DE ROSA, Giovan Francesco, detto Pacecco
Nacque a Napoli il 17 (o il 27) dic. 1607 da Tommaso e Caterina De Mauro (Prota Giurleo, 1951, p. 20).
Tommaso (morto a Napoli nel 1610) era pittore e la sua attività è ora nota solo dal Martirio di s. Erasmo documentato al 1601 (Napoli, chiesa dello Spirito Santo; cfr. Prota Giurleo, 1951, p. 20), un'opera in pessime condizioni che denota il classicismo tardomanierista devoto e "senza tempo" tipico di ampi settori della pittura napoletana all'inizio del Seicento. Da documenti del 1601-1602 (ibid.) si sa che Tommaso svolgeva - al pari di vari altri suoi colleghi - l'attività professionale di didatta: pertanto il D. visse sin dall'infanzia in un ambiente di pittori professionisti. La figura chiave degli esordi ed anche della sua attività giovanile, nota da studi relativamente recenti, è tuttavia Filippo Vitale che, pur restando sempre piuttosto legato alle sue matrici tardocinquecentesche, fu tra i primi napoletani a recepire l'importanza delle innovazioni caravaggesche (Opere d'arte nel Salernitano dal XII al XVIII secolo [Salerno; catal. della mostra], a cura di F. Bologna, Napoli 1955, p. 64; G. De Vito, in Ricerche sul '600 napoletano, Milano 1987, pp. 105-143). Nel 1612 Vitale sposo infatti la madre del D., rimasta vedova nel 1610.
Da quel momento il D. si avvarrà di un rapporto serrato con il patrigno; un rapporto in cui interessi familiari e imprenditoriali, nonché soprattutto un intenso sodalizio sui problemi figurativi, costituiranno un'unione ininterrotta sino alla morte del Vitale (1650). A peraltro interessante osservare nel corso del tempo il progressivo ribaltamento dell'egemonia culturale di Vitale sul più giovane D., e ciò in forza dell'influsso, o meglio del magistero esercitato su quest'ultimo da una delle maggiori personalità nella pittura napoletana della prima metà del sec. XVII, Massimo Stanzione. Riferito dal De Dominici (1743), l'apprendistato del D. presso lo Stanzione è chiaramente provato dagli esiti figurativi conseguiti dal pittore, che già alla metà del quarto decennio del Seicento si configura come uno dei suoi allievi più originali.
Sviluppando in senso accademizzante gli interessi stanzioneschi nei confronti del classicismo del Reni e del Domenichino, il D. perseguì una formulazione autonoma della linea figurativa del suo maestro, dedicandosi sia alla pittura religiosa sia a composizioni di soggetto profano per collezionisti privati, anche nel piccolo formato. La sua produzione, di qualità a volte alterna per l'occasionale presenza di aiuti soprattutto in opere a carattere devozionale, nelle sue espressioni migliori acquistò notevole importanza nella complessa temperie della pittura napoletana del primo Seicento.
È arduo formare un gruppo di dipinti giovanili del D., poiché la sua prima opera documentata, il S. Nicola (1636; Napoli, certosa di S. Martino, sagrestia piccola), mostra un artista già maturo, ormai pienamente legato alla linea dello Stanzione. Del suo rapporto con Filippo Vitale portano segni evidenti la Madonna con Bambino (S. Martino, Quarto del priore; assegnatagli da T. Fittipaldi, e in cui invece Spinosa vede la mano di Filippo Vitale; cfr. Arbace-Capobianco-Pastorelli, 1986, p. 89);l'altra notevole Madonna con Bambino (Napoli, S. Marta: data al D., Causa, 1954, pp. 37 s.; poi a F. Guarino, F. Bologna, Opere d'arte nel Salernitano..., 1955, cit., p. 61, e ancora al D., Spinosa, 1984, fig. 275);la Madonna della Purità (Napoli, chiesa del Divino Amore), con le relative varianti (Salerno, cattedrale, succorpo; Napoli, S. Potito, sagrestia; Giorgio, 1971, pp. 123 s.). Si tratta di timidi tentativi di sensibilizzare un noto tema tardocinquecentesco meridionale con un effuso sentimentalismo, o ponendo ritratti di penitenti e dei santi Giuseppe e Antonio di Padova, come nella redazione di S. Potito. A queste poche opere, del 1625-30circa, segue un gruppo di dipinti da porre indicativamente nel successivo quinquennio 1630-35, quando il D. contaminava uno stanzionismo ancora piuttosto arcaico con evidenti influssi da Paolo Finoglia.
