DE MARINI, Giovanni Battista
Nacque a Roma il 28 nov. 1597 da antica famiglia di origine ligure: il padre Giovanni Battista era stato paggio dell'infante don Carlos alla corte di Filippo Il di Spagna ed era stato più tardi insignito della signoria di Bomba negli Abruzzi; la madre, Teodora Giustiniani. era sorella del cardinale Vincenzo Giustiniani, maestro generale dei domenicani. Il D., il cui vero nome di battesimo era Ferdinando, studiò al Collegio Romano dai gesuiti, ma poi volle prendere l'abito domenicano, come d'altronde ben otto dei suoi fratelli. Al momento di entrare nell'Ordine volle cambiare il nome e prese il nome paterno.
Nel 1614 fu inviato al convento di S. Sebastiano a Salamanca, insieme coi fratello Domenico, per studiare filosofia: successivamente si spostò ad Alcalá, dove studiò teologia, prese il grado di lettore e fu consacrato sacerdote. Dopo dieci anni in Spagna tornò a Roma ed ebbe una lettura di filosofia alla Minerva: successivamente divenne "maestro accettato", grado che gli permetteva di accedere a qualsiasi livello dell'Ordine.
Nel 1628 Urbano VIII lo nominò segretario della congregazione dell'Indice e tale rimase sino al 1650: la sua attività non brillò particolarmente, se non per la volontà di non inimicarsi alcuno. L'unica rigida presa di posizione - da registrare per le conseguenze avute a distanza di decenni - fu la messa all'Indice delle opere del gesuita francese Théophile Raynaud.
Durante i lunghi anni del suo segretariato il D. si legò, insieme col fratello Domenico, divenuto nel frattempo provinciale di Terrasanta, a Nicola Ridolfi, generale dell'Ordine dal 1629. Questa amicizia gli procurò difficoltà, quando il Ridolfi venne deposto nel 1644 per un intrigo dei Barberini: nel capitolo domenicano dello stesso anno il D. e suo fratello Domenico furono privati di voce attiva e passiva.
Tuttavia, alla morte del Ridolfì e del successore di questo, il D. fu indicato quale nuovo maestro generale dell'Ordine (1650), nonostante non facesse parte del capitolo. L'elezione fu dovuta sia a una esplicita designazione del Ridolfì stesso, riabilitato prima della morte, sia all'influenza del fratello, nel frattempo divenuto vicario generale dell'Ordine e quindi, dal 1648, arcivescovo di Avignone. Il D. era inoltre lontanamente imparentato tramite i Giustiniani con Innocenzo X.
Al momento dell'elezione il D. aveva cinquantatré anni, era noto per la sua dottrina, godeva fama di uomo dedito alla carità e alla penitenza, non era ritenuto uomo di parte né tantomeno di polso, soprattutto nessuno si aspettava che sarebbe rimasto alla testa dell'Ordine per quasi venti anni. Il suo lungo governo, paragonabile a quello di un monarca assoluto (tenne soltanto un capitolo oltre a quello in cui fu eletto), presentò aspetti singolari. Il D. non uscì mai d'Italia e governò sempre da Roma mediante encicliche o inviati. Questo processo di centralizzazione corrispose a uno dei momenti più difficili dell'Ordine.
Sul piano interno il D. cercò di ripristinare il lavoro di rinnovamento già iniziato al tempo di s. Caterina da Siena: seguì così le linee stabilite nel capitolo del 1650. Riformò gli studi, fortificò le regole, incrementò l'osservanza di digiuni e penitenze; introdusse la riforma in Sicilia e a Malta. Fece modificare la liturgia e aggiungere feste, fece istituire dieci giorni di esercizi spirituali annuali. Propagandò le confraternite del S. Rosario e del Ss. Nome di Gesù: nel 1667 apparve una sua opera, che ricapitolava questo impegno e ricordava le indulgenze "quas lucrantur recitantes Rosarium" (Indulgentia Ss. Rosarii [Roma 16671). Si interessò anche del problema dell'Immacolata Concezione: dal 1655 al 1663 intrattenne una corrispondenza con il papa e il re di Spagna sulla questione e scrisse anche un Tractatus de conceptione B. M. Verginis, segnalato dal Quétif.-Echard. La sua solerzia per una "regularis disciplinae instauratio" si rifletté anche nell'indizione di un capitolo romano nel 1656, per altro semideserto per la peste, e in una serie di interventi pratici: ingrandimento dell'ospizio domenicano, fondazione o ricostruzione di numerosi monasteri, specialmente italiani.
La conduzione interna dell'Ordine passò tuttavia in secondo piano di fronte alla gravità dei problemi esterni da fronteggiare: rapporti con i gesuiti, rapporti con il potere civile, questione giansenistica.
Nei riguardi dei gesuiti il D. propugnò una politica di pacificazione (e per altro la sua orazione funebre fu poi pronunciata da un gesuita). Il 25 marzo 1661 scrisse una lettera enciclica per invitare tutto l'Ordine all'"amore" verso la Compagnia. Questo sforzo non incontrò le simpatie di molti domenicani e soprattutto subì le conseguenze della messa all'Indice delleopere del Raynaud: quest'ultimo attaccò duramente i domenicani con un pamphlet, De immunitate authorum Cyriacorum a censura (1662), che provocò risposte altret-tanto dure. Tutte le opere coinvolte in questa disputa furono infine messe all'Indice.
