De Generatione animalium
. Opera di Aristotele, in cinque libri, collocata dagli editori all'ultimo posto degli scritti zoologici, mentre per Aristotele seguiva immediatamente il De Partibus animalium.
Fu trasmessa al Medioevo latino sia attraverso una versione dall'arabo sia attraverso una versione dal greco. Nella tradizione araba il De G. faceva parte, con la Historia animalium e il De Partibus animalium, del'corpus De Animalibus (19 libri), invece nella versione dal greco esso costituiva un'opera a sé stante e manteneva il proprio titolo. Il De Animalibus fu tradotto dall'arabo in latino a Toledo, prima del 1220, da Michele Scoto, il quale ne tradusse anche l'Abbreviatio di Avicenna e il compendio di Averroè. Quest'ultimo fu tradotto parzialmente anche dal francescano Pietro Gallego, vescovo di Cartagena (1250-1267). Dal greco esistono due versioni del De G., una conservata nel codice Pat. Ant. XVII 370, detta perciò " antoniana ", e una attribuita a Guglielmo di Moerbeke. H.J. Drossaart Lulofs ha dimostrato che la versione antoniana non è che la prima edizione della versione di Guglielmo. L'opera, oltre che compendiata da Avicenna e Averroè, fu parafrasata da Alberto Magno e commentata da Pietro Ispano. La lettura del De Animalibus, e quindi del De G., fu resa obbligatoria nella facoltà delle Arti a Parigi a partire dal 1255.
D. cita esplicitamente il De G. una sola volta, cioè in Quaestio 28 cum Deus et natura semper faciat et velit quod melius est, ut patet per Phylosophum primo ‛ De coelo et mundo ' et secundo ‛ De generatione animalium ', dove si riferisce probabilmente a Coel. I 4, 271a 33 (" Deus autem et natura nihil frustra faciunt "), integrato da Gen. anim. II 1, 731b 25-26 (" divinum causa semper, secundum suam naturam, melioris ", trad. di Guglielmo di Moerbeke). La citazione non è letterale, ma, per il fatto di specificare il titolo dell'opera e il libro, rivela la conoscenza, da parte di D., del De G. anche come opera a sé stante e non compresa nel De Animalibus, quale egli poteva leggere nella traduzione di Guglielmo di Moerbeke.
La lettura diretta dell'opera aristotelica è del resto confermata dalle numerose coincidenze riscontrabili tra essa e la nota esposizione dantesca della generazione dell'anima in Cv IV XXI e Pg XXV. In Cv IV XXI, dopo avere esposto (§§ 1-2) le dottrine di diversi filosofi (Avicenna, Algazel, Platone e Pitagora), sulla base di Alberto Magno, e dopo aver dichiarato (§ 3) di volere esporre quella d'Aristotile e de li Peripatetici, D. afferma anzitutto: quando l'umano seme cade nel suo recettaculo, cioè ne la matrice, esso porta seco la vertù de l'anima generativa e la vertù del cielo e la vertù de li elementi legati, cioè la complessione (§ 4). Questa triplice virtù è accennata in Aristotele Gen. anim. II 3, 736b 29 - 737a 1 (" animae virtus... vocata elementa.... natura... proportionalis existens astrorum ordinationi ") ed esposta sistematicamente in Alberto Magno De Animalibus XVI I 4, 7, 8, 12; De Natura et origine animae 1 5 (cfr. anche Averroè In De gen. an. II 3). L'esposizione prosegue: e matura e dispone la materia a la vertù formativa, la quale diede l'anima del generante. Ora, la dottrina che il seme maschile è causa formale e il mestruo femminile è materia della generazione si trova in vari passi del De G., per es. I 2, 716a 5-7, I 21, 730a 27, II 74, 738b 20-21. Manca invece in Aristotele il concetto di ‛ virtù formativa ', a meno che non lo si voglia trovare in Gen. anim. I 19, 726b 17-19 (" quale illorum [le membra] unumquodque actu, tale sperma virtute "), che è invece ben presente in Alberto Magno, De Animalibus XVI I 6, e Averroè loc. cit. Ma, mentre per Alberto essa è un atto e sostituisce l'anima (nel Nat. orig. an. 1 4, egli la chiama addirittura " inchoatio speciei et formae "), per Averroè essa' è potentia animata e per D. essa è anima in potenza, come risulta dal seguito: e la vertù formativa - continua D. - prepara li organi a la vertù celestiale, che produce de la potenza del seme l'anima in vita. L'affermazione che il seme possiede l'anima in potenza deriva da Aristotele (cfr. Gen. anim. II 1, 755a 5-9 " et habet et est virtute "), come pure quella che quest'anima giunge all'atto (in vita), prima come anima vegetativa e poi come anima sensitiva (cfr. infatti Gen. anim. II 3, 736a 33-36 " spermata et fetus... nutritivam habent animam... procedentia autem et sensitivam "). Infine D. conclude: La quale, incontanente produtta, riceve da la vertù del motore del cielo lo intelletto possibile (§ 5), dottrina che corrisponde ad Aristotele Gen. anim. II 3, 736b 27 (" intellectum solum deforis advenire et divinum esse solum "), integrato da Alberto Magno De Animalibus XVI I 11 (virtù del motore del cielo). Nel complesso quindi l'esposizione del Convivio si rivela strettamente dipendente dal De G., integrato qua e là dai commentatori di cui però non tutte le dottrine sono accolte da Dante.
