DE PIETRI (Del Pedro, De Pitri, Pietri, Pitri), Pietro Antonio
Nacque a Cadarese, frazione di Premia nella Valle Antigorio, oggi provincia di Novara, ma anticamente appartenente allo Stato di Milano, il 19 febbr. 1663 (Canestro Chiovenda, 1971; Chirico, 1982, pp. 246 s.), da Carlo detto "Lana" e da Caterina Pezetta. All'età di 15 anni fu inviato a Roma, dove si trovavano alcuni artisti provenienti dalla Valle di Antigorio (cfr. Canestro Chiovenda, 1978) e si stabilì presso un parente, Giovanni Antonio De Pietri, che possedeva una bottega per lo smercio del vino (Pascoli, p. 223). Presso di lui il D. abitò fino a che fu raccomandato dallo stesso Giovanni Antonio al pittore Giuseppe Ghezzi, che lo prese come scolaro, per poi affidarlo agli insegnamenti del pittore cremonese Angelo Massarotti, presso il quale il giovane D. rimase per due anni, al termine dei quali fece ritorno all'alunnato presso il Ghezzi (Pio, p. 133; Pascoli, pp. 223 s.).
Presumibilmente intorno al 1683 la carriera artistica del D. ebbe una svolta decisiva, a seguito dell'incontro con Carlo Maratti, a quel tempo già riconosciuto e celebrato maestro del tardo barocco romano. Il Maratti apprezzò nel giovane D. soprattutto la bravura nell'eseguire copie e, ritenutolo utile per la sua scuola, lo volle presso di sé; poco dopo lo incaricò di eseguire disegni (perduti) dagli affreschi di Raffaello nelle Stanze vaticane (Orlandi, 1733, p. 366) e lo chiamò a collaborare, insieme ad Andrea Procaccini, al restauro di questi stessi dipinti (Missirini, 1823, p. 121). Da questo momento in poi, presumibilmente grazie all'interessamento dello stesso Maratti, il D. cominciò a ricevere le sue prime commissioni in campo pittorico.
L'attività del D. dovette essere intensa, come è deducibile da diversi fattori diretti e indiretti, anche se gli elementi fino ad oggi acquisiti permettono di situare cronologicamente con una certa esattezza solo alcune delle opere a noi note. Il suo ingresso all'Accademia dei Virtuosi del Pantheon nel 1703 e quello nell'Accademia di S. Luca qualche anno più tardi (Missirini, 1823, p. 121) lasciano intendere una sua affermazione, come artista, a Roma. Inoltre la presenza di elementi tipicamente maratteschi in diversi dipinti testimonia una sostenuta attività iniziale, quando più scoperta e pedissequa era presumibilmente l'imitazione del maestro. Tale attività e la sua stessa notorietà vennero progressivamente estendendosi, tanto che alle prime commissioni romane, procurate probabilmente anche tramite il Maratti, se ne aggiunsero "da fuori": dal paese natale pervenne la richiesta di una pala raffigurante S. Pietro. s. Paolo, s. Giuseppe e vari angeli, per la chiesa di S. Rocco (Pascoli, p. 224: oggi il dipinto è perduto ed è sostituito da una mediocre copia di Paolo Ranieri, dipinta nel 1851). Su ordine dei cistercensi di Roma dipinse una tela per i religiosi dell'Ordine residenti a Milano (il dipinto è forse da identificare con S. Ambrogio si riconcilia con Teodosio, conservato a Parabiago, in S. Ambrogio della Vittoria); per Pavia eseguì una Vergine con Bambino, s. Giuseppe e s. Anna (Pavia, S. Michele).
Altri dipinti gli vennero commissionati dal padre procuratore generale di S. Maria Traspontina, per essere inviati in Spagna; altri furono invece spediti in Inghilterra (Pascoli, p. 226): essi comprendevano sia soggetti di invenzione dello stesso artista, sia copie da dipinti celebri da lui eseguiti. Infine, fra i dipinti inviati fuori Roma, sono da ricordare tre delle sedici Scene della vita della Vergine, dipinte su rame, eseguite per la sacrestia della cattedrale di Salvador (nello Stato di Bahia, Brasile, dove si trovano tuttora), che era stata eretta fra il 1657 e il 1672 ed era tenuta dai gesuiti: le tre opere del D. raffigurano l'Annunciazione, la Visitazione, l'Adorazione dei magi; le altre sono di mano di G. Chiari, G. Passeri e F. Trevisani.