È il caso della notevole Immacolata (Napoli, S. Domenico Maggiore; data dall'Ortolani, 1938, a P. D. Finoglia e dal Bologna, 1955, cit., a Francesco Guarino, ma poi passata al D., cfr. Lattuada, 1985); del danneggiato ma intensissimo Abramo e i tre angeli (Napoli, ex Casa santa dell'Annunziata); della più antica e rovinata tra le redazioni della Deposizione (Napoli, collegio del Gesù Nuovo) segnata da un disperato patetismo già aggiornato sul filone emiliano della "poetica degli affetti"; ed anche della S. Dorotea (Praga, Národni Galerie). Probabilmente alla fine di questa sequenza si collocano la manierata Lotta di Giacobbe con l'angelo (Brescia, coll. privata; cfr. De Vito, 1984, p. 14, fig. 48) e due importanti opere pugliesi, sempre segnate da un'adesione un po' generica ai modi dello Stanzione, nonché dall'uso di fisionomie e soluzioni luminose ispirate a Finoglia: L'Annunciazione (Palo del Colle [Bari], parrocchiale; D' Elia, 1964, p. 170) e la piccola Madonna con Bambino del Museo Pornarici-Santornasi di Gravina (attribuita a Francesco Guarino dal D'Elia, 1964, p. 153, poi al D. dal Lattuada, 1982), dove nel volto della Vergine, il D. replica le fattezze, il trattamento luminoso e la cifra di contenuta intimità femminile della stessa figura del quadro di Palo del Colle.
Nella cerchia del D. erano pittori, oltre alla sorella Diana e a suo marito, Agostino Beltrano, il valenzano Juan Do, che nel 1626 sposò un'altra sua sorella. Inoltre, egli conobbe certamente bene anche Aniello Falcone, genero di Filippo Vitale dal 1629. E soprattutto Vitale collaborò spesso col D.: ad esempio la Madonna che dà il rosario a s. Carlo Borromeo alla presenza di s. Domenico (Napoli, S. Domenico Maggiore) attribuita dalle fonti al D., poi alternativamente a entrambi (Pugliese, 1983, p. 122;Spinosa, 1984, fig. 282) è decisamente opera di collaborazione; infatti è del D. il tentativo di modernizzare l'arcaica staticità tipica di Vitale mediante l'addolcimento dei contorni del volto della Vergine e la più fluida resa volumetrica dei suoi panneggi rispetto a quelli delle altre figure.
Evidentemente i due pittori stavano tentando un'estrema sintesi tra taluni retaggi latamente tardomanieristi, il caravaggismo e l'eclettismo dello Stanzione, basato sulla combinazione dei modi di Reni, di Artemisia Gentileschi e del Vouet italiano.
A questa complessa dialettica appartengono altre importanti opere di collaborazione tra Vitale e il D.: il Martirio di s. Barbara, già denominato Scena di martirio e attribuito al D. dal Bologna (1978, corso di perfezionamento in storia dell'arte dell'università di Napoli; già di proprietà di Roberto Longhi, poi a Roma presso la Finarte, asta n. 435 del 15 marzo 1983, n. cat. 235, p. 90); la replica in collezione privata a Napoli, variata nella positura della santa e senza la torre con le tre finestre a destra, ma quasi identica nella figura del padre omicida (giustamente attribuita a Vitale e collegata alla variante già Longhi da F. Bologna nel 1978, cit.; cfr. Lattuada, 1985); l'Ira di Dio, che perseguita il padre di Barbara prima di incenerirlo in collezione privata (ibid.); pubblicata come Soggetto non identificato da G. De Vito, in Ricerche sul '600 napoletano, Milano 1987, p. 109, fig. 24 e tav. II.
Altra opera di chiara collaborazione tra Vitale e il D. è la grande pala con S. Antonio di Padova che intercede per Napoli (1635 c.; Napoli, Congrega di S. Antonio in S. Lorenzo Maggiore) che oltre alla straordinaria veduta di Napoli a volo d'uccello annovera le stesse combinazioni formali della Madonna che dà il rosario a s. Carlo di S. Domenico Maggiore, anche nei comuni legami con gli scherni compositivi già barocchi, tipici delle coeve pale dello Stanzione.
