DE MOTTIS
Famiglia di pittori e istoriatori di vetro operosi in Lombardia nel sec. XV. Cristoforo figlio di Giacomo senior era, come il padre, milanese. Fu attivo nel duomo di Milano ove la sua presenza è documentata a partire dal settembre 1460, quando ricevette mutui per un affresco sopra l'altar maggiore (Milano, Arch. d. Fabbrica del duomo, reg. 613, ff. 415 47, 50, 52, 56, 57v). Nel 1461 l'università degli speziali gli commissionò la vetrata di S. Elena cui attese sino al 1472 (Ibid., reg. 250, ff. 195 [Annali, II, p.215], 219v; reg. 628, ff. n.n.; reg. 258, f. 54v; reg. 272, ff. 172v, 186v; reg. 653, f. n.n.; reg. 265, f. 27r; reg. 262, f. 59r [Annali, II, pp. 211 s.]; reg. 254, ff. 36v, 74v, 75r, 123r, 150v; reg. 251, f. 105r; reg. 622, ff. n.n. [Annali, II, pp. 234, 2371; reg. 260, ff. 47v, 222v; reg. 266, ff. 53r, 55v; reg. 937, f. n.n. [Annali, II, p. 2731; reg. 267, ff. 12v, 13v).
La postilla al documento di allogazione della vetrata in cui si precisa che Niccolò da Varallo non dovrà intromettersi in tale opera lascia trapelare l'inizio di un'affermazione personale di Cristoforo nel cantiere del duomo milanese, sino allora dominato dalle famiglie dei da Pandino e dei da Varallo; nel '72, infatti, egli è citato nei documenti come "magister" segno del suo riconoscimento quale maestro vetraio.
Nel 1468 Cristoforo risulta anche impegnato a Genova ad affrescare una cappella nella chiesa di S. Lorenzo (Archivio di Stato di Genova, Pandette Riccheriane;Monneret, 1918, doc. 306) affreschi purtroppo perduti. Anche della vetrata di S. Elena, sostituita da una cinquecentesca, non sono stati finora trovati pannelli. Tuttora esistente invece ed in buone condizioni è la vetrata di S. Giovanni Evangelista per l'altare dei notai nel duomo di Milano.
A proposito di questa vetrata il Caffi (1891) cita un documento da lui visto, ora non rintracciabile, secondo cui Cristoforo avrebbe iniziato i lavori, senza portarli a termine. Ed altri maestri vetrai appartenenti all'Ordine dei gesuati avrebbero atteso al compimento. Il Morineret (1918) citando il documento parafrasato dal Caffi sminuisce l'importanza dell'intervento di Cristoforo alla vetrata notarile riducendolo ad un avvio di lavori stentato ed incompiuto. La recente rilettura, sulla base della ricca documentazione d'archivio del duomo milanese, delle varie fasi di lavoro alla finestra notarile ed il ritrovamento di un documento inedito (Milano, Arch. della Fabbrica del duomo, Ord. Cap., II, f.113v, 13 febbraio 1478) hanno permesso la rivalutazione in sede critica di Cristoforo (Pirina, 1965). Dal novembre 1473 per tutto il biennio 1474-75, mentre procedono i lavori di armatura della finestra, si susseguono numerose consegne di vetro tanto ai gesuati che a Cristoforo (Ibid., reg. 267, f.103v; reg. 639, f. 74; reg. 268, ff. 34 s., 40v, 42rv, 43, 48, 50v, 51, 53rv, 55v, 56v, 66rv; reg. 269, ff. 42v, 46, 48, 50 s.; reg. 272, ff. 6, 14, 15v; reg. 273, f.85; reg, 647, ff. n.n.; reg. 653, f.5). Il gruppo dei pannelli eseguiti dai gesuati non soddisfece il paratico dei notai che fece rifare una parte di essi ed un'altra fece sistemare alla meglio "prout poterint mellius aptari". E chiese inoltre una perizia agli stessi deputati del duomo (Ibid., Ord. Cap., III, ff. 131, 137, 144, 167). Al contrario i notai e la fabbrica del duomo furono pienamente soddisfatti dell'operato del "magnifico Cristoforo de Mottis" che aveva completato la vetrata, come appare chiaramente nel citato documento del 1478. L'importanza di tale documento risiede non solo nella rivalutazione dell'operato di Cristoforo nei confronti del paratico dei notai e dei gesuati, ma anche nel fatto che esso, anticipando l'esecuzione prima del 1481, data dell'arrivo del Bramante a Milano, permette una più precisa definizione del protorinascimento lombardo. Lo stile dell'artista viene infatti definito dai primi apporti critici (Monneret; Baroni-Samek, 1952) come aperto alle novità del Foppa e del Bergognone e purtuttavia privo di ampiezza