DE ROSSI, Giovan Francesco
Nacque a Roma il 6 dic. 1796 da Giovanni Gherardo, noto letterato ed erudito discendente da una famiglia di mercanti di stoffe e banchieri d'origine piemontese, e da Clementina Ingami, romana. Ebbe la prima educazione in casa, compiendo poi il consueto corso di studi. Poiché manifestava attitudine alle belle arti, venne dal padre affidato a V. Camuccini, allora al massimo della fama, ottenendo nella pittura qualche risultato, se è vero che "piacquero i suoi tratti e i suoi tocchi" (L. Sebastiani). Nel 1811 era stato scelto come compagno di studi dell'infante Carlo Ludovico di Borbone Parma, orfano di Ludovico re d'Etruria, che si trovava a Roma con la madre e la sorella, insieme alla famiglia reale spagnola (Carlo IV). Si creò con questo principe un rapporto di familiarità che porterà il D. al seguito dei Borbone Parma nel loro trasferimento a Lucca (1817), dove egli cercò rifugio dopo i disastri finanziari di suo padre e dove poté sopravvivere grazie agli emolumenti di quella corte, che gli conferì successivamente diversi incarichi, da paggio fino a gentiluomo d'onore, maggiordomo e ciambellano. Qui aveva naturalmente conosciuto l'infanta Luisa Carlotta, sorella del suo protettore.
Questa, nata il 2 ott. 1802 a bordo della nave "Regina Luigia" in navigazione per Barcellona, aveva avuto un'infanzia tempestosa: perduto il padre, re d'Etruria, nel 1803, dopo la deposizione della madre reggente Maria Luisa di Spagna da parte di Napoleone nel 1807, andò peregrinando in vari luoghi, fino ad approdare a Roma, per completarvi la sua alquanto modesta educazione nel convento dei Ss. Domenico e Sisto, ove alloggiò saltuariamente con la madre, pur continuando una precaria vita di viaggi e spostamenti fino alla Restaurazione. Fin dall'adolescenza aveva manifestato un carattere bizzarro e passionale, difficile da tenere a freno: nel 1825 era stata data in moglie al vecchio duca Massimiliano di Sassonia, fratello del re Federico Augusto I e del successore di questo, Antonio Clemente, vedovo e malaticcio, dopo il quale matrimonio ella scrisse: "... mon coeur était fait pour aimer, pour ainier passionnement!" (lett. da Dresda, 1º apr. 1826 a G. Di Grazia, [n. 20]). Durante i tragici anni della sua permanenza in Sassonia pare abbia osservato la fedeltà coniugale, nonostante la sua dichiarata insoddisfazione e le appassionate corrispondenze amorose che mantenne con l'avvocato fiscale Di Grazia di Lucca, con M. de Konneritz, gentiluomo che la scortò sposa a Dresda, e col barone di Lindenau, suo amministratore (Arch. Stato di Lucca, R. intima Segret. di gabinetto, filza 539, fasc. 1). A proposito del D. è interessante il giudizio che allora ella formulava in una lettera al Di Grazia del 4 dic. 1825: "Je ne m'étonne pas de la faveur dont jouit près du Duc de Rossi, cette girouette qui tourne à tous les vents. C'est bien le type du vrai courtisan. Du reste il est romain, et cela suffit, car ie ne crois pas qu'il existe gens plus roués que les Romains" (n. 44).Molti anni dopo, a dispetto di queste dure espressioni, alla morte del duca Massimiliano (1838), ella rientrò immediatamente a Lucca, donde passò subito a Roma accompagnata dal D. come ciambellano di servizio, per andarvi a sposare, pur essendo in stretto lutto vedovile, il barone di Lindenau. All'ultimo momento, però, con un romanzesco colpo di testa, cambiò idea, licenziò il Lindenau e decise di sposare il De Rossi. Poiché la principessa era considerata "molto grossa e molto corta di persona e di ingegno", si ventilò l'ipotesi (anche il duca di Lucca ebbe dei sospetti) che fosse stata influenzata in tal senso dalla "cabala clericale", che aveva fatto in modo di farle sposare un cattolico anziché un protestante. Di fatto, il matrimonio morganatico fu celebrato segretamente in Roma dal cardinale E. De Gregorio nella sua cappella, la notte fra il 21 e il 22 luglio 1838, suscitando le ire della corte di Lucca, peraltro ben presto placate, se lo sposo fu subito gratificato dal cognato della croce di prima classe dell'Ordine di S. Luigi, e dal re di Spagna del gran cordone di Carlo III (il D. aveva già ottenuto dal papa la commenda di S. Gregorio Magno), e se la sposa poté continuare a godere dell'appannaggio della corte di Sassonia. Ad ogni modo gli sposi intrapresero subito un viaggio a Lucca e a Dresda per sistemarvi la loro situazione patrimoniale, e furono accolti con cortesia.
