DE MARGHERITA (Demargherita), Luigi Francesco
Nacque a Torino il 9 ott. 1783 da Giovanni Francesco e da Benedetta De Caroli. Rimasto orfano in tenera età venne accolto in casa dallo zio paterno Andrea, colonnello d'artiglieria nell'esercito sardo, che ne curò l'educazione. La manifesta propensione per le discipline giuridiche fece sì che lo zio avviasse il giovane alla facoltà di giurisprudenza nell'ateneo torinese. Qui il D., poco più che diciottenne, si laureò il 22 maggio 1802, conseguendo un anno dopo anche l'aggregazione al Collegio dei dottori dell'università. L'inclinazione per lo studio e le prospettive che l'Impero napoleonico offriva ai giovani e brillanti funzionari indussero il D. ad optare per la carriera accademica piuttosto che per la libera professione forense. Nel 1809 si rese vacante, a Torino, la cattedra di diritto civile francese ed egli partecipò al concorso insieme con G. Franchi e G. Boron: il concorso fu poi vinto dal Franchi, ma il giudizio dei commissari risultò alquanto lusinghiero anche nei confronti del D., cui fu infatti affidato un incarico di professore supplente.
Alla Restaurazione la carriera accademica del D. (professore straordinario nel 1814) procedette in maniera più spedita, agevolata dal fatto che il giovane non s'era compromesso in maniera evidente con il regime francese. Reggente la cattedra d'istituzioni canoniche nel 1817, il 20 ott. 1819 ne divenne titolare, ottenendo quasi contemporaneamente (nel novembre 'ig) anche quella d'istituzioni civili; tre anni dopo, nel novembre del 1822, si aggiungeva a queste due anche la cattedra di codice. Giunto all'apice della carriera universitaria a 39 anni, nel ventennio successivo il D. si accattivò la stima dei colleghi e degli studenti ed una certa notorietà nell'ambiente forense torinese: nel 1833 era stato investito del cavalierato dell'Ordine mauriziano ed il 18 luglio 1844, a testimonianza dei servizi resi alla monarchia, gli fu concesso il titolo di barone. Nel 1844 lasciò improvvisamente l'insegnamento universitario a causa di una lite violenta insorta col preside della facoltà di legge, prof. Dionisio, per un motivo futilissimo: l'orario degli esami. L'anno successivo le sue dimissioni furono accolte ed egli ottenne il pensionamento ed il titolo di professore emerito.
Degli anni dedicati all'insegnamento universitario restano alcuni testi a stampa, relativi agli argomenti sviluppati nei corsi, ed un paio di Orazioni in latino lette in occasione dell'aggregazione di nuovi dottori al Collegio dei giureconsulti dell'università.
Ritiratosi dunque dall'insegnamento, il D. si dedicò completamente alla professione di avvocato, conseguendo prestigio ed incarichi importanti: consulente per il patrimonio della Casa reale, negli ultimi anni del periodo albertino era considerato uno dei più abili avvocati di Torino e dei più profondi conoscitori del sistema giudiziario sabaudo. E di fatto questi anni, tra il '47 ed il '49, costituiscono l'apogeo della sua carriera: creata da Carlo Alberto la Corte di cassazione, egli ne divenne subito consigliere (16 dic. 1847) con l'incarico specifico (15 dic. 1848) di occuparsi dei problemi relativi agli ordinamenti dell'industria e del commercio. Il 19 dic. 1848 fu nominato dal sovrano senatore del Regno e dopo appena 15 giorni a queste cariche si aggiunse anche quella di primo sindaco di Torino; il 27 marzo 1849 infine venne chiamato a reggere il ministero di Grazia, Giustizia e Culti nel governo presieduto dal gen. C. G. De Launay, restando in carica sino al successivo 18 dicembre, quando venne sostituito, nel ministero d'Azeglio, da Giuseppe Siccardi.
L'attività ministeriale del D. fu sicuramente importante, in quanto egli fu il primo guardasigilli che tentò, sia pure con estrema cautela e nell'ambito ristretto delle sue competenze tecniche, di avviare le riforme di adeguamento delle istituzioni dello Stato sabaudo ai principi dello statuto.
Particolarmente interessanti ed indicativi della mentalità dell'uomo, formale e poco sensibile sul piano politico, furono i progetti di legge che il D. presentò alle Camere il 21 ag. 1849. Essi concernevano l'abolizione dei diritti di primogenitura, dei maggioraschi e delle commende dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; l'inamovibilità dei magistrati; la determinazione degli stipendi per i giudici di tribunale e di mandamento; il riordinamento delle segreterie giudiziarie, ed infine l'isfituzione dei tribunali di commercio.
Le proposte ministeriali tuttavia, proprio perché adeguamenti tecnici privi di un chiaro indirizzo politico, suscitarono (ad eccezione dell'ultima) vivacissime discussioni nel Parlamento subalpino: democratici e conservatori (per opposte ragioni) si schierarono contro il ministro, che il 26 ott. 1849 fu infine costretto a ritirare i progetti di legge, oltretutto per evitare che emendamenti e modifiche ne stravolgessero completamente il significato e la portata.
Anche sul versante più strettamente politico il guardasigilli non ebbe vita facile: il 22 ag. 1849 venne attaccato dai deputati della Sinistra Siotto Pintor e M. Pescatore (ai quali si aggiunse in seguito anche A. Brofferio) sul problema dei rapporti con la S. Sede.