Il D. ricevette anche l'invito di recarsi a lavorare in Inghilterra, con uno stipendio di 100 scudi al mese, ma preferì rinunciare a tale offerta temendo problemi a causa della differenza di religione (Pio, p. 134; Pascoli, p. 226).
La sua opera pittorica risulta considerevolmente più vasta di quella citata dal Pascoli, che pure è il biografo meglio e più dettagliatamente informato; egli infatti cita in sostanza solo le opere eseguite per edifici pubblici religiosi ed ignora quasi del tutto (fatte salve alcune citazioni generiche) le opere per committenti privati. Quelle pubbliche ricordate dal Pascoli (e in parte dal Pio) sono: la già citata pala per la chiesa di S. Rocco a Premia; quattro tele raffiguranti rispettivamente S. Lorenzo, S. Agnese, S. Emerenziana e un Pontefice, ordinategli dal p. Calisti, abate di S. Pietro in Vincoli (non si conosce l'attuale ubicazione; cfr. Pascoli, pp. 224-29); una parte della decorazione del soffitto della cappella nel palazzo Del Bufalo (oggi Ferraioli) in piazza Colonna, su commissione del card. Imperiali; a tale decorazione prese parte F. Civalli, mentre al D. sarebbe spettata anche la progettazione per i dipinti nella galleria del secondo appartamento (le modifiche intervenute nel XX secolo nel palazzo hanno cancellato ogni traccia della decorazione pittorica).
Diverse furono pure le pitture eseguite per chiese romane, quali il Cristo in croce nella seconda cappella a destra della chiesa di Ss. Vincenzo e Anastasio o la Madonna con Bambino, s. Lorenzo e s. Antonio in S. Maria in via Lata (per questa stessa chiesa eseguirà, più tardi, quattro ovali, raffiguranti Episodi della vita di Maria, mentre altri della stessa serie risultano di mano di A. Masucci e di G.D. Piastrini). Ancora sono da ricordare una Trinità per l'altare della cappella del palazzo del Quirinale; un'Assunzione della Vergine per la chiesa della Madonna delle Fornaci (databile intorno al 1712) e infine la raffigurazione di S. Clemente che dà il velo a s. Domitilla, dipinta nella chiesa di S. Clemente, sopra gli archi della navata maggiore, a sinistra, in occasione dei lavori voluti da papa Clemente XI. A queste opere possono essere aggiunte quelle raffiguranti alcune Virtù, dipinte per una sala dell'ospizio dei padri cistercensi nel rione Trevi, non lontano dall'arco di Carbognano (oggi non più esistente).
Le commissioni per opere di minore impegno pubblico risultano altrettanto numerose e lasciano sospettare che la posizione del D. non fosse quella cui lo ha destinato la storiografia del XIX e XX secolo. Fra questo tipo di opere sono da annoverare quelle citate genericamente dal Pascoli per alcuni committenti più noti: una serie di tre opere per Antonio Solidati (Assunzione, S. Filippo Neri e S. Giovanni); quattro dipinti per Alessio Simonetti, relativi a Storie di David, Giuditta, Gioele e Sansone e altri dipinti richiesti dal card. Pietro Ottoboni e dal marchese Nicolò Pallavicino. Nonostante la citazione di queste opere da parte delle fonti più antiche è tuttavia lecito sospettare che l'attività pittorica del D. sia stata ancora più vasta ed abbia compreso numerosi dipinti da cavalletto, commissionati cia privati. Fra quelli fino ad oggi rintracciati si ricordano: Madonna con Bambino (Cadarese, Premia, propr. priv.), copia di un dipinto del Maratti conservato al Künstmuseum di Vienna; Autoritratto (Premia, propr. priv.); Natività (passato alla vendita Christie's, Londra, giugno 1948); Presentazione al tempio (Londra, coll. Th. Harris); Martirio di s. Lorenzo (Roma, Galleria nazionale di arte antica), forse identificabile con uno dei quattro dipinti su commissione del p. Calisti; un Ritratto di giovinetto (Premia, propr. priv.) e una Adorazione dei pastori (ubicazione, ignota), un tempo conservata a palazzo Rondinini a Roma.