Di questo momento è anche il S. Nicola della sacrestia piccola di S. Martino (1636), che ripete pressoché specularmente, ma in chiave più radicalmente purista, l'omonima opera dello Stanzione a S. Nicolao a Milano. Non può che situarsi a tale fase una probabile collaborazione, eventualmente per la sola figura del giovane apostolo inginocchiato a destra, alla grandiosa Assunzione della Vergine (già in collezione Cook, Raleigh, N. C., City Art Gallery; attribuita al solo D. da Pigler, 1934 e da Spinosa, 1984, fig. 276) in cui gran parte della composizione è tratta dallo schema del Sacrificio di Mosè dello Stanzione, firmato, di Capodimonte. Un'altra testimonianza di tale fase è la Strage degli innocenti del Philadelphia Museum of Art (Marrow, 1978) che, con la versione dell'Incoronata del Buon Consiglio a Capodimonte (Napoli), costituisce una complicata antologia di invenzioni stanzionesche della metà degli anni Trenta, e va datata verso il 1640 come il Giuseppe e la moglie di Putifarre (già Marano di Castenaso, Bologna, coll. Molinari Pradelli; cfr. Causa, 1972, fig. 326).
Nella Strage degli innocenti di Filadelfia il rapporto con lo Stanzione implica anche un'accentuazione degli influssi di Domenichino, di Poussin e più in generale del classicismo romano-bolognese. Il D. persegui questa linea con crescente coerenza sin dall'inizio degli anni Quaranta nella Susanna e i vecchioni e nel Bagno di Diana di Capodimonte, nobili riletture di opere reniane e stanzionesche, sicuramente fecondate dal contributo di Domenichino e di Artemisia Gentileschi all'area figurativa del "naturalismo classicizzato" napoletano. Su un accentuato registro gentileschiano è infatti giocata anche un'altra altissima opera di tale momento, la Cleopatra (Londra, coll. privata) già data alla stessa Artemisia Gentileschi da M. Gregori (in Civiltà del Seicento a Napoli, I, Napoli 1984, p. 306) ma piuttosto tipica del D. per i rapporti con la S. Barbara già presso Finarte; è invece inaccettabile l'ascrizione al D. del Giudizio di Paride su rame (Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste), che è più giusto attribuire proprio alla Gentileschi.
In questi stessi anni, inoltre, come lo Stanzione il D. oscillò tra differenti atteggiamenti culturali nel medesimo arco cronologico. È infatti difficile spostare prima del 1632-33 e dopo il 1640 alcune opere che, pur nell'ambito del quadro sin qui delineato, mostrano un sensibile influsso di Ribera, forse spiegabile con una collaborazione del D. con Juan Do.
È il caso del Martirio di s. Lorenzo (Lizzanello, Lecce, chiesa parrocchiale) datato verso il 1632-33 dal Pugliese (1983, p. 124) che situa al 1635-40 l'altra redazione presso la Bob Jones University (Greenville, S. C.); del Cristo che ascende al Calvario (Benevento, Museo del Sannio) gremito di figure situate in primo piano e sullo sfondo senza graduazioni spaziali intermedie; della piccola Visione di s. Antonio di Padova attribuita dal Pigler (1931; Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste) ed anche di alcune opere di recente date al Do, ma così vicine al D. da prospettare la possibilità di collaborazioni dirette (C. Fiorillo, Aspetti poco noti del Seicento napoletano. Francesco di Maria, Napoli 1985, figg. 2, 4; Longhi, 1956, pp. 61-64): S. Giuseppe con il Bambino (Montevergine, Abbazia, Museo); Adorazione dei pastori (Roma, Montecitorio); Adorazione dei pastori (Firenze, collez. privata) in cui predomina l'apporto del Do.
Questi contatti con l'area di Ribera spiegano anche i risentimenti chiaroscurali e certe intonazioni "picaresche" di due storie bibliche di ambientazione pastorale: Rachele e Giacobbe del Museo di Capodimonte (in deposito a Bari, Pinacoteca provinciale), che deriva da una redazione più antica in collezione privata (negativo a Napoli, Soprintendenza per i Beni artistici e storici [indi BAS], n. 5199), e il Riposo dalla fuga in Egitto (Napoli, coll. Laliccia, neg. alla Sopr. BAS di Napoli n. 1070); in queste due opere della prima metà degli anni Quaranta, si chiarifica anche il rapporto con gli esiti puristi dello Stanzione, con un'accentuata propensione per Domenichino.
