De gli occhi de la mia donna si move
Sonetto assegnato a D. nella raccolta Giuntina (1527) e registrato dal Barbi tra le " Rime del tempo della Vita Nuova ": " stilnovistico tipico, e si vorrebbe dire medio " (Contini). Il motivo ‛ luminoso ' della prima quartina richiama, infatti, nonché il Guinizzelli (il Cavalcanti, per es., di Veggio negli occhi della donna mia) taluni inizi e sviluppi della Vita Nuova (v. i sonetti dei capp. XXI e XXVI); " da quel primo verso esce soprattutto il famoso v. 12 di Tanto gentile: E par che de la sua labbia si mova ".
Ma, a monte del Cavalcanti e della poesia stilnovistica, F. Mazzoni suggerisce (Introduzione all'ediz. Tallone del Tesoretto di Brunetto Latini, 1967, XXIX), per i vv. 3-4 del sonetto come per gli 8-9 di Tanto gentile, precisi rimbalzi brunettiani: in particolare, i vv. 3-4 (che egli cita con un lieve ritocco dell'edizione del '21) si veggion cose ch'uom non pò ritrare / per loro altezza e per essere nove, rimandano a Tesoretto 1233-35 " E vidi tante cose Che già in rime ne in prose No lle poria ritrare ".
E il susseguente motivo ‛ pauroso ', che si articola nel proponimento di fuggir per sempre gli occhi radianti della donna, nel conflitto fra timore e desiderio più forte del timore e, in fine, nella sconfitta e nel ricorso ad Amore perché provveda a uno stato intollerabile, è certo nato sotto il segno della poesia ‛ dolorosa ' di Guido (piove, paura, tremare, paurusi) e s'apparenta strettamente ai sonetti del libello giovanile detti ‛ del gabbo ' (capp. XIV, XV, XVI): Con l'altre donne mia vista gabbate (il solo della Vita Nuova, avverte Contini, che, come il nostro, " mantenga la caratteristica arcaica di far della sirima la continuazione sintattica della fronte "), Ciò che m'incontra, ne la mente more, Spesse fiate vegnonmi a la mente. Perché, ci si chiede, il sonetto non trovò accoglienza nel ‛ libello '?
È probabile, secondo Contini, che esso sia " una sorta di ‛ prova generale ' nell'ordine dei temi stilnovistici ": al che fornirebbe un appoggio la rima siciliana paurusi: chiusi dei vv. 10-12 (corretta in senso toscano, paurosi: tormentosi, nel son. Con l'altre donne). Il Sapegno, che pur vi coglie " i primi accenni al tono grave, esaltato, della ‛ lode ' ", lo ritiene - come già il Guerri - escluso " perché più freddo e scolastico ". Così, per l'Apollonio, esso " segna un altro passo sulla via dello spiritualismo della Vita Nuova ", ma " trattiene tuttora in una zona di esperienza, psicologicamente annotato, il tremore e il misterioso orrore, che nella Vita Nuova rivela la presenza del sovrannaturale e l'essenza beata degli incontri. La rivelazione autentica non comporterebbe l'incertezza che qui si confessa... ". Infine D.De Robertis, riecheggiato dal Foster, insiste sul divario che corre tra il sonetto (e altre rime affini non incluse nella Vita Nuova: Lo doloroso amor, Ne le man vostre) e i sonetti ‛ del gabbo ' " rivolti esclusivamente alla rappresentazione della passione " e aventi riscontro in testi cavalcantiani (VI, VIII, XV, XXII, XXXIII) che " nella quasi totalità vertono solo su quella ". Essi esprimono un " momento immaginativamente e stilisticamente ben caratterizzato " dell'esperienza poetica di D., in netto contrasto col nuovo momento della ‛ loda ' che rifiuta " ogni equivoco tra passione e contemplazione, tra beatitudine e tormento, tra dolcezza e agrezza ". Il nostro è, invece, un sonetto " di tono medio indifferente " e testimonia " per un'ispirazione ancora esitante, e trapassante facilmente dal momento contemplativo a quello angoscioso " (" ...alla fine, il moto dei sentimenti è affidato alle spezzature sintattiche ").
Per alcune grandi ‛ variazioni ' dei vv. 6 e 11, cfr. Pg XXX 34 ss.
Bibl. - Rime di D. coi commenti di: N. Sapegno (Vita Nuova e scelta dalle opere minori, Firenze 1931), G. Contini (Torino 1939, 19462, rist. 1965), D. Mattalia (Torino 1943), M. Barbi e F. Maggini (Firenze 1956), K. Foster e P. Boyde (D.'s lyric Poetry, Oxford 1967, II 86). Si vedano inoltre: G. Cavalcanti, Rime, a c. di G. Favati, Milano-Napoli 1957; N. Sapegno, D., in Storia della Letter. ital., Milano 1965, II 29 ss.; M. Apollonio, D. - Storia della " Commedia ", ibid. 19653, 401, 402; D. De Robertis, Cino da Pistoia e la crisi del linguaggio poetico, in " Convivium " nuova racc., I (1952) 25; ID., Il libro della ‛ Vita Nuova ', Firenze 1961, 80 ss.; ID., Le " Rime " di D., in Nuove Lett. I 295.