Al ritorno a Roma fecero acquisto del palazzo allora situato in via Quirinale n. 1, e qui ebbe inizio per il D. quell'attività di bibliofilo collezionista per la quale è rimasta memoria di lui e della sua consorte, la quale fornì gli ingenti fondi necessari. L'inizio della biblioteca, poi battezzata Rossiana, è segnato dall'acquisto, nel 1842, di gran parte della celebre biblioteca del Collegio Capranicense (originata da un lascito del cardinale D. Capranica, morto nel 1458), ricchissima di incunaboli e di codici. Questo nucleo originario fu arricchito gradualmente, fino alla morte del D., da numerosi importanti acquisti, che portarono la collezione a una notevole celebrità, ricca com'era di oltre 1.000 codici, 2.500 incunaboli e oltre 6.000 libri rari.
Purtroppo molte delle marche di provenienza dei codici e dei libri sono state cancellate dalla passione del D. per le rilegature uniformi, onde l'attribuzione di esse è possibile solo in alcuni casi, come per i dieci codici di s. Giacomo della Marca provenienti dal convento di S. Maria delle Grazie di Monteprandone, che recano la firma d'acquisto del santo, o per quelli del fondo Capranicense, che presentano sul dorso l'iscrizione "Ex bibliotheca Card.lis Firmani"; o per altri libri a stampa forniti di legature antiche tanto importanti da dover essere rispettate, che risultano spesso di origine inglese, acquistati alle aste, anche dalla principessa, durante i suoi viaggi.
Il fondo più importante e caratterizzante è rappresentato dai codici con miniature: sono circa quattrocento, molti italiani, ma anche francesi, tedeschi e fiamminghi. Il più antico è una copia delle opere cronologiche del ven. Beda, scritto in minuscola carolina in Francia nel sec. IX, con belle tavole cronologiche e astronomiche che rivelano influssi irlandesi, passato per il monastero cluniacense di St. Chaffre-le Monastier (VIII, 186); numerosi gli esemplari del sec. XI, come i Sermoni di s. Agostino (VIII, 239), l'Evangeliario in quattro voll. (VIII, 77), ricco d'oro e dei ritratti degli evangelisti, le Opere di s. Giovanni Climaco, un altro prezioso Evangeliario latino, interessantissimo per la presenza di influssi gotici francesi nelle miniature; esiste poi una stupenda collezione di Livres d'heures del sec.XIV molti libri di diritto canonico e civile illustrati: e un Decretum di Graziano della metà del sec. XIV con belle miniature francesi (VIII, 24344). Anche alcuni incunaboli sono miniati, notevole fra tutti la Bibbia in tre volumi su pergamena (Venezia 1482-83).