compositiva e di solido senso formale, sostanzialmente legato al gusto gotico cortese dei Bembo e degli Zavattari. La distinzione operata (Ragghianti) tra un primo gruppo di antelli in cui prevalgono le intonazioni fiabesche del gotico lombardo, assegnato ad un "Maestro Gracile", ed un secondo gruppo, attribuito a Cristoforo, in cui si avvertono suggestioni rinascimentali, ha indotto la critica a prptrarre l'esecuzione della vetrata sino al 1481 onde giustificare le supposte componenti bramantesca e leonardesca individuate in molti antelli demottiani quali S. Giovanni obbliga i giovani al lavoro e la scena di battaglia ne La rivolta del popolo. Ma il segno sottile ed incisivo ravvisabile in questo inserto a monocromo esclude qualsiasi influsso leonardesco, peraltro insostenibile per la datazione precoce della vetrata al 1475-78. Vanno piuttosto rintracciate connessioni con quel repertorio classicistico di medaglioni con gruppi equestri ripetuto dall'Amadeo nello zoccolo della facciata della certosa di Pavia, proprio nello stesso periodo della vetrata notarile. Quanto alla volta cassettonata in scorcio, non si tratta di un motivo introdotto dal Bramante con il celebre voltone in prospettiva nell'abside della milanese chiesa di S. Satiro (1481). Tale modulo infatti comincia ad apparire nell'arte padano-veneta proprio nel settimo decennio dei '400 e a divenire una inconfondibile "sigla" degli artisti del protorinascimento lombardo. Di quegli artisti quali l'Amadeo, Cristoforo ed Antonio Mantegazza, il Rizzo, Cristoforo D., Antonio da Pandino che, sensibili alle suggestioni prospettiche del Maritegna e del Tura, avevano creato una particolarissima koinè artistica operosa nei due cantieri del duomo di Milano e della certosa di Pavia in pieno fervore costruttivo. Erano artisti attivi in una concorrenza fervida di emulazione legati fra loro da un'amicizia intellettuale che si concreta in puntuali riferimenti tipologici ed assonanze stilistiche. Ad esempio i due giovani discepoli raffigurati in numerosi antelli della vetrata demottiana rivelano nel loro flessuoso portamento, nel levigato volto incorniciato da tornite ciocche, precise rispondenze con la statua di Gian Galeazzo di G. A. Amadeo (Milano, Museo del duomo), e con le figure dei rilievi amadeiani nella facciata della certosa pavese. E numerose anche le citazioni dal repertorio architettonico dell'Amadeo: la cupola della cappella Colleoni a Bergamo, il portale del chiostro piccolo della certosa pavese, i tipici capitelli dal caulicolo a cornucopia. Analogamente, alcuni pannelli di Cristoforo rivelano la lezione delle sculture di Cristoforo ed Antonio Mantegazza in quel loro tipico modellato angoloso e "stiacciato", in quel loro intagliare i panneggi in pieghe laminate e cincischiate, i. volti angolosi e scavati (Racconto del morto, Il morto parla ai giovani presente s. Giovanni);un modellato aspro e tormentato che, reso a monocromo, traduce il biancore delle statue mantegazziane. La ricchezza delle suggestioni e degli imprestiti culturali indicati più sopra nulla toglie all'originalità artistica di Cristoforo, l'unico maestro vetraio del cantiere milanese che attento alle possibilità espressive del materiale vitreo, anziché impiegare le tecniche della pittura su tavola, come molti vetrai lombardi, sfrutta i diversi spessori delle tessere di vetro per ottenere una vasta gamma di intensità luminose e timbri cromatici. Qualità precipua dell'arte di Cristoforo è infatti l'inusitato registro cromatico impostato su verdi smeraldini, rossi carminio, violetti spenti, cui i riflessi argentei della grisaglia e le fredde note del giallo d'argento conferiscono un pallido splendore. Tessuto cromatico che attesta affinità e contatti con le vetrate bolognesi dei Cabrini su disegni del Costa. L'analisi stilistica confermata in sede documentaria (Pirina, Brivio) ha permesso di rintracciare diciassette antelli che formano il corpus demottiano mentre i restanti antelli della vetrata sono ascrivibili ai gesuati.
