DE MARI (Mari), Giovanni Battista
Nacque a Genova da Francesco e da Livia Centurione il 12 ag. 1686 e fu ascritto alla nobiltà il 26 nov. 1711.
Problematica la sua precisa identificazione nella attività politico-diplornatica della Repubblica a causa della contemporanea presenza di tre omonimi. I De Mari, grande e potente famiglia di finanzieri e assentisti, avevano organizzato le loro fortune nel '600 attorno alla figura di Stefano, doge nel 1663. Dei quattro figli di Stefano (Girolamo, Francesco, Nicolò, Domenico Maria), tre ebbero un figlio Giovanni Battista: il figlio di Girolamo nacque nel 1674, quello di Nicolò nel 1683, quello di Francesco (il D. appunto) nel 1686. La presenza del patronimico nella corrispondenza diplomatica del D. risolve il problema di identità fino al 1740; per altri motivi, è probabile che sia il D. l'ambasciatore in Spagna del 1747.
Si ignora dove e quali studi il D. abbia compiuto; certo dimostra precise competenze in diritto civile. Ebbe fama di impenitente e fortunato giocatore d'azzardo. Ricevette il primo incarico diplomatico nel 1716, come inviato straordinario. a Parigi, mentre vi risiedeva come ambasciatore Nicolò Durazzo e dove, già dal 1704, era segretario incaricato l'abilissimo Giambattista Sorba.
Il giovane D. aveva ricevuto dal governo due incarichi specifici: perfezionare l'acquisto genovese dalla Francia di due galee che erano state del duca di Tursi e chiarire episodi di contrabbando e controllo su navi francesi nel porto di Genova. Partito il 4 apr. 1716, il D. sbarcò a Marsiglia il 12, dopo aver fatto sosta a Monaco per imbarcare i mediatori francesi dell'affare, Pallateri e Blondel. Arrivato a Parigi, ottenne l'unica udienza a corte il 7 maggio.
Dopo quella data, continuò per alcuni mesi a inviare al governo genovese relazioni ordinate e minuziose su tutti gli argomenti che riteneva degni di nota: sui membri della famiglia reale e sui personaggi più influenti della corte; sulle disposizioni del Parlamento in materia di politica estera ed ecclesiastica; sulla apertura di una nuova banca, del cui regolamento allegava copia, da parte del finanziere inglese Lasse; sulla invenzione di nuovi cannoni di dimensioni ridotte ed eguale potenza. Il governo genovese ne lodava lo zelo e le intelligenti iniziative personali; ma, in una lettera del 31 agosto, lo redarguiva per aver rilasciato una memoria scritta sulla delicatissima materia del diritto navale, senza prima aver sottoposto il testo all'autorizzazione del governo. Più che un incidente dovuto all'inesperienza, l'iniziativa può essere intesa come una prova di intraprendenza e di sicurezza del D.: tra l'altro non gli impedirà, al ritorno dalla legazione, di ricevere la pubblica lode dei Collegi.
Dopo aver ottenuto l'udienza di congedo da Luigi XIV il 21 settembre, aveva procrastinato la partenza da Parigi al 15 ottobre per poter salutare il nipote del re, in quarantena per vaiolo. Dopo la brillante esperienza giovanile, assai più lunga e impegnativa fu la seconda legazione del D., nominato inviato straordinario a Torino nel settembre 1727 (ma ebbe la prima udienza il 28 apr. 1728). Nominato poi intaricato d'affari il 22 sett. 1730, Vi rimase fino al 2 luglio 1731; vi ritornò quindi, come ministro, nell'ottobre 1731 e vi rimase ininterrottamente fino all'11 dic. 1737.