Dal punto di vista storico e letterario molti codici della Bibl. Rossiana erano di primaria importanza: infatti ve ne sono alcuni con testi allora ignoti, come quello di Bonizone di Sutri, poi utilizzato dal card. A. Mai per la sua collezione di canonisti, o il Diario di P. De Grossis, cerimoniere di Leone X, di cui si servì L. von Pastor, o due copie dell'autografo della versione italiana del De vulgari eloquentia fatta da Celso Cittadini, e in seguito studiata da P. Rajna. Per i classici greci e latini si incontrano per lo più codici del sec. XV, ma c'è un Sallustio del sec. XII (IX, 180) e due codici delle Metamorfosi di Ovidio del medesimo secolo (IX, 133, 200). Infine, fra gli italiani di maggior spicco figurano molte lettere del Tasso in autografo (X, 78), tredici codici di Dante (di cui due del sec. XIV: IX, 153, 157), quattordici del Petrarca (quattro del sec. XIV), nove del Boccaccio (due del sec. XIV), e uno di Iacopone da Todi, nonché interessantissimi statuti di città, di confraternite, compagnie ed arti di alta epoca. Insomma, la fama di questa raccolta appare pienamente giustificata: il D. fu un raccoglitore davvero instancabile e appassionato, anche se non divenne mai uno studioso in senso moderno, e se non pubblicò in tutta la sua vita quasi nulla, nonostante l'immenso materiale di cui disponeva. Tuttavia venne accolto come socio onorario (per acclamazione) all'Accademia di S. Luca, e fu membro della Pontificia Accademia di archeologia e di numerose altre; inoltre fu colonnello onorario delle milizie pontificie, "appassionato botanico e fiorista", collezionista di armi antiche e di avori.
Alla morte del padre nel 1827 (aveva solo una sorella, Teresa, sposata a E. Caetani, duca di Sermoneta) prese in mano le redini della casa commerciale già traballante, ma con risultati non buoni: l'azienda finì quasi in bancarotta, con vicende che alcune fonti definiscono "disonoranti". La sua vita non presenta altri fatti notevoli, se non un alternarsi di lunghi viaggi e di villeggiature, fra cui quelle autunnali a Frascati, dove possedeva una villa, e dove arricchì di sacre immagini la cattedrale e il vecchio duomo, e fu largo di beneficenze. Certo non riuscì mai a liberarsi completamente dal vago sospetto di essere un cacciatore di dote e un avventuriero d'alto bordo. Nel 1854, essendosi recato ancora una volta in Sassonia con la moglie, al ritorno, sul finire dell'estate, volle fermarsi a Venezia, essendogli pervenute voci di colera a Roma: ma proprio in quella città fu colto dal morbo, e ne morì nel settembre: per la data esatta le fonti sono discordanti, poiché l'elogio funebre pronunciato nella cattedrale di Frascati l'anno successivo indica il 30 settembre, il biografo di sua moglie, il Weil, il 9 settembre, e la sua lapide funeraria il quarto giorno prima delle calende d'ottobre (ma questa fonte è poco attendibile, figurandovi errato anche l'anno di morte, 1855 anziché 1854).
Il corpo venne traslato a Roma e tumulato nella chiesa di S. Carlo ai Catinari, nella seconda cappella a destra, di patronato De Rossi, dove nel 1858 verrà sepolta anche Luisa Carlotta, sebbene, ancora una volta, immediatamente risposata in stretto lutto vedovile al conte G. Vimercati di Crema.
Le vicende della biblioteca dopo la morte del D. furono abbastanza movimentate: la vedova, accedendo ai desideri espressi dal marito, con atto di donazione 6 marzo 1855 la cedette alla Compagnia di Gesù, lasciando libertà di scelta sul luogo dove sistemarla ma con condizione, che, in caso di soppressione dell'Ordine, essa dovesse passare all'imperatore d'Austria pro tempore, salvo restituzione in caso di ricostituzione. Nel 1873, in seguito alla legge di soppressione delle corporazioni religiose romane, l'imperatore ordinò al suo inviato a Roma, barone J. A. Hübner, di prenderne possesso e di depositarla nel palazzo dell'ambasciata austriaca, comunicando al generale dei gesuiti la sua intenzione di trasferirla in Austria. Il generale si oppose. Allora l'imperatore stabilì di restituirla all'