Già dal 1475, durante l'esecuzione della vetrata notarile, Cristoforo aveva ottenuto la commissione di vetrate per la certosa pavese come si può ricavare dalle numerose consegne di vetro da parte della fabbrica del duomo milanese (Milano, Arch. d. Fabbrica del duomo, reg. 268, f. 51rv). Ma la sua attività al cantiere pavese non dovette protrarsi molto oltre il 1477, quando Niccolò da Varallo, che già nel gennaio di quell'anno si era impegnato con i monaci della certosa (Arch. di St. di Pavia, Arch. not., Rogiti Gabbi, 21genn. 1477) stipulò un contratto con Antonio da Pandino per fare tutte le vetrate istoriate e a tondelli "nel monastero della chiesa e in tutti gli edifici" del complesso monastico (Arch. di St. di Milano, Arch. not., Rogito Maffeo Suganappi, 16 maggio 1477). Ne è conferma indiretta la data apposta alla vetrata del S. Bernardo (sacrestia del lavabo dei monaci) che. reca la scritta "Opus Cristofori de Motis 1477", opera indubbia di Cristoforo sia per le suggestioni prospettiche particolarmente avvertibili nello scorcio del demonio e nel tamburo della cupola, sia per la gamma cromatica ove domina l'inconfondibile nota di violetto spento. Nonostante i restauri devastanti, è ascrivibile a Cristofòro anche la vetrata di S. Gregorio Magno, nonché quella, ben conservata, del Presepe per cui già è stata proposta l'attribuzione allo Spanzotti (Sciolla). Ma il sensibile modellato dei volti intessuti di trasparente argentea grisaglia attestano la mano di Cristoforo.
Non accettabile invece l'attribuzione della vetrata absidale offuscata da carbonatazione e numerose ridipinture. Le parti integre permettono comunque di ravvisare strette analogie con le vetrate di Antonio da Pandino; non tanto con il S. Michele pavese, assai restaurato, quanto con il ciclo del NuovoTestamento del duomo milanese.
Nel 1481 Cristoforo eseguì otto antelli (Milano, Arch. d. Fabbrica del duomo, reg. 645, f. 68v; reg. 654, f. 53; reg. 263, f. 85, reg. 656, f. 42v) per la vetrata absidale dell'Apocalisse nel duomo di Milano; i pochi superstiti tra cui Apertio secundisigilli, Apertio tertii sigilli, nonostante gli estesi restauri, attestano una nuova scioltezza compositiva delle figure svincolate da quadrature architettoniche. Nello stesso anno, istituita a Milano l'università dei pittori, Cristoforo ne fu nominato membro. Non accettabile la segnalazione (Calvi, 1865) di affreschi demottiani nella chiesetta della Madonnina a Cantù recanti l'iscrizione: "Ambrosius Vigievanensis et Cristoforus Motiis p. 1514" che posticiperebbe la data di morte avvenuta non oltre il 1486 come risulta da contratto per cessione di diritti d'acque della certosa di Pavia alle monache di Soncino, in cui è citato come testimone Iacopino "E quod. mag. Christophori" (comunicazione di L. Beltrami in Monneret De Villard, 1918, doc. n. 458).
