, ora sono conservate nei depositi di Palazzo Bianco.
Sempre al primo periodo del D. appartengono la Natività della Vergine, nella chiesa di Nostro Signore del Rimedio (F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, I,Genova 1846, p. 169), e l'Adorazione dei pastori, nella quadreria dei cappuccini di Voltaggio.
Nel 1624 firmava e datava la tela con la Predica di s. Tommaso davanti al re delle Indie, eseguita per l'oratorio intitolato al santo, probabilmente contemporanea di quella raffigurante S. Tommaso condannato alla prova del fuoco, sempre nella stessa chiesa. Di questi anni è pure il Martirio di s. Andrea per la chiesa dello Spirito Santo (Soprani, 1674, p. 257) ora in S. Maria dei servi, e le tele raffiguranti la Morte del giusto e la Morte del peccatore all'Albergo dei poveri. Inizia con queste opere il periodo delle grandi pale d'altare che si protrarrà fino al 1635 circa.
Scrive il Soprani (1674, p. 256): "intesa la virtù del novello pittore tutti furono avidi di recargli da operare... ebbe commissioni di gran tavole, e di smisurata grandezza e furono in tanta copia che io stesso stupisco dirlo".
È il momento di maggiore fortuna dell'artista, anche se la ricca produzione va talvolta a scapito della qualità. Spesso sono gli aiuti a compiere gran parte dell'opera e le esigenze della committenza impongono schemi che tolgono al pittore parte della sua freschezza e spontaneità. Una conferma a tale affermazione ci è data dal confronto tra il bozzetto raffigurante la Vergine che intercede per le anime purganti della Pinacoteca civica di Savona (Rotondi, 1951, p. 280; La Pinac. civica di Savona, Savona 1975, pp. 110 s.) e l'opera stessa eseguita per la chiesa di S. Agnese (Soprani, 1674, p. 257), oggi nella chiesa del Carmine. La grandiosità della rappresentazione non è consona allo spirito del D. che preferisce soffermarsi su brevi brani di natura morta e sulla realtà più vera delle cose.
Nel 1630 firmò e datò l'Angelo custode per la parrocchiale di Santa Margherita Ligure e la Natività di Maria per S. Ambrogio a Voltri: il distacco dallo Strozzi è ormai completo. L'artista si rivela padrone dei propri mezzi espressivi ed incline al naturalismo popolare di tipo spagnolo.
Di poco posteriore è la tela con l'Elemosina di s. Antonio, dipinta per la chiesa di S. Domenico ed ora nella parrocchiale di Montoggio, e il Transito di s. Giuseppe, per S. Francesco a Castelletto ed ora nella chiesa di S. Rocco; mentre l'anno seguente eseguirà la Madonna col Bambino e santi della parrocchia di Alassio (firmata e datata).
Del 1635 è un'altra opera di Alassio firmata e datata: la Madonna del Carmine.
Merito della Falletti (1956, p. 164) è di avere trovato nell'Archivio di Stato di Genova ' il contratto del 7 maggio 1633 per un quadro dipinto per l'oratorio di S. Giovanni Battista e S. Chiara di Ventimiglia con il Battesimo di Gesù con S. Chiara (oggi disperso: Belloni 1974, p. 10). Degli stessi anni sono pure i Tre santi vescovi della chiesa parrocchiale di Recco.
Nel 1634 firmava e datava il Miracolo di s. Brigida ora all'Accademia Ligustica, che può affiancarsi alla rappresentazione di un altro miracolo: quello del Santo che resuscita un muratore caduto, oggi pure esso all'Accademia, del quale riprende lo schema compositivo: le figure si dispongono in due semicerchi creando lo spazio, illuminato al centro, nel quale la rappresentazione è carica di pathos.
Dopo il 1635 non abbiamo più opere datate, ma parallelamente e nel periodo successivo alle grandi pale d'altare, il D. eseguiva per la committenza privata quadri di più modeste proporzioni dove, meno soggetto a rigidi schemi, esprimeva il meglio della propria produzione.
Il Belloni (1973) negli inventari delle quadrerie private, conta trentaquattro quadri in dieci raccolte su sessanta. Prevalgono i soggetti biblici nei quali l'artista esprime, attraverso poche figure e spazi limitati, una vena più schietta e sincera, priva di retorica. Nei gesti appena abbozzati, nell'incrociarsi degli sguardi si stabilisce un rapporto psicologico intimo ed affettuoso tra i personaggi che emergono per effetto di luci ed ombre; e nella semplificazione del tema scompaiono molti particolari descrittivi ridotti ad alcuni brani di natura morta. Ne sono esempi le due versioni dello Scherno di Cam (Palazzo Bianco a Genova e Pinacoteca di Parma), l'Ebrezza di Noè (Accademia Ligustica e Pinacoteca di Parma), la Vendita di Giuseppe, i Fratelli di Giuseppe mostrano la tunica insanguinata a Giacobbe (Galleria nazionale d'arte antica di Roma), l'Abramo visitato dagli angeli (del Museo di Saint Louis nel Missouri), Giuseppe rifiuta i doni dei fratelli (galleria Acquavella di New York), Esaù e Giacobbe (Galleria di Palazzo Bianco a Genova), la Rebecca al pozzo (in coll. priv. a Genova: Castelnovi, 1971, p. 158).
Ma anche quando i Doria gli commissionano una pala d'altare come il S. Felice di Valois per la chiesa di S. Benedetto a Genova, il suo modo di dipingere è ormai lontano dalla ricerca retorica delle tele più accademiche, spinto da una umanità più sincera. Un gruppo di opere sono attribuibili all'ultimo periodo, verso la metà del secolo, quando il D. giunge ad alti risultati di realismo sorretti da una religiosità vera e da una profonda spiritualizzazione delle scene, come nella Morte di S. Giuseppe dipinta per la chiesa di S. Nicola.
Anche il colore si esalta componendosi in pastosi contrasti di luci ed ombre e in lumeggiature, attraverso guizzi di luce dall'andamento serpentino. Costruite attraverso contrasti punteggiati di luce ci appaiono le figure di Agar e l'angelo (nelle due versioni: dell'Annunziata e in quella iconograficamente più semplificata, della collezione Cerruti a Genova), come nella Samaritana al pozzo di collezione privata genovese (Castelnovi, 1971, p. 158).
Nella Deposizione (ora in collezione privata; Castelnovi, 1971, p. 120) le esperienze maturate dal Van Dyck e le influenze del caravaggismo si uniscono al luminismo lombardo raggiungendo effetti di alta dramiúaticità, espressi nella contrapposizione dei gesti e nelle accentuazioni luminose.
Il D., che non aveva mai preso moglie (Soprani, 1674, p. 258), in età avanzata vestì l'abito talare, e pur non essendo mai stato ordinato sacerdote, fu nominato dai posteri "il reverendo" (Belloni, 1974, p. 12).
Conclude il Soprani (1674, p. 258), o molto egli dipinse e più ancora dipinto avrebbe, se la podagra e la chiragra non lo avessero sovente confinato nel letto ... fu necessitato per meglio cura del corpo ... farsi condurre agli Incurabili...".
In questo ospedale il D. morì il 25 dicembre del 1669, a più di settant'anni di età.
Il Belloni (1974, pp. 15 s.) riporta i due testamenti del D. nell'ultimo dei quali, datato 8 febbr. 1669, esprime la volontà di essere sepolto. nella chiesa di S. Brigida, vicino al padre.
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