DE LUCA, Pier Vincenzo
Nacque a Montepeloso in Basilicata (od. Irsina, prov. di Matera) il 23 nov. 1835 da Saverio e Faustina Di Nardi, e studiò a Molfetta, poi a Napoli, dove si laureò in filosofia e belle lettere".
Appassionato cultore della filosofia hegeliana, nel 1861 fu designato per un viaggio di studio in Germania (17. De Sanctis, Epistolario 1861-1862, Torino1969, pp. 171 s., 175, 249); tradusse dal tedesco varie opere (rimaste manoscritte) e fu tra i primi divulgatori dello storicismo nel Mezzogiorno. Giovanissimo, aprì a Napoli uno studio privato in cui insegnò filosofia della storia "secondo lo stato attuale di questa scienza soprattutto in Germania, e con particolare applicazione alla storia civile e letteraria d'Italia" (Il Popolo d'Italia, 1º dic. 1862); negli anni successivi il suo studio curò la preparazione per la licenza liceale (Libertà e lavoro, 30 dic. 1865), e comprese corsi di lingua greca (Il Popolod'Italia, 14 nov. 1864) e di letteratura italiana (Libertà e giustizia, 1º dic. 1867). Il suo insegnamento, nuovo per i tempi, suscitò grande interesse tra la gioventù che ancora accorreva dalle province nella ex capitale, ed era ricordato a distanza di decenni come "unica scuola privata di sola filosofia, né giobertiana, né galluppiana" (B. Croce, Appunti alla vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, II, Annotazioni, in La Critica, VIII[1910], pp. 212 s.).
Benché vicino al gruppo mazziniano del Popolo d'Italia fin dal 1862, per qualche anno non svolse attività politica. Il D. non condivideva il pensiero filosofico di Mazzini, e non approvava la preminenza che i democratici davano al completamento dell'Unità con Roma e Venezia. Nel 1865 prese le difese delle dottrine hegeliane, condannate da Mazzini in un suo scritto, IlCesarismo (in IlDovere, 13 maggio 1865; ora in G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, ediz. naz., LXXXIII, pp. 87-105), come la dottrina della forza e dei fatti compiuti. Nell'articolo L'hegelianismo in politica (in IlDovere, 27 maggio 1865) il D. faceva infatti un'ampia esposizione dell'interpretazione storicistica del progresso dell'umanità, mostrando l'insufficienza dei giudizi mazziniani. Intanto aveva cominciato a partecipare all'azione dei democratici. Il 23 genn. 1865 aveva dato inizio ad una serie di conferenze presso la Società operaia napoletana, allo scopo di far degli operai "uomini coscienti di sé, educandoli alla religione del dovere, ed additando loro i propri diritti" (Il Popolo d'Italia, 28 genn. 1865). In un'assemblea di studenti riuniti per protestare contro le trattative tra governo italiano e Curia romana parlò vivacemente contro la Chiesa cattolica, negatrice della libertà in tutte le sue forme (ibid., 15 e 17 maggio 1865). Il D. era probabi" Imente già entrato nella loggia massonica "La Vita nuova", fondata in quell'anno a Napoli da S. Friscia, che raccoglieva "tutti i popolani e tutti i più riscaldati repubblicani delle altre logge", e perciò nel febbraio 1868 era considerata dalla questura di Napoli "la più temibile".
La sua attività si esplicò prevalentemente attraverso la stampa. Collaborò al settimanale Libertà e lavoro, "giornale sociale gratuito per l'educazione del popolo", pubblicato a Napoli dal 2 sett. 1865 al giugno 1866.
In particolare curò una Storia popolare del lavoro in varie puntate (2, 9 e 30 settembre, 9 dic. 1865). Il 14 ottobre, in occasione delle elezioni generali, invitava i popolani all'agitazione per il suffragio universale, adoperando per ora tutte le vie legali, e ricordando, se queste fossero risultate infruttuose, di avere "due onnipotenti ausiliari, il diritto e il numero". In articoli del 4 e dell'11 novembre rimproverava i dirigenti delle società operaie, che se ne stavano "neghittosi e ciaramellando di politica" di fronte ad una epidemia di colera, mentre era il momento di mostrare i benefici dell'associazione, ed esortava operai e popolani ad organizzarsi per combattere il morbo. Nello stesso periodo per Il Popolo d'Italia, in crisi redazionale dall'ottobre 1865 dopo il ritiro di G. Asproni, scriveva articoli "riboccanti di filosofia hegeliana e di socialismo, che erano la negazione del mazzinismo" (Scirocco, p. 236).
L'insoddisfazione per il mazzinianesimo e un profondo senso di impegno sociale spiegano come fosse conquistato dalle idee di M. Bakunin, giunto a Napoli nel giugno 1865. Secondo le testimonianze raccolte da Max Nettlau (pp. 55, 57), il D., benché entrato in un secondo momento nella cerchia bakuniana, ne divenne uno dei più intimi, ed era ricordato come "più socialista degli altri".
A conferma della stima di Bakunin si ricorda che all'inizio del 1867 questi chiese a Ludmilla Assing di raccomandare il D. come corrispondente a qualche giornale tedesco (lettera del 27 febbr. 1867, in Romano, I, p. 198, n. 75).
Per la preparazione culturale e l'esperienza giornalistica il D. fu in primo piano quando il gruppo anarchico ispirato da Bakunin (questi era rimasto volutamente nell'ombra: Scirocco, p. 186) iniziò la sua azione pubblica. La prima manifestazione si ebbe anteriormente alla costituzione ufficiale dell'associazione, in occasione delle elezioni politiche anticipate del marzo 1867. Il gruppo bakuninista pubblicò un ampio manifesto in cui sottolineava la difficoltà della situazione economica italiana, attaccava il governo, esortava gli elettori a dare un voto che suonasse condanna al sistema governativo e al Parlamento, desse lo sfratto alla vecchia Destra e ammonisse severamente la Sinistra, sostituisse al vecchio un nuovo sistema. Il manifesto, che presentava anche un circostanziato programma politico, era firmato dal comitato dirigente dell'associazione, di cui il D. faceva parte.
L'attività ufficiale del gruppo cominciò il 3 apr. 1867 con la costituzione dell'associazione Libertà e giustizia, di cui il D. fu socio. Fin dal primo momento si decise la pubblicazione di un giornale, dallo stesso nome dell'associazione, settimanale, con l'intento di renderlo quotidiano. Il manifesto-programma, già stampato ai primi di aprile, fu opera del D.: lo testimonia Bakunin, al quale sembrava che il D. vi avesse messo troppe frasi e troppe promesse che gli sarebbe stato difficile mantenere (Nettlau, p. 108; Romano, I, p. 249, n. 64).
In esso si rinnova l'attacco al sistema borghese e si insiste sulla necessità di redimere il popolo, che "non è un nudo vocabolo o un'astrazione intellettuale, ma il popolo vivente e reale, le masse, le quali, abbenché col loro immenso lavoro costituissero l'unica e vera base dell'esistenza di tutta quanta la società, son però sfruttate, ammiserite, abbrutite e oltraggiosamente governate mediante istituzioni intese alla garanzia di una minoranza oziosa e privilegiata". Viene attaccata la Chiesa, indicata come il centro della reazione europea, la base del dispotismo e del privilegio; si afferma che "Parlamento, magistratura, polizia, amministrazione, militarismo, burocrazia, dogane, finanze, banche privilegiate, istruzione ufficiale, clero, aristocrazia, borghesia, sono una serie di istituzioni in mezzo alle quali il popolo si ritrova impaniato e privo di libertà, e mediante le quali non altra giustizia, a vero dire, gli si accorda, e non altra uguaglianza che quella della fame, dell'ignoranza, delle galere, degli ospedali e ... del paradiso o dell'inferno dopo la morte"; il giornale vedrà se la loro soppressione o modifica può giovare o nuocere al popolo e ne denunzierà gli abusi e le piaghe: anche nei riguardi dei partiti il giudizio dipenderà dal modo in cui essi si regoleranno verso il popolo.
I criteri indicati dal manifesto furono seguiti nel giornale, del quale uscirono sedici numeri, dal 17 agosto al 24 dic. 1867. Gli articoli, non firmati, andavano da argomenti di carattere politico generale (questione romana e spedizione garibaldina, attacchi alla Chiesa ed al militarismo, polemica contro Mazzini, esaltazione dell'autonomia del comune e dello sviluppo delle associazioni operaie, capitale e lavoro, condizioni dei contadini, congressi dell'Internazionale a Losanna e della pace a Ginevra) alle questioni del momento con corrispondenze dall'Italia e dall'estero, riviste politiche degli avvenimenti nazionali ed internazionali, problemi locali, quali il colera a Napoli e l'opera del Municipio; apparvero firmati i documenti (proclami, discorsi in congressi), e pochi articoli, di Bakunin, Herzen, Littré, Marx, Proudhon. Il D. fu il direttore del giornale, con uno stipendio di 150 lire mensili, e ne fu di fatto l'unico redattore (cfr. lett. di C. Palladino ad A. Costa, 1ºott. 1876, in F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1965, pp. 406-409; Scirocco, p. 340; del D. come responsabile del giornale parla Bakunin nelle lettere a C. Gambuzzi, Ginevra 12 e 25 ott. 1867, riportate in Nettlau, pp. 118-121).