Agostino, figlio di Cristoforo, è artista interessante ma ancora in fase di definizione, data l'esiguità e la frammentarietà delle opere pervenute. La prima traccia documentaria è data da una serie di pagamenti eseguiti dalla fabbrica del duomo milanese (novembre 1474-giugno 1475) a lui ed a un socio non precisato per restauro a vetrate (Milano, Arch. d. Fabbrica del duomo, reg. 642, ff. n.n.; reg. 267, ff. 157v, 162, 184; reg. 263, ff. 54v [Ann., II, p. 2841, 59v [Ann., II, p. 2871; reg. 268, f. 42v; reg. 644, ff. n.n.). Ma la sua prima documentazione come artista è la citazione del suo nome con quelli del padre e del fratello lacopino in rogiti notarili pavesi (Arch. di St. di Pavia, Arch. not., Rogiti Gabbi;Arch. di Stato di Milano, Fondo di religione, Certosa di Pavia, reg. n. 4, 28-30 luglio 1478), parzialmente trascritti dal Monneret De Villard (1918, p. 132) che confermano implicitamente la collaborazione di Iacopino ed Agostino con il padre, attivo alle vetrate della certosa. Ad Agostino sono attribuiti (Morineret De Villard, 1918 e 1923) due parinelli di vetrata con i Ss. Gervasio e Protasio (Certosa di Pavia, 1º capp. a sin.) in cui giustamente è ravvisato il reimpiego degli stessi cartoni preparatori per due altri pannelli dello stesso soggetto che erano parti laterali di un trittico, Ss. Ambrogio Gervasio e Protasio, già nel duomo di Milano, distrutto in un incendio nel 1906, ed ora leggibile solo attraverso una vecchia fotografia. Tale trittico apparteneva ad una serie di dieci antelli eseguiti da Agostino a completamento della vetrata dei Ss. Ambrogio Gervasio e Protasio (già iniziata da Michelino da Besozzo) e pagatigli nel 1483 (Milano, Arch. d. Fabbrica del duomo, reg. 659, f. 8v). L'ipotesi che la vetrata milanese preceda quella della certosa (Monneret De Villard, 1918) non è suffragata dalla data dei pagamenti eseguiti dal duomo milanese, ultima nota documentaria. Fatto che induce ad ipotizzare eventualmente la concomitanza dei lavori.
Sulla base di stringenti analogie stilistiche, peraltro non suffragate da tracce documentarie, è stata riconosciuta opera dell'artista la decorazione ad affresco con Angeli e Santi nella chiesa milanese di S. Pietro in Gessate (Salmi, 1928). Il recente ritrovamento (Pirina, 1983) di una testa di S. Ambrogio vescovo entro il pannello La lavanda dei piedi (ora all'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston), testa gia appartenente ad un antello della vetrata di S. Ambrogio ed utilizzata in un restauro ottocentesco come tessera di rimpiazzo, costituisce un significativo apporto all'esiguo catalogo dell'artista.
Non si hanno notizie di Agostino dopo il 1483.
Iacopino, figlio di Cristoforo, fu attivo on il padre ed il fratello alla certosa di Pavia. La sua attività è documentata oltreché dai rogiti notarili già citati, anche dalle Memorie del priore della certosa Matteo Valerio il quale annota che nel 1488-89 "Jacobino de' Mottis et compagni pittori dipinsero le invetriate della chiesa e poi dipinsero la cappella dove è l'invetriata con li doi santi monaci dell'ordine, la cappella dove è l'invetriata con Santa Apollonia et la cappella dove sono dipinti li 4 Santi Conversi dell'Ordine". Le due vetrate citate dal padre Valerio più non esistono, mentre tuttora esistenti. seppur ridipinti, sono gli affreschi I santi conversi (1488-89), Isanti certosini (1491, 1ºcapp. a destra). Peculiare a Iacopino la mite espressione dei volti e la inconsistenza volumetrica. Per analogia gli vanno riferiti anche i busti di Monache e la vetrata di S. Girolamo, chiaramente opera sua nonostante le estese ridipinture, nonché, con ogni probabilità, i due pannelli vitrei Ss. Gervasio e Protasio (60 capp. a destra, i volti sono rifacimenti ottocenteschi).
I Patriarchi (5º capp. a destra), affreschi solitamente ritenuti di Iacopino, vanno invece ascritti a Pietro da Velate per le stringenti affinità tipologiche e stilistiche con i busti nel tamburo della chiesa milanese di S. Satiro ed i suoi pannelli nella vetrata del NuovoTestamento nel duomo di Milano.