Infine, nell'ambito dell'opera pittorica, si può ricordare uno stendardo dipinto dai due lati (con una Trinità e una Risurrezione di Cristo, ubicazione ignota), eseguito per la Confraternita della Trinità (Pascoli, p. 226).
Diversi altri dipinti, precedentemente assegnati a differenti artisti, sono stati in tempi recenti restituiti al D. (Dreyer, 1971) come Coriolano accetta di non combattere contro Roma e Tullia (entrambi conservati a Burghley House, coll. Exeter, in precedenza attribuiti a G. Chiari) e La fine dello scisma di Anacleto (Dijon, Musée). Ad essi si possono aggiungere La crocefissione di s. Pietro (New York, coll. Ganz), S. Pietro e Anania (Roma, Accademia di S. Luca) e La presentazione al tempio (Rouen, Musée des beaux-arts), mentre sono piuttosto da derubricare Maria e Giuseppe falegname (Brunswick, Städliches Museum) e i due dipinti del castello di Opočno i quali, benché firmati, appaiono più probabilmente opera di Filippo Lauri. Al di là di queste sommarie indicazioni, è tuttavia da credere che l'opera pittorica del D. abbia confini maggiori di quelli a noi oggi noti.
L'intensa produzione pittorica del D. lascia intendere la presenza di un'altrettanto viva operosità nel campo del disegno.
All'attività iniziale del D. sono da riferire diversi disegni, fra i quali, ad es., quelli eseguiti copiando i dipinti di F. Albani e di S. Badalocchio nel palazzo Verospi (poi incisi da G. Frezza nel 1704) ed il disegno per il frontespizio del Theatrum basilicae Pisanae di G. Martini, edito da Antonio De Rossi a Roma nel 1705.
Inoltre esistono numerosi fogli a lui attribuibili con una certa sicurezza, molti dei quali relativi o addirittura preparatori per opere pittoriche. Questi disegni sono conservati in diverse raccolte: i nuclei più numerosi si trovano a Berlino, sia presso la Kunstbibliothek sia presso gli Staatliche Museen di Dahlem (almeno ventisette fogli), e a Windsor Castle (almeno ventitré fogli). Altri disegni, in quantità minore, sono conservati a Londra (British Museum e Victoria and Albert Museum), Copenaghen, Düsseldorf (almeno cinque fogli), Salisburgo, Filadelfia, Madrid (Biblioteca nazionale), Chicago, Norfolk, Firenze (Uffizi) e Digione. Diversi disegni poi, attribuibili al D., sono passati in alcune aste (Sotheby's, marzo 1959 e gennaio 1964; Christie's, novembre 1958) o nei cataloghi di alcune case di vendita (P. Prouté, Dessins, Estampes, catal. di vendita "Papety", Paris 1982, p. 8, n. 8).
L'altro settore artistico che vide impegnato il D. fu quello dell'incisione, che egli cominciò ad esercitare almeno a partire dal 1689, data dell'acquaforte Vergine con Bambino, s. Francesco e s. Rocco (L. Cotta, Museo novarese, Milano 1701, p. 298). A datata all'anno seguente un'altra incisione, S. Lorenzo Giustiniani e quattro santi (Nagler, Künstler-Lexikon), mentre è del 1694 una delle incisioni più conosciute dell'artista, Il Purgatorio: per quest'ultima opera è tuttavia forse ipotizzabile una datazione anteriore, dal momento che l'anno citato compare solo sugli esemplari del secondo stato. Oltre a queste opere datate è comunque presumibile che l'attività incisoria dell'artista sullo scorcio del XVII secolo sia stata abbastanza intensa e comprenda diverse altre opere non datate, fra le quali comunque è da inserire il Frontespizio per Disegni divari altari, edito da G. G. De Rossi anteriormente al 1705 (compare nell'Indice delle stampe edito in quell'anno da Domenico De Rossi).