A Torino fu la questione corsa a polarizzare l'attività diplomatica del D., anche se dalla sua corrispondenza emerge l'attenzione con cui trattava anche questioni secondarie. Fin dal 1731, egli mostrava di essere informatissimo su tutti i progetti, le ipotesi, le supposizioni che circolavano nelle principali corti europee sul destino della Corsica dopo che la sollevazione antigenovese dell'anno precedente aveva fatto nuovamente dell'isola il problema più grave per la politica interna ed estera della Repubblica. Le informazioni del D. si giovavano dei rapporti personali, spesso di amicizia, sempre di stima, che egli era abile a mantenere con i protagonisti del gioco diplomatico (il marchese d'Ormea, il maresciallo di Noailles, il marchese di Maillebois, il marchese di Chabannes, il guardasigilli di Luigi XV) e, in particolare, con l'ambasciatore francese a Torino che, nei colloqui privati col D., giungeva a criticare la politica del suo governo in Corsica. L'atteggiamento del D. divenne sempre più rigido nei confronti di coloro che egli sospettava di ostilità alla Repubblica: espressioni durissime, al limite dell'odio personale, riservava ai due successivi incaricati d'affari del re di Sardegna a Genova, cavalier G.A. Castelli e G. Balbo Simeone conte di Rivera. Ma sopra tutto, negli anni della legazione torinese, il D. maturò una sempre più viva diffidenza nei confronti della Francia, per il suo intervento militare nell'isola (e tale diffidenza si radicalizzò nonostante la convenzione firmata tra Genova e Parigi alla fine del 1737), e la convinzione della necessità di una politica inesorabilmente repressiva della Repubblica nei confronti dei ribelli.
I ripetuti consigli del D. in questo senso, la sua abilità diplomatica e i suoi personali legami con tanti autorevoli ministri francesi, spinsero il governo genovese a nominarlo successore di P. B. Rivarola come commissario generale in Corsica. Convocato d'urgenza ai primi di dicembre 1737, il D. lasciava subito Torino, dopo aver ottenuto una cordialissima udienza privata da Carlo Emanuele III. Dopo una. rapida sosta a Genova e un incontro formalmente cordiale con J. de Campredon, ambasciatore francese a Genova (che, da parte sua, lo giudicava abile diplomatico, ma uomo ipocrita, libertino e privo di scrupoli), il D. si imbarcò per l'isola.
Con la giustificazione di forti libecciate nel canale tra isole toscane e Corsica, fece sosta a Livorno; in realtà, voleva incontrare il Pignon, l'inviato francese incaricato di trattare coi ribelli corsi, di cui Livorno era la piazzaforte sul continente. Al Pignon il D. era legato da personale amicizia; ma l'affabilità dell'incontro non cancellò, anzi rafforzò i suoi sospetti circa gli obiettivi politici della spedizione militare francese, di cui in seguito, molto abilmente, offrirà le prove allo stesso Pignon.
Per esercitare un controllo capillare, il D. aveva chiesto e ottenuto di condurre con sé il suo segretario Pietraroggia, per i rapporti di amicizia che questi aveva tenuto a Torino con molti ufficiali francesi ora inviati in Corsica. Arrivato nell'isola, il D. si dimostrò desideroso di mantenere, per la stessa ragione, relazioni personali con i primi ufficiali del corpo di spedizione francese; ma ben presto, intransigente difensore della piena sovranità genovese sull'isola, entrò in conflitto col comandante delle truppe francesi, conte di Boissieux, il quale, dopo aver condotto una.guerra molto blanda contro i ribelli, aveva iniziato con essi dirette trattative di pace.
La rapida formazione di un partito filofrancese nell'isola, capeggiato dall'Orticoni e dal L. Giafferri, e i loro contatti diretti col Boissieux, che chiese al D. di non intervenire alle riunioni perché lo riteneva di ostacolo alla conclusione della pace, rese tesissimi i rapporti nella primavera-estate 1738. Nel settembre, il ritorno sull'isola di Teodoro di Neuhoff spinse anche il Boissieux a una dura reazione contro i Corsi insorti e ad un avvicinamento al D.; ma pochi mesi dopo il comandante francese si ammalò e morì a Bastia. Nel gennaio 173910 sostituì il marchese di Maillebois, il quale, nonostante la vecchia amicizia che aveva con il D., prese clamorose iniziative autonome che gli consentirono di ottenere rapidamente la sottomissione dei capi corsi, praticamente esautorando il De Mari. Questi, resosi conto che il governo genovese non era più in grado di sostenere le sue rivendicazioni né di dirigere alcuna politica di conservazione della Corsica, preferì dimettersi dalla carica, lasciando nel giugno 1740 il posto al marchese Domenico M. Spinola.
