DE MUSI (Di Musi, De Musis, Musi), Agostino, detto Agostino Veneziano
Nacque in Veneto, forse a Venezia, intorno al 1490, periodo fissato approssimativamente dagli studiosi in base alle date più antiche incise su alcune stampe: il 1516 in Gesù discende al Limbo (Le Blanc, III, n. 19), il 1514 in L'astrologo [= Bartsch, XIV, n. 411) e L'Ultima Cena (ibid., n. 25: indi B. e numero).
Scarsissime, frammentarie e imprecise sono le notizie pervenuteci sul D.: le poche fonti antiche che si sono occupate dell'incisore lo nominano solo come allievo di Marcantonio Raimondi (Baldinucci, 1686), o sono contraddittorie e poco attendibili (Vasari, V, pp. 23, 420); inoltre l'assenza di documenti (vana è stata una ricerca d'archivio svolta a Venezia) non ha permesso neppure di definire con precisione l'esatta dizione del cognome, riportato in diversi modi dai vari studiosi. Oggi gli unici dati per ricostruire, anche se per sommi capi, una biografia del D. sono quelli che si ricavano dalle sue incisioni.
Il D., che generalmente contrassegnò le sue stampe con il monogramma "A. V." (Agostino Veneziano), in quattro intagli firmò per esteso come "Agustino di Musi" (S. Margherita, B. 119; Ilvecchio pastore, B. 409; Gli animali, B. 414; La Vergine dalla scimmia, B. VII, 42) e in un quinto in latino: "Augustinus venetus de Musis ..." (Glischeletri, B. 424): sono queste le indicazioni più precise inerenti al nome e al luogo di nascita, il Veneto.
Fino al 1515 il D. rimase nel Veneto, forse a Venezia, dove ricevette la sua prima formazione artistica, prendendo come modello G. Campagnola e A. Dürer. Nelle stampe tratte dal Campagnola, Il giovane pastore (B. 458), L'astrologo (B. 411) e le due versioni del Vecchio pastore (B. 408, 409), si nota un interesse per toni pittorici e sfumati tipici dell'ambiente giorgionesco condiviso da G. Campagnola oltre a una certa importanza assegnata al paesaggio, mentre nelle copie da Dürer quali L'Ultima Cena (B.25), Gli animali (B. 414), La Vergine dalla scimmia (B. VII, 42), Cristo alla colonna (Heinecken, I, p.614), Natività (Nagler, Künstler-Lexicon, n. 16) risultano più insistiti i valori disegnativi e chiaroscurali del linguaggio düreriano.
Nel 1515 si trasferì a Firenze, secondo quanto è documentato da quattro incisioni recanti questa data e derivate da soggettì di B. Bandinelli (Diogene, B. 197, L'uomo seduto presso un libro, B. 454, Apollo e Dafne, B. 317, Cleopatra, B. 193): sempre a Firenze venne in rapporto con Andrea del Sarto, che lo incaricò di riprodurre una Pietà dipinta per il re di Francia. L'incisione, generalmente conosciuta come Cristo sostenuto da tre angeli (B. 40) reca la data 1516 e, secondo il Borghini (1584), fu eseguita a Roma ove il D. si trasferì; essa però deluse profondamente il pittore che non affidò al D. alcuna altra opera da riprodurre.
Gli intagli di questo breve periodo fiorentino rivelano un graduale superamento dei modi veneti in favore di un più accentuato plasticismo, pienamente conseguito nell'incisione Cleopatra (B. 193) che già anticipa i risultati artistici dei periodo romano.
Breve deve essere stato il soggiorno fiorentino, forse solo una tappa di un viaggio intrapreso verso Roma, dove entrò in rapporto con Marcantonio Raimondi, divenendone, insieme a Marco Dente. uno dei principali alfievi e poi collaboratori nella "ditta" Raimondi, la prima vera e propria impresa artistico-commerciale impegnata nella riproduzione di soggetti raffaelleschi. Ad un periodo, fino al 1520, di intensa attività della bottega di Marcantonio seguirono probabilmente anni più difficili dovuti alla morte di Raffaello nel 1520 e all'imprigionamento dello stesso Raimondi intorno al 1523-24 per aver inciso alcuni soggetti lascivi.