Nel 1497 Jacopino è chiamato a Lodi per valutare con B. Lanzani il prezzo della doratura di un altare in legno nell'Incoronata eseguito dai fratelli Donati. Nel 1500 con Antonio Cicognara fece la perizia dell'affresco del Bergognone nell'Incoronata di Lodi (Liber provisionum, in Beltrami, 1885).
Nel 1501 ricevette dal duomo di Milano il pagamento per due vetrate eseguite per "fenestras rationariae" non rintracciabili sinora (Milano, Arch. d. Fabbr. del duomo, reg. 294, f. 222 [Ann., III, p. 118]). Morì, a Milano, di pestilenza, il 18 dic. 1505, come risulta dal necrologio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pavia, Arch. notarile, Rogiti Gabbi (21 genn. 1477), trascritto parzialmente da Monneret De Villard (1918, doc. n.496); Milano, Archivio della Fabbrica del duomo, Ord. Cap., II-III, regg. 268, 647, 649, 653, 654, 267, 272, 263, 639, 269, 652, 656, 659, pubblicati parzialmente e con alcune inesattezze in Annali della Fabbrica del duomo di Milano, a cura della sua amministrazione, II-III, Milano 1877-1880 e nel regesto in calce al Monneret De Villard (1918); Archivio di Stato di Milano, Arch. not. milanese, Rogito Maffeo Suganappi (16 maggio 1477), trascritto da E. Motta in Arch. stor. lombardo, XXXI (1904), 1, p. 178 e parzialmente da Monneret De Villard (1918, p. 132); Ibid., Arch. gen. da Fondo di relig., Certosa di Pavia, reg. n. 4, trascritto parzialmente da Monneret De Villard (1918, p. 132); Ibid., Bibl. Braidense, AD XV. 12, 20-26: M. Valerio, Memorie, parzialmente pubblicato in Arch. stor. lomb., VI (1879), pp. 134 ss.; G. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti scultori e pittori, II, Milano 1865, pp. 196-204; L. Beltrami, Ambrogio da Fossano - Inventario d'arte lombarda, Milano 1885, p. 134 (per Iacopino); M. Caffi, I frati ingesuati ed i loro dipinti su vetro, in Arte e storia, n.s., II (1891), 5, pp. 37 s. (per Cristoforo); U. Monneret De Villard, Le vetrate del duomo di Milano, Milano 1918, pp. 71-79, 103, 131-34; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, IV, a cura di U. Monneret De Villard, Milano 1923, pp. 80 ss.; M. Salmi, Maestri lombardi del Quattrocento..., in Boll. d'arte, XXII (1928), pp. 193-201 (per Agostino); C. Baroni-S. Samek Ludovici, La pittura lombarda del Quattrocento, Messina-Firenze 1952, pp. 129 ss., 220, 258; C. L. Ragghianti, Il Foppa e le vetriere del duomo di Milano, in Critica d'arte nuova, n.s., I (1954), pp. 535 s. (per Cristoforo); Id., Postilla foppesca, ibid., II (1955), p. 290 (Cristoforo); G. Marchini, Le vetrate italiane, Milano 1955, pp. 50-54; Arte lombarda dai Visconti agli Sforza (catal.), Milano 1958, pp. 106 s. (Cristoforo); C. Pirina, Precisazioni su Cristoforo D., in Arte in Europa, scritti in onore di E. Arslan, Milano 1965, pp. 407-30;G. C. Sciolla, Ipotesi su Niccolò da Varallo, in Critica d'arte, XIII (1966), pp. 27-35 (per Cristoforo); F. R. Pesenti, in La certosa di Pavia, Milano 1968, ad Indicem;E. Brivio, Le vetrate del duomo di Milano, in Il duomo di Milano, Milano 1973, pp. 252-70 (per Cristoforo); G. Mulazzani, in Santa Maria delle Grazie..., Milano 1983, pp. 119-123 (per Cristoforo); C. Pirina, Stained glass of Milan cathedral in the Isabella Stewart Gardner Museum, in Fenway Court, 1983 (per Agostino), p. 32; Corpus vitrearum Medii Aevi. Italia, IV, C. Pirina, Le vetrate del duomo di Milano .... Firenze 1986, ad Ind.