Circa l'identificazione con il D. del diplomatico inviato straordinario in Spagna tra il febbraio e il giugno 1747, suscita qualche dubbio solo il fatto che Giuseppe Ottavio Bustanzio, segretario d'affari della Repubblica a Madrid fin dal 1728, in una lettera del 7 dic. 1747 definisca il D. "Reverendissimo Padre". Di un passaggio del D. allo stato ecclesiastico tra il 1740 e il 1746 non si ha altra conferma, ed essa appare comunque in contrasto con l'affermazione del Della Cella (c. 905). D'altra parte, a rendere probabile la missione del D. a Madrid stanno sia i molti legami familiari ed economici con quella corte e con gli ambienti genovesi su di essa gravitanti (anche il padre del D. era stato abile ambasciatore straordinario in Spagna dal 1692 al 1694, proprio per curare gli interessi pubblici e privati genovesi in una corte allora contrariata dalla neutralità della Repubblica nel conflitto europeo), sia la sua indiscussa abilità diplomatica, necessaria nella gravità del momento.
Dopo la capitolazione di Genova agli Austriaci nel settembre 1746 e l'insurrezione popolare dei dicembre, il D. doveva informare minuziosamente Madrid sugli avvenimenti di quei mesi.
Nelle Istruzioni, consegnategli il 14 genn. 1747, si sottolineava l'urgente necessità di denaro (la Repubblica reclamava i sussidi dovutile in base al trattato di Aranjuez e i sussidi straordinari per le immense spese sostenute nella guerra) e di nuovi contingenti militari. Al D. si raccomandava anche di seguire con estrema attenzione le trattative degli alleati a Lisbona e di trasferirvisi, qualora ravvisasse una possibile conclusione della pace, per evitare ogni danno al territorio della Repubblica e riaffermare, anche sul piano territoriale, le condizioni del trattato di Aranjuez.
Nelle sue lettere, quasi tutte in cifra, dal giorno dell'arrivo a Madrid il u febbr. 1747 all'udienza di congedo del 13 giugno, il D. mantenne assoluto silenzio sulle trattative di pace che si svolgevano a Lisbona; rassicurava, il 7 marzo, sull'invio di truppe, ma esprimeva ripetutamente forti dubbi sulla possibilità della riscossione dei crediti della Repubblica. Gia il 14 marzo chiedeva di essere richiamato, adducendo l'efficienza del Bustanzio, e il 19 il governo genovese provvedeva a nominare un nuovo inviato straordinario in Domenico Pallavicini, reduce da Parma, dove aveva potuto ben documentarsi sulla situazione internazionale.
Dopo tale data non si hanno notizie certe sul D.: non avvalorata da altra fonte, ma non escludibile, è l'affermazione del Della Cella, secondo cui, dopo il commissariato in Corsica, il D., in data non definita, sarebbe passato alla corte di Modena, dove avrebbe ricevuto dal duca il governatorato perpetuo di Reggio e il titolo di conte di Scandiano. Non è invece identificabile con l'omonimo ministro plenipotenziario a Vienna negli anni 1773-77.
Il D. morì a Reggio nell'Emilia nel 1781.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segr., Lett. min. Francia, 40-2216; Ibid., Istr. min., 4-2711; Ibid., Lett. min. Torino, 3-2490, 3 A-2490A, 4-2491; 5-2492; 6-2493, 7-2494; 7A-2494A; Ibid., Istr. min., 7-2714; Ibid., Lett. min. Spagna, 67-2476; Ibid., Mss. 493, c. 209, Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani n. 125: G. Giscardi, Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova, c. 373; Ibid., Civica Biblioteca Berio, m.r. X. 2. 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova [1782], c. 905, Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, VII, Roma 1951, pp. 65, 119 ss., 123, 125-128, 150-154, G. Cambiagi, Istoria del Regno di Corsica, Firenze 1770-72, 1, 3, pp. 211, 246; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova, VII, Genova 1837, pp. 267-277; M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, II, Genova 1851, p. 48; A. Letteron, Pièces et documents divers pour servir à l'histoire de la Corse, in Bull. de la Soc. pour l'histoire de la Corse, XIII (1893), p. 91; O. Pastine, La Repubblica di Genova e le gazzette, Genova 1923, pp. 8, 58 ss., 88, 110 ss., 124, 128-144; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), pp. 44 s., 150, 186;R. Rispoli, La seconda insurr. corsa del sec. XVIII, in Arch. stor. di Corsica, XVIII (1942), pp. 273 ss.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, pp. 384 s.