È questo il tratto più noto del percorso del D., quando egli era all'apice di una carriera di successo, caratterizzata da un'alta professionalità che talvolta giungeva ai vertici della pittura napoletana degli anni Quaranta e Cinquanta del Seicento. In tale fase si formò l'immagine del D. dataci dal De Dominici: un pittore che "non contento della scuola eruditissima del Cavalier Stanzioni, udendo vantar da lui ... l'opere dell'eccellentissimo Guido Reni, si propose imitare al possibile quel gran Maestro" (1743, p. 101), divenendone uno stimato copista attivo per un giro di collezionisti colti, che richiedevano questi dipinti per i loro studi eruditi sulle scuole artistiche più prestigiose.Ma anche nel campo della pittura religiosa si accumularono importanti incarichi: l'Annunciazione (Napoli, S. Gregorio Armeno), datata 1644, dai vivaci cromatismi sui panneggi frammentati e pesanti, opera di domestica e rassicurante devozione; la cristallina Immacolata (Brest, Musée) che è una variante della versione di S. Domenico Maggiore, più tarda e più legata a Guarino (Immacolata di Solofra, Avellino, collegiata di S. Michele, Congrega dei bianchi, 1636); la Deposizione (certosa di S. Martino, Quarto del priore) che insieme con la celebrata versione della chiesa della Nunziatella (datata 1646) rappresenta una matura e raffinata adozione della poetica di Domenichino; il Giudizio di Paride (Avellino, Museo Irpino) ambientato in un luminoso contesto en plein air; la Fuga in Egitto del Museo di Capodimonte, dove la mano che raccoglie il panneggio e l'altra al petto dell'angelo a destra, ripetendo specularmente la positura della Rachele nel quadro della Pinacoteca di Bari, mostrano una ricorrenza di moduli disegnativi tipica anche di Guarino; le due versioni di Venere e Adone (Besançon, Musée des beaux-arts et d'archéologie, e l'altra più tarda già presso Sotheby's, ripr. in Spinosa, 1984); il Ratto di Europa (Napoli, coll. privata: negativo a Napoli, Sopr. BAS, n. 50137) vicinissimo al quadro di Besançon e segnato da affilate profilature alla Filippo Vitale, anche nella versione passata presso Christie's nel febbraio del 1978. Verso la seconda metà del quinto decennio si situano anche la Nascita della Vergine e la Presentazione di Gesù Bambino al tempio per l'offerta lustrale (Napoli, S. Paolo Maggiore, cappella della Purità), che, con altre due tele siglate dello Stanzione, compongono un notevole ciclo di storie mariane (cfr. Lattuada, 1982, p. 64 n. 26; Pugliese, 1983, p. 126).
Le opere di S. Paolo Maggiore esprimono la maniera matura del D., segnata dagli esiti puristi di opere dello Stanzione come il S. Gennaro che esorcizza un'ossessa (1646; Napoli, sagrestia della cappella del Tesoro di S. Gennaro). Le peculiarità dello stile del D. sono ormai riconoscibili, persino in apporti secondari ad opere tarde di Filippo Vitale (come in alcune figure di fondo della Pietà, Napoli, S. Maria Regina Coeli) che è degli ultimi anni Quaranta e non del 1635-40, come sostiene V. Pacelli in Civiltà del Seicento a Napoli, I, Napoli, 1984, p. 504). Le soluzioni delle tele di S. Paolo Maggiore ritornano anche in un piccolo, magnifico dipinto su rame: Sansone e Dalila (Parigi, coll. privata: attribuito ad Antonio De Bellis da N. Spinosa in Bernardo Cavallino ... [catal.], Napoli 1985, p. 180, e passato al D. da R. Lattuada, 1985) in cui si osserva quale autonomia espressiva il D. avesse raggiunto nel campo del piccolo formato, che esalta le sue doti di colorista affezionato a timbri squillanti e "laccati", e ne raffina i partiti compositivi mediante l'uso di una luce cristallina.