È difficile stabilire con precisione in che misura questi avvenimenti influirono sul D. poiché, in mancanza di dati sicuri, le tesi avanzate dai vari studiosi sono piuttosto contraddittorie e discordanti: il Petrucci (1964) sostiene che il D. aveva una sua bottega in Trastevere, lo Zanetti (1837) e il Nagler affermano che si associò con M. Dente, continuando la riproduzione di soggetti raffaelleschi, mentre il Vasari afferma che iniziò una collaborazione con il Bandinelli.
Le incisioni rivelano solo un certo rallentamento della produzione e talvolta uno scadimento qualitativo. Il sacco di Roma del 1527 spinse il D. a lasciare la città, non già alla volta di Firenze, come sostiene il Vasari (egli compie in questo punto un grave errore, facendo risalire a questa data il soggiorno a Firenze e il rapporto con Andrea del Sarto avvenuto invece nel 1515), ma forse verso Maritova, attratto da Giulio Romano, come ritengono Passavant (1864), M. Pittaluga (1930) e Oberhuber (1978); non è inoltre da escludere, prima, una sosta a Venezia: alcune incisioni raffiguranti capitelli, basi di colonne e cornicioni dei tre ordini architettonici, eseguite su, disegni di S. Serlio (B. 525-533), sono datate 1528 e in tale data il Serlio si trovava a Venezia, anch'egli fuggito da Roma durante il sacco. In seguito, probabilmente, il D. fece ritorno a Roma, ove sembra si svolse la sua ultima attività, ma difficile è stabilire con esattezza l'anno di questo spostamento. L'ultima data che compare sulle sue opere è il 1536, e tra il 1536 e il 1540 viene generalmente fissata la sua morte. Non è noto se sussistessero legami di parentela con gli incisori Giulio e Lorenzo De Musi.
Il periodo che inizia dal 1516 è senza dubbio quello caratterizzato da una piena maturità artistica e da una intensa attività, ma è anche quello che presenta le maggiori difficoltà per lo studioso, dovute a discontinuità stilistica e tecnica. Già in alcuni bulini del 1516 quali La Purezza (B. 379), Venere e Amore (B. 286), La Vergine, il Bambino, s. Giovannino e due angeli (B. 51) il D. si esprime attraverso un segno fine e delicato, mentre in altri, per esempio Elima (B. 43), tratto da un disegno per gli arazzi vaticani di Raffaello, o La manna (B. 8), affronta composizioni più complesse e monumentali; ma questi risultati non diedero luogo a esiti artistici più maturi negli anni successivi e, accanto a opere degne di rilievo. quali Gli arrampicatori (B. 423) del 1523, tratto dal celebre cartone di Pisa di Michelangelo, ve ne sono altre più scadenti e mediocri, perfino nel disegno, come Licaone (B. 244). Questo scadimento formale è forse da spiegare, secondo alcuni studiosi, con la collaborazione sempre più ampia di artisti meno esperti rimasti anonimi, entrati nella cerchia raimondesca per far fronte alla grande richiesta di riproduzioni raffaellesche.