Irapporti con il potere civile presentavano due problemi: la questione del ricorso di alcuni domenicani ad autorità esterne all'Ordine e la questione francese. Per la prima il D. fu invitato dai padri dei capitoli del 1650 e del 1656 a non tenere conto di raccomandazioni civili per promozioni interne: nel 1658 prese infine posizione con un'enciclica in cui erano previste pene rigorose per chi si procurava favori con l'appoggio di autorità estranee all'Ordine. Egli stesso tuttavia protesse e appoggiò Ildefonso di S. Tommaso, figlio illegittimo di Filippo IV, che fu fatto priore provinciale della Betica e vescovo di Osma. La questione francese fu uno dei problemi che travagliarono di più i domenicani: in Francia dal Cinquecento esistevano province riformate, cioè ispirate al dettato di s. Caterina, e province tradizionali; inoltre, accanto alle province vere e proprie (Tolosa, Francia, Provenza, Occitania, Parigi), vi erano alcune congregazioni con privilegi speciali. Ora verso la metà del Seicento nacquero tensioni fra la Congregazione di Saint-Louis e la provincia riformata di Tolosa e fra quest'ultima e i conventi non riformati del Tolosano. Nel capitolo del 1656 i conventi non riformati di Tolosa furono uniti alla Congregazione di Aquitania, assorbita nel 1663 in quella di Occitania, ma le rivalità interne non furono soffocate e alcuni conventi si opposero all'unione. Luigi XIV invitò Clemente IX a risolvere la situazione e quest'ultimo indirizzò una bolla al D. imponendogli di inviare un commissario in Francia con pieni poteri di riformare le case refrattarie. Il D. inviò tre commissari, che dovettero, però, ricorrere all'aiuto del re per piegare i conventi non riformati, ai quali fu infine proibito di ricevere novizi. Lentamente il re divenne più importante dell'autorità ecclesiastica e il D. fu costretto a ricorrere continuamente all'aiuto del potere civile.
Le già complicate relazioni fra i domenicani e i gesuiti e fra i domenicani e la monarchia francese furono ulteriormente provate dalla questione giansenistica. I domenicani si trovarono di fatto fra i molinisti e i giansenisti e il loro sforzo di differenziarsi dagli uni e dagli altri li portò ad essere attaccati da entrambi. Nel 1650 il D. appoggiò personalmente Alexandre Sébille della facoltà di teologia di Lovanio, accusato di aver attaccato i suoi colleghi agostinisti nonostante l'esplicita proibizione contenuta nella bolla In eminenti di Urbano VIII. Il D. fece emanare dal capitolo domenicano un decreto antigiansenista e confermò il Sébille reggente dell'università di Lovanio, ma questi, legatosi ai gesuiti a partire dal 1651, non perse occasioni di attaccare i propri superiori, il D. compreso, per il loro lassismo verso gli "eretici". Il D. da allora cercò di separare nettamente la posizione tomista da quella giansenista, ma incorse in alcuni infortuni, come quando approvò le opere del padre Giuseppe de Vita per doverle poi sconfessare di fronte all'attacco gesuita. Il continuo stimolo del D. portò sotto il suo generalato all'edizione delle opere di più di cento padri (Fontana), alla pubblicazione tolosana dei In IV libros sententiarum commentaria di Innocenzo V, già O. P., infine alla tanto sospirata opera chiarificatrice del pensiero tomista: la Theologia mentis et cordis (1668) di Vincent Contenson, appoggiata personalmente dal De Marini.
Al di fuori della questione giansenista e dei rapporti con i gesuiti e il potere civile, il D. si interessò particolarmente all'erezione di nuove province domenicane in Spagna e Nuova Spagna, all'istituzione di nuovi collegi e cattedre di teologia nelle Canarie, nel Nuovo Mondo, nel Portogallo (dove fece introdurre anche la riforma). Si interessò anche della sorte delle missioni in Giappone e nelle Filippine. Gli ultimi anni della sua vita videro un continuo affievolirsi dei suoi interventi: gravemente ammalato, fu più volte invitato a dimettersi dalla carica e più volte decise di rinunciare al generalato, ma il pontefice non volle sentirne parlare. Si spense infine il 6 maggio 1669 a Roma, dopo aver suggerito al papa il padre P. M. Passerini come vicario generale, aver chiesto un breve per il convento di S. Sabina, appena riformato, e indulgenze per se stesso.
Già poco dopo la morte la sua figura fu elogiata da domenicani e gesuiti; in realtà, pur essendo realmente difficile la situazione che dovette affrontare, la sua guida dell'Ordine non sembrerebbe esente da notevoli difetti, forse imputabili all'età con cui giunse al generalato e alla sua preparazione di uomo di studi e non di potere.
Fonti e Bibl.: A. Bremond, Bullarium Ordinis ff. praedicatorum, VI, Romae 1735, ad Indicem;B. M. Reichert, Acta capitul. generaliumO. P., VII, Roma 1902, pp. 176-486; L. Ceyssens, La première bulle contre Jansenius, Bruxelles-Rome 1962, ad Indicem;J. B. Pacichelli, Vita del rev.mo padre f. G. B. D., Romae 1670;V. M. Fontana, Monumenta dominicana, Romae 1675, pp. 655 s.; J. Quétif.-J. Echard, Scriptores ordinis praedic., II, Lutetiae Parisiorum 1721, p. 561; Année dominicaine, V, Paris 1891, pp. 190-203; D. A. Mortier, Histoire des maîtres généraux de l'Ordre des frères prêcheurs, VII, Paris 1914, pp. 2-84; I. Taurisano, Hierarchia ordinis praedic., Romae 1916, ad Indicem.