Dopo il 1645 il D. proseguì nelle sue notevoli reinterpretazioni di opere stanzionesche, come nella Maddalena penitente che ha la visione della Croce (Napoli, coll. privata; cfr. Lattuada, 1985). Si situa tra i più alti raggiungimenti del suo percorso un dipinto di tersa intonazione classicistica e di preziose soluzioni cromatiche e luminose: la Madonna col Bambino, che dà al duca di Guisa lo scettro del Regno di Napoli... (Firenze, coll. L. Cei e figli; ripr. in Rocco, 1984, p. 252), una singolare ma evidente apologia allegorica politico-religiosa, collegata alla presenza del condottiero francese a Napoli durante le vicende della rivolta di Masaniello. Un pacato classicismo, epurato da squilibri compositivi e sostenuto da un estremo controllo dei partiti formali, segna l'altro capolavoro di questi anni: la sopraporta con il Riposo durante la fuga in Egitto (Roma, coll. privata; ne esiste una seconda redazione in coll. privata napoletana; cfr. Lattuada, 1985), in cui le straordinarie fisionomie della Vergine, di Giuseppe e dell'angelo che offre frutti a Gesù Bambino spiccano nell'impaginazione a mezza figura, stagliate nell'oscurità del bosco e immerse nella luce del tramonto, accesa dai vivi contrappunti cromatici degli abiti.
L'attività del D. fu intensa anche in opere di destinazione evidentemente domestica o comunque privata. Si ricordano: i pendants con S. Pietro e S. Paolo del Museo di Capodimonte (depositi) e i due più tardi con S. Luca e S. Matteo (Napoli, farmacia dell'ospedale degli Incurabili); Venere e Marte (Roma, Montecitorio). Lo straordinario Incontro di Rachele e Giacobbe (già presso Finarte, 1984) sembra corrispondere al quadro del D. già presso il duca di Maddaloni (De Dominici, 1743, p. 102) ed è l'estrema testimonianza dell'ininterrotto rapporto tra il D. e Vitale, che firmò nel 1650 il suo pendant con la Fuga da Sodoma.
Dallo Stanzione il D. desunse anche l'attitudine a ribadire in più opere singole figure o specifiche soluzioni compositive, specie in quadri tardi come l'Immacolata (firmata e datata 1651; Vibo Valentia, convento dei cappuccini: cfr. Ortolani, 1938, p. 55), un'antologia di stilemi compositivi elaborati in altre sue tele ben note della maturità. Dopo la metà del secolo il D. continuò a classicizzare, non di rado in chiave assai originale, il linguaggio stanzionesco negli Angeli che impongono il cingolo della castità a s. Tommaso d'Aquino (firmato e datato 1652; Napoli, S. Maria della Sanità), splendido dipinto impaginato come una festosa aggressione di tre giovani efebici a un monaco spaventato, dove la gloria degli angeli intorno all'eucaristia è un singolare pastiche di citazioni da Reni, Domenichino e Stanzione.
Dello stesso impegno qualitativo sono altre due importanti commissioni pubbliche: S. Pietro che battezza s. Candida (documentato al 1654, cfr. D'Addosio, 1913, p. 498; Napoli, S. Pietro ad Aram) in cui il volto sorridente di s. Pietro replica quello di s. Giuseppe nell'Offerta lustrale di S. Paolo Maggiore, e la Madonna del suffragiocon i ss. Domenico e Gaetano (datata 1654; Sant'Agata di Puglia, chiesa parrocchiale).
Pur vicinissimo alle analoghe opere dello Stanzione (Napoli, S. Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco) e di Guarino (Gravina di Puglia, chiesa del Suffragio) questo dipinto se ne distingue per l'apertura paesistica e per i tentativi di conseguire un maggior movimento barocco mediante il turbinio degli angioletti che sorreggono il volo della Madonna e dei santi. Rappresentano validamente l'ultimo tratto del percorso del D. la S. Agnese (già a Francavilla Fontana, palazzo Imperiali, ripr. in D'Elia, 1964, fig. 167) e la S. Caterina (Bisceglie, convento di S. Luigi), nonché varie opere inedite di mercato, presso privati o in chiese meridionali.
Alla sua morte, avvenuta entro l'ottobre del 1656 durante la peste (Prota Giurleo, 1951, p. 25), le quotazioni del D. dovevano essere già da tempo piuttosto alte a giudicare dalle commissioni di svariati Ordini religiosi e di importanti famiglie nobili napoletane e regnicole (cfr. De Dominici, 1743, p. 102). E ciò testimonia il successo delle scelte del pittore, che fu "grande imitatore del naturale, del quale però scegliea il più bello, e 'l più nobile, come si vede dalle sue opere" (ibid., p. 103)
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