Un nuovo periodo caratterizzato da alti risultati artistici e da un'intensa produzione risale agli anni 1530-1532 ed è probabilmente da collegare al rapporto con Giulio Romano a Mantova, proposto da alcuni autori. Queste incisioni rivelano una particolare attenzione verso ricerche di carattere luministico, già presenti forse nei disegni di Giulio Romano, e spesso sottolineate dall'introduzione di sorgenti di luce artificiale che rendono più evidenti i contrasti (Venere, Vulcano e amori, B. 349; Ercole nella culla, B. 315; Adorazione dei pastori, B. 17). In questi anni il D. si dedicò anche a soggetti tratti dall'antico: una serie di dodici stampe raffiguranti vasi risale infatti al 1530-1531 (B. 541-552) e conobbe successivamente una tiratura dell'editore A. Salamanca. Uno stile più distaccato e freddo, anche se preciso e rigoroso, caratterizza gli ultimi bulini, quasi tutti ritratti, genere mai prima affrontato dal De Musi. Difficilmente riferibile a una data anche approssimativa, nel percorso tracciato, risulta invece l'incisione Lo stregozzo (B. 426) per la perfezione tecnica e l'alta qualità artistica mai più raggiunta dal D.; questa opera costituisce un caso del tutto particolare, tanto che diversi studiosi sono propensi a riferirne al Raimondi la paternità, nonostante compaia nel secondo stato il monogramma "A. V.".
La produzione incisoria del D. è assai vasta e consistente numericamente, soprattutto se rapportata al breve arco di tempo in cui fu realizzata, all'incirca tra il 1514 e il 1536. Alle 139 incisioni riportate dal Bartsch sono da aggiungere le nuove 4 citate dal Passavant e le 8 riportate dallo Heinecken: si tratta di bulini tutti firmati o contrassegnati dal monogramma, a volte costituito da lettere normali, a volte da caratteri gotici; a queste opere sono da aggiungere anche un gruppo di circa 60 bulini anonimi di probabile o dubbia attribuzione e 52 tavole e il frontespizio del volume Inlustrium virorum ut extant in Urbe..., Roma 1569. Queste ultime sono generalmente ritenute del D. anche se prive di firma, mentre sono da considerarsi assai dubbie le 24 tavole con frontespizio, pubblicate con il titolo Effigies viginti quattuor Romanorum imperatorum ... (s.d. e luogo di edizione).
Redigere in modo esauriente e completo il catalogo del D. risulta ancor oggi problematico e complesso per la stretta affinità stilistica e tecnica che si venne a creare nella scuola del Raimondi soprattutto tra il maestro e i due allievi senza dubbio più dotati, il D. e M. Dente. Significativa a questo proposito è la scelta operata da A. Bartsch, il catalogo fino ad oggi più completo, che ha preferito riunire in un unico catalogo le opere di Marcantonio e dei suoi allievi, dividendole in varie sezioni corrispondenti ai diversi soggetti raffigurati, proprio per evitare di separare quelle incisioni anonime che potrebbero essere attribuite a ognuno dei tre artisti e che, presentate indivise al lettore, mettono in risalto l'importanza della scuola, anche se a scapito delle singole personalità.
Per diverse ragioni risulta difficile, oggi, anche un commento allo stile e alle soluzioni formali adottate, nel corso della sua attività, dal D.: infatti, oltre alla scarsità di fonti e alla discontinuità stilistica precedentemente accennate, è da sottolineare la rarità di molti esemplari di tiratura coeva all'artista o di poco posteriore, che permetterebbero di meglio definire e individuare la qualità artistica di molte stampe.