Tale attività fu forse rallentata negli anni successivi al 1704-05, per essere poi ripresa con rinnovato impegno verso la fine della vita, quando la malattia (l'idropisia, secondo Orlandi, 1753, p. 420) gli impedì di dipingere (Pascoli, pp. 226 s.).
Il corpus incisorio del D. ammonta almeno a diciannove opere, dal momento che alle iniziali segnalazioni di sue acqueforti effettuate dal Cotta e dal Gandellini, nonché ai repertori stilati da A. Bartsch e da G. K. Nagler (1841), è possibile apportare significative aggiunte: S. Lorenzo Giustiniani con quattro santi (altra versione rispetto a quella citata dal Nagler), un Nettuno, tratto da una composizione di Giulio Romano, una raffigurazione delle Tre Virtù teologali (firmato "Io. Thomas Pollidorus"), un Ercole e Saturno (da Paolo Melchior) e una serie di almeno quattro acqueforti di piccole dimensioni, relative a santi del XVI e XVII secolo, tutte firmate e stampate da Muzio Conti di Roma (un buon numero delle incisioni del D. è conservato nel Kunstmuseum di Düsseldorf e nel Gab. naz. delle stampe di Roma).
Di non minore ricchezza risulta l'elenco delle incisioni eseguite da altri artisti da disegni e dipinti del D., poiché permettono di individuare l'esistenza di opere oggi disperse o del tutto ignote. Diverse di queste incisioni vedono il D. impiegato solo come disegnatore, e quindi solo come tramite tra l'opera dipinta e l'incisione: oltre alle già citate incisioni di G. Frezza si ricordano Giove e Leda inciso da Gaspard Duchange dal Correggio e una Natività con Angeli incisa da J. C. Allet dal Cantarini. Si hanno altri casi, invece, in cui il D. risulta l'inventore del soggetto, come ad esempio il Frontespizio del cit. Theatrum basilicae Pisanae; Vergine e santi (incisa da Ph. Cl. De Caylus); Giacobbe rimuove la pietra del pozzo (incisa da J. Finlaison); un gruppo di tre opere (Annunciazione, Natività e Deposizione), incise da G. Frey; una Vergine e santi (incisa da N. Le Sueur); e infine uno o più intagli eseguiti da Benoît Thiboust (Huber, 1800).
Il D. fu, a detta del Pascoli, un uomo schivo e amante della solitudine, al punto che per questa ragione non volle sposarsi, né avere scolari. Morì a Roma il 20 dic. 1716 (Pascoli, p. 227; Pio, p. 134).
I funerali, secondo quanto informa il Pio, ebbero luogo nella chiesa dell'ospedale di S. Spirito. Secondo il Pascoli fu sepolto al Pantheon ma oggi non si trova traccia del suo sepolcro.
La critica a lui contemporanea ha lodato generalmente la sua abilità di disegnatore e copista: "bravissinio a imitare ciò che copiava", dice l'Orlandi (1733, p. 366). Fra le sue numerose opere dipinte, godette maggior credito e fortuna presso i contemporanei e per tutto il XVIII secolo soprattutto il S. Clemente che dà il velo a s. Domitilla. Verso la fine del secolo XVIII il giudizio è stato rivisto e la sua opera è stata più genericamente classificata tra quella di coloro che "innestarono nello stile del Maratta alquanto di cortonesco, ma parcaniente" (Lanzi, 1795, p. 540). Ad una sostanziale dimenticanza nel XIX secolo e nella prinia parte del XX è seguita una rivalutazione, in particolar modo da parte di A. M. Clark, J. Harold-S. Fold Mc Cullagh, P. Dreyer e B. Canestro Chiovenda.
Col D. si stabilì a Roma, all'incirca negli stessi anni. anche suo fratello GiovanniBattista, anch'egli pittore. Figlio di Giovanni Battista fu Bartolomeo e a lui il D. lasciò in eredità un modesto patrimonio (Pascoli, p. 227). Bartolomeo dapprima esercitò l'attività di pittore, in seguito divenne incisore. Di lui si ricordano fra l'altro le seguenti acqueforti: una Natività (da C. Maratti), un Giuseppe con il Bambino, di sua invenzione, e un Ritratto di Benedetto XIII. Lavorò fra il 1724 e il 1730.
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