Ancor più puntuale è la dipendenza da Aristotele dell'esposizione del Purgatorio. Il concetto che il seme maschile sia sangue perfetto che rimane / quasi alimento che di mensa leve (Pg XXV 37-39), deriva da Gen. anim. I 18, 724b 26-27 (" alimenti residuum "); I 19, 726a 26-27 (" superfluitas est sperma utilis alimenti ") e 726b 9-10. Così pure l'affermazione che esso prende nel core a tutte membra umane / virtute informativa (vv. 40-41; cfr. anche vv. 59-60), deriva da Gen. anim. I 19, 726b 15-19 (" quale illorum unumquodque actu, tale sperma virtute "); II 1, 735a 23-26 (" cor... principium "); II 4, 738b 14-17 e II 5, 741b 15, con l'aggiunta del concetto di ‛ virtù informativa ', desunto, come abbiamo visto, da Alberto Magno. Il seguito scende ov'è più bello / tacer che dire (vv. 43-44), parafrasa Gen. anim. I 13, 720a 32 (" ad locum pudendi "). L'affermazione che il mestruo è anch'esso sangue (v. 45) come lo sperma, è desunta da Gen. anim. I 19, 727a 2-4, 725a 25-26, e II 3, 737a 28, e che l'uno è disposto a patire, e l'altro a fare (v. 47) deriva letteralmente da Gen. anim. I 21, 729b 12-18 (" femella... passivum, masculus autem... factivum "); come pure l'affermazione che il seme, giunto lui, comincia ad operare / coagulando prima, e poi avviva / ciò che per sua matera / é constare (vv. 49-51), riprende quasi alla lettera Gen. anim. II 3, 737a 20-22 (" cum venerit ad matricem, constare facit et movet superfluitatem femellae "); II 4, 739a 6-7 e II 4, 739b 20-21 (" cum autem constans fuerit in matricibus segregatio femellae a masculi genitura, simile faciente quemadmodum in lactis coagulo "), con l'aggiunta del concetto di avvivare, desunto da Alberto Magno De Animalibus XVI I 8 (" animando et vivificando "). Il seguito: Anima fatta la virtute attiva / qual d'una pianta, in tanto differente, / che questa è in via e quella è già a riva (vv. 52-54), riprende Gen. anim. II 3, 736a 32-b 15, già citato, dove si ammette prima la presenza in atto nell'embrione dell'anima vegetativa e poi il passaggio a quella sensitiva. A questo proposito D. riprende alla lettera il testo aristotelico, discostandosi, come ha mostrato il Nardi, tanto da Alberto Magno, che parla di inchoatio formae, quanto da Tommaso d'Aquino, che fa sopravvenire dall'esterno l'anima successiva mediante la corruzione della precedente. Sul paragone con la vita della pianta cfr. Gen. anim. III 2, 753b 27-28, e V 1, 779a 1-2. Infine l'avvento dell'anima razionale (vv. 70-72 lo motor primo... spira / spirito novo) corrisponde al passo già citato di Gen. anim. II 3, 736b 27-28. Anche da questa esposizione risulta la stretta dipendenza di D. dal testo aristotelico, integrato di volta in volta da Alberto Magno, di cui non sempre però è accolta la dottrina. Si può dire che, se con Alberto D. esclude la corruzione dell'anima inferiore all'avvento di quella superiore, ammessa da Tommaso, per affermare invece un passaggio continuo, con Tommaso egli afferma la presenza di un'anima in atto in ogni fase dello sviluppo dell'embrione, escludendo la dottrina della inchoatio formae ammessa da Alberto Magno. In ciò egli non fa che aderire alla lettera del testo aristotelico.
Dal De G. possono infine derivare altre dottrine d'importanza minore, quale quella di Cv IV XXIII 7 l'umido radicale... lo qual è subietto e nutrimento del calore, che è nostra vita, corrispondente a Gen. anim. II 1, 732b 31 e 733a 11; Pd I 115 Questi ne porta il foco inver' la luna (cfr. anche Cv III III 2), che corrisponde a Gen. anim. III 11, 761b 15-16; e Cv III IX 9 (perché la visione sia verace occorre che l'acqua della pupilla sia pura), che corrisponde a Gen. anim. V 1, 780b 22-26.
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