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite [1568], a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, V, pp. 23, 414 nn. 2, 3, 415 s., 420, 436 n. 1; VI, p. 140; VII, p. 161 n.3; R. Borghini, Il riposo, Firenze 1584, III, p. 420; F. Baldinucci, Cominciamento e progresso dell'arte dell'intagliare in rame..., Firenze 1686, p. 21; P. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1704, pp. 64, 420 s.; G. Gori Gandellini, Notizie istoriche degl'intagliatori, Siena 1771, III, pp. 353 ss.; C. H. Heinecken, Dictionnaire des artistes..., I, Leipzig 1778, pp. 605-641; M. Huber, Catalogue raisonné du Cabinet d'estampes... M. Winckler - Ec. Italienne, I, Leipzig 1803, pp. 6-14; L. De Angelis, Notizie degli intagliatori... aggiuntea G. Gori Gandellini, V, Siena 1809, pp. 268-288; A. Bartsch, Le peintre-graveur, XIV, Leipzig 1867, p. 12; D.P. Zani, Enciclopedia metodica.... I, 13, Parma 1823, p. 478; II, 2, ibid. 1819, pp. 183 s., 221, 224, 252, 275, 293, 303, 315; II, 3, ibid. 1820 ' pp. 19 s., 45, 48 s., 82, 166 s., 263, 281 s., 352; II, 4, ibid. 1820, pp. 40, 57; II, 5, ibid. 1820, pp. 35, 39, 81, 310; II, 7, ibid. 1821, pp. 112, 339-343; II, 8, ibid. 1821, pp. 260, 261, 292 ss.; II, 9, ibid. 1822, pp. 182, 185 s., 252-257; F. Brulliot, Dictionnaire des monogrammes, marques figurées, lettres initiales..., I, Munich 1832, nn. 749, 765, 3286; II, ibid. 1833, nn. 162, 172, 2632; III, ibid. 1834, nn. 37, 119; A. M. Zanetti, Le premier siècle de la calcographie ou Catalogue raisonné des estampes du cabinet... L. Cicognara, Venezia 1837, pp. 279-320; G.K. Nagler, Neues aligemeines Künstler-Lexicon, X, München 1841, pp. 58-78 (sub voce Musi, Agostino de); Id., Die Monogrammisten, München 1859, I, nn. 654, 1392, 1423, 1428, 1454; V, nn. 1001, 1034; J. D. Passavant, Le peintre-graveur, VI, Leipzig 1864, pp. 49-66; Ch. Le Blanc, Manuel del'amateur d'estampes, III, Paris 1888, pp. 73-79; B. Disertori, Irami raimondeschi alla R. Calcografia, in Bibliofilia, XXIX (1927), pp. 350 s.; Id., Ramicinquecenteschi alla R. Calcografia, ibid., XXXI (1929), pp. 13 s.; M. Pittaluga, L'incisione ital. nelCinquecento, s.n.t. [1930], pp.160-165; L. Donati, Miscellanea bibliografica-A. Veneziano, in Bibliofilia, LVII (1955), pp. 21 s.; G. F. von Hartlaub, Giorgione im graphischen Nachbild, in Pantheon, XVIII (1960), pp. 81-84; B. Hedergott, Einebraunschweiger Zeichnung von A. Veneziano. Gedanken zur Physiognomik der Groteske, in Beiträgezur Kunstgeschichte, München 1960, pp. 126-154; M. Rotili, La fortuna di Michelangelo nell'incisione, Benevento 1964, nn. 12-15; A. Petrucci, Panoramadella incisione ital. - Il Cinquecento, Roma 1964, pp. 29, 31 ss.; K. Oberhuber, Renaissance in Italien16. Jahrhundert, New York 1966, nn. 146-153; L. Bianchi, La fortuna di Raffaello nell'incisione, in Raffaello, Novara 1968, II, pp. 652 s., 656, 667, 669 s., 674 s.; D. Kuhrmann, Frühwerke A. Venezianos, in Munuscula discipulorum-Kunsthistor. Studien Hans Kauffmann zum 70. Geburtstag 1966, Berlin 1968, pp. 173-176; The illustrated Bartsch, The works of Marcantonio Raimondi and of hisschool, a cura di K. Oberhuber, 26 s., New York 1978, passim;D. Minonzio, Novità e apporti per A. Veneziano, in Rassegna di studi e di notizie, VII (1980), pp. 273-320; R. D'Amico, Incisori veneti dalXV al XVIII sec., Bologna 1980, pp. 27-36; G. Egger, A. D. und das Verhältnis zur Antike imOrnamentstich des Cinquecento, in Alte und moderneKunst, XXVI (1981), 178 s., pp. 11-15; G. Albricci, "Lo stregozzo" di A. Veneziano, in Arte veneta, XXXVI (1982), pp. 55-61; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 292 (sub voce Musi, Agostino dei); Dizion. encicl. Bolaffi, VIII, pp. 58 s. (sub voce Musi, o De Musi, Agostino).