DE MARI (Mari), Giovanni Battista
Nacque a Genova presurnibilmente attorno al 1470-80 e la sua attività risulta documentata per il decennio 1513-22, ammesso che tutti i documenti si riferiscano effettivamente a lui solo.
È infatti necessario ricordare che, al rnomento della riforma legislativa del 1528, dei quarantacinque membri della famiglia iscritti al Libro d'oro della nobiltà, risultano ben sei di nome Giovanni Battista: un fu Simone, un fu Giacomo, un fu Pietro, un fu Raffael, un fu Francesco ed un fu Giuliano. Il D. è probabilmente quest'ultimo, e risulta iscritto con un fratello, Nicolò.All'attività mercantile il D. dovette essere avviato dal padre, che nel 1501 figurava tra i componenti del magistrato di Mercanzia; ma, considerate le funzioni di rappresentanza, di procura e di garanzia che il D. vi affiancava, è lecito supporre una sua, seppur incompleta, formazione legale. Certo egli divise la sua residenza e la sua attività di mercante di sete e velluti tra Genova e Lione. E proprio come rappresentante dei mercanti genovesi stabilitisi a Monluel, piccola località in territorio savoiardo molto vicina a Lione, durante l'interdetto francese su merci e mercanti genovesi, egli, il 3 genn. 1513, insieme a Gerolamo Gentile, Cristoforo Passano, Bartolorneo Di Negro, Gerolamo Grimaldi e Anfreone Sauli, ebbe l'incarico di far presente al governo della Repubblica la gravità della situazione e di proporre le misure atte a risolverla.
Poiché la lunga permanenza a Lione consentiva al D. e agli altri una precisa conoscenza dei danni economici, e quindi dello scontento che l'interdetto provocava anche ai mercanti lionesi, essi suggerivano una procedura drastica: invece di chiedere al re di Francia l'abolizione dell'interdetto, minacciare la totale interruzione dei traffici da parte genovese in modo da costringere gli stessi mercanti lionesi ad intervenire presso il loro sovrano affinché consentisse il normale ripristino dei commerci. Il D. e i colleghi citavano ad esempio una situazione analoga verificatasi tra mercanti lionesi e savoiardi e risoltasi secondo la procedura suggerita: condizione necessaria, che il governo della Repubblica si dimostrasse compatto e intransigente nel seguirla. Inoltre, per una maggiore incisività dell'azione, consigliavano opportune mosse in ambito internazionale: ottenere, attraverso gli ambasciatori genovesi a Roma, l'intervento del papa presso fiorentini e lucchesi, affinché osservassero l'interdetto che Giulio II aveva lanciato contro Lione in occasione del concilio di Pisa indetto da Luigi XII.
Compiuta questa missione, il D. forse si fermò per un certo periodo a Genova, dove comunque si trovava nella primavera del 1514. Qui, in casa di Giovan Battista Di Negro, il 3 aprile presenziò, insieme con il notaio Lorenzo Scriba, alla modifica di una società commerciale, per cui Edoardo Doria cedeva la sua partecipazione di L. 15.000 su 31.000 nella ditta Barnaba Grimaldi, Iacopo Lomellini e soci, operante a Genova e a Lione, ai fratelli Pantaleone e Iacopo Lomellini. L'anno successivo il governo genovese approfittò dei viaggi d'affari e delle relazioni del D. per affidargli una missione diplomatica. Con unica lettera del 29 apr. 1515 veniva incaricato, insieme a Gian Carlo Moneglia, di recarsi ad Asti presso il duca di Savoia per chiedere l'interruzione delle azioni di contrabbando e il ripristino del "diritto di Savoia".
Il D. e il Moneglia vennero subito ricevuti dal duca, che però tergiversò sui punti proposti e rimandò ogni decisione alla seduta del giorno successivo. Ma il giorno dopo i due inviati ricevettero una lettera per il governo di Genova, in cui il duca chiedeva di conferire con un ambasciatore espressamente inviato dalla Repubblica; comunque sul momento non rispondeva sui problemi proposti. Il D. e il collega, dovendo recarsi a Carmagnola per i loro affari, rimandarono al loro ritorno a Genova la comunicazione delle spese sostenute e, attraverso la loro relazione subito affidata a un portatore, avvertirono il governo di avere intenzione di spedire la lettera del duca affidandola a Simone Bracelli, con cui si incontrarono una volta giunti a Carmagnola.
Nell'alternanza di incarichi pubblici e privati, collegati alla sua attività di mercante internazionale, il D. ricevette il 19 genn. 1517a Genova, insieme a Matteo Lomellini, una procura per recuperare a Lione, presso Nicola del Bene e soci, una lettera di cambio di 150 scudi d'oro rilasciata da Andrea Veluti e soci, operanti a Medina in Spagna. Forse l'incarico più importante è comunque l'ultimo, almeno tra quelli documentati: tra il febbraio 1522 e quello del 1523era a Parigi come incaricato d'affari per trattare la restituzione di una grossa nave genovese catturata dai Francesi con tutto il carico.
In un primo momento la mediazione del D. sembrava riuscita; ma nel dicembre 1522egli scriveva allarmato al governo di Genova sui nuovi ostacoli che si venivano frapponendo alla restituzione. Il re di Francia aveva infatti all'improvviso concesso la nave genovese ai cavalieri di Rodi, in risarcimento di una da questi perduta, e aveva concesso il nulla osta per la vendita all'asta del carico. Il D. dichiarava di aver personalmente conferito col re e col cancelliere e di averne ottenuto risposte elusive che lasciavano intendere l'intenzione di non restituire la nave. Perciò. per trovare le forme adatte a recuperare almeno il carico, o parte di esso, il D., pur assicurando il proprio costante impegno, proponeva al governo di inviare alla corte rappresentanti più autorevoli muniti delle somme necessarie per l'eventuale riscatto della nave e delle merci. Il D. mostrò comunque di sapersi muovere con abilità e di saper sfruttare le conoscenze influenti (tra gli altri cita l'arcivescovo di Salerno e l'attivo appoggio ricevutone) e tutte le argomentazioni di diritto marittimo a favore della Repubblica. Ma alla fine di febbraio dichiarò di non avere più alcuna speranza di concludere l'accordo, nonostante tutto il suo "travaglio di corpo e di mente", e annuncio il prossimo ritorno.
Dopo questa lettera, del 25 febbr. 1523, non si hanno altre testimonianze dell'attività del D., che risulta comunque ancora vivo all'epoca della riforma legislativa del 1528, allorché venne iscritto al Libro d'oro della nobiltà nell'"albergo" Usodimare.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto 1/2488 e 2/2178; Genova, Civica Bibl. Franzoniana, mss. Urbani 125: G. Giscardi, Origini e fasti delle nobili famiglie di Genova, p. 372; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, Genova 1934, pp. 40, 137; D. Gioffrè, Gênes et les foires de change, Paris 1960, p. 16, n. 2, docc. 230, 325; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica fino al 1797, Firenze 1965, p. 325.