Nello stesso tempo il D., secondo il principio bakuniano di penetrare nelle varie associazioni democratiche per dirigerle ai fini della rivoluzione anarchica, fece parte della Associazione elettorale italiana, fondata nel 1864 da G. Ricciardi allo scopo di favorire i candidati della Sinistra nelle elezioni politiche ed amministrative. In una "assemblea elettorale", nell'aprile 1867, fu incaricato con altri di redigere un messaggio di lode ed adesione a C. Cattaneo Per le sue idee contro l'accentramento (Il Popolo d'Italia, 20 apr. 1867), quindi fu presidente del Comitato elettorale della sezione napoletana di Montecalvario (ibid., 26 luglio e 23 ottobre 1867).
L'intensa attività del D. fu troncata proprio mentre gli anarchici napoletani si trovavano in difficoltà per la partenza di Bakunin, recatosi nel settembre 1867 a Ginevra per il congresso della pace e non più tornato nel Mezzogiorno.
Sofferente per un aneurisma alla gamba destra, il D. si ritirò a Montepeloso, dove morì il 21 maggio 1868 (Il Popolo d'Italia, 26 maggio 1868).
Con lui gli anarchici napoletani perdevano "dl più energico campione delle [loro] idee" (C. Palladino, lett. ad A. Costa cit.). Il Nettlau nel definirlo "povero intellettuale" (p. 109) faceva riferimento alle sue condizioni economiche, non al valore dell'uomo, come erroneamente è sembrato a qualcuno (Ralli, introduzione a "Libertà e giustizia", p. XXXV). Difatti repubblicani e socialisti congiuntamente ne tennero l'11 giugno a Napoli una solenne commemorazione, e vari oratori ne esaltarono le qualità morali, le idee, l'opera. Carmelo Palladino, che ne illustrò il pensiero sociale e politico, terminò il suo intervento "apostrofando sdegnosamente coloro che credono che la perdita di un capo esperto possa far perire i destini della giovane democrazia". Quindi fu aperta una sottoscrizione per collocaie una lapide a Montepeloso (Il Popolo d'Italia, 14 giugno 1868; liste della sottoscrizione anche il 3 luglio, il 14 agosto, il 27 settembre).
Fonti e Bibl.: In M. Ianora, Mem. stor., critiche e diplomatiche della città di Montepeloso (oggi Irsina), Matera 1901 a pp. 590 s. breve biogr. del D., basata su un archivio della famiglia, oggi non rintracciabile: vi si afferma che il D. pubblicò un opuscolo, Intorno all'insegnamento della lingua ital., che si propose la traduzione delle opere filosofiche di Hegel e Rosenkranz, ma pubblicò solo la Logica di J. K. Rosenkranz, e che di lui restavano molti manoscritti, con la traduzione delle principali opere di Hegel e del Teeteto di Platone; vi si riporta il testo della lapide, collocata nell'atrio delle scuole comunali di Irsina, non più esistente. Delle opere citate nel testo, per le notizie riportate (che vanno integrate con i giornali democratici contemporanei, in particolare IlPopolo d'Italia) e per la ricostruzione dell'ambiente politico-culturale in cui operò il D., sono importanti M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra 1928, capp. V, VIII, IX; A. Romano, Storia del movimento social. in Italia, Bari 1966-67, I, ad nomen (sul D. ripete soprattutto quanto già detto dal Nettlau, ed è talvolta impreciso); III, ad nomen (con documenti riguardanti l'associazione Libertà e giustizia); A. Scirocco, Democrazia e social. a Napoli dopo l'Unità (1860-1878), Napoli 1973, ad nomen (attenta ricostruzione dell'ambiente democratico napoletano in cui il D. operò e della sua azione); cfr. anche "Libertà e Giustizia". Edizione integrale, a cura di M. Ralli, Salerno 1977.