Il motivo che aveva scatenato l'attacco era costituito dalla situazione anomala delle diocesi d'Asti e di Torino, prive dei legittimi pastori allontanati dalle rispettive sedi per motivi d'ordine pubblico: ma nel corso della discussione i tre deputati riuscirono a portare l'attenzione dei colleghi sul tema globale dei rapporti, non facili, tra Stato e Chiesa in Piemonte. Il guardasigilli, per prendere tempo ed anticipare il Parlamento, non seppe far di meglio che inviare in gran fretta in missione straordinaria a Portici (dove risiedeva ancora la corte pontificia) il primo ufficiale del suo ministero, il Siccardi.
L'insuccesso del Siccardi (determinato soprattutto dalla rigidezza del mandato conferitogli e dalla scarsissima disponibilità della Curia), ne consolidò tuttavia la fama di magistrato competente e di manifeste tendenze liberali, proponendolo di fatto per la successione al De Margherita. E in effetti la caduta del guardasigilli, avvenuta poco dopo il ritorno del Siccardi da Roma, fu un rimpasto teso ad ammorbidire i democratici, che ritenevano il D. responsabile primo del controllo esercitato dalla magistratura sulle elezioni dei novembre '49: "la qual cosa voleva dire in buon volgare, di procacciarle favorevoli al ministero" (Profili parlamentari..., p.58).
L'occasione per procedere al rimpasto tuttavia non venne fornita dagli errori politici del D., bensì da due clamorosi passi falsi attinenti la sfera degli interessi privati. Il D. infatti si preoccupò di "metter in serbo, come si dice, un pero per la sete, facendosi dare... titolo, grado ed anzianità di presidente del magistrato di cassazione (4 dic. 1849): poi acconciò qualche suo affaruccio privato" (Profili parlamentari..., p. 58). La faccenda riguardava la legittimazione della figlia naturale dei defunto marchese genovese Serra: poiché la legittimata era nuora del guardasigilli e poiché tale atto comportava l'attribuzione di una consistente eredità, la cosa suscitò un notevole scandalo.
Pochi mesi dopo la caduta il D. cercò di giustificare la propria condotta con un opuscolo indirizzato alla cittadinanza torinese: il tentativo però non sortì alcun effetto. In ogni caso l'ex guardasigilli rimase figura di primo piano nel Senato subalpino proprio per la sua eccezionale competenza giuridica: fu infatti, fino al 155, relatore della commissione per la presentazione delle proposte di legge in tutti i casi in cui i progetti comportavano problemi complessi in rapporto ai codici e alle giurisdizioni.
Particolarmente importante fu il suo intervento, l'8 apr. 1850, a favore delle leggi Siccardi quando, escludendo che la religione fosse in causa in quella discussione, contribuì in misura notevole a far approvare le leggi stesse.
Il suo appoggio al ministero fu generalmente costante fino al '55, quando di fronte alla famosa legge Cavour-Rattazzi relativa alla soppressione dei conventi, si ritirò da quella via, che egli stesso aveva contribuito ad aprire ed anche percorso, iniziata nel 1850, in materia di riforme nei rapporti tra Stato e Chiesa. Sul piano giuridico fu tenace oppositore della legge in questione, giudicandola gravemente lesiva del diritto di proprietà; sul piano politico si associò al gruppo di senatori capeggiati da V. A. Sallier de La Tour, preconizzando disastrose conseguenze per il Regno di Sardegna, qualora le leggi fossero state approvate ed applicate.
Ritiratosi dalla vita pubblica, si spense a Torino il 20 maggio 1856.
Del D. ci restano: De privilegiis et hypothecis, 2 voll., Taurini s. d.; Dei modi legittimi di assicurare l'adempimento delle obbligazioni e della prescrizione, Torino 1841; Delle persone, ibid. 1842; Delle donazioni tra vivi e delle obbligazioni in generale, ibid. 1843; Delle varie specie di contratti e delle regole particolari onde ciascuno d'essi è governato, ibid. 1844; A' suoi concittadini il barone Demargherita ex-ministro di Grazia e Giustizia, ibid. 1850.
Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezioni riunite, Indice patenti controllo finanze, 1814-1831, reg. n. 25; 1843-1850, reg. n. 39; Torino, Biblioteca Reale, A. Manno, Ilpatriziato subalpino, XIII, pp. 247 s.; Profili parlam. estratti dall'"Espero". Numero venti senatori, deputati e ministri, Torino 1853, pp. 56-59, C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 226 ss.; A. Brofferio, Imiei tempi, Torino 1902-1905, V, p. 2 46; Storia del Parlamento ital., diretta da N. Rodolico, Palermo 1963-84, II, pp. 103, 191-194, 204-223, 310, 353 ss.; III, pp. 54, 112, 238, 388-391; C. Magni, ISubalpini e il concordato. Studio storico-giuridico sulla formaz. delle leggi Siccardi, Padova 1967, pp. 19-26, 60 s., 112-118, 123-157, 172-209, 229-248; G. Ratti, Contributo alla biografia di Giuseppe Siccardi: la missione a Portici (settembre-novembre 1849), in Figure e gruppi della classe dirigente piemontese nel Risorg., Torino 1968, pp. 116-197 passim; Diz. del Risorg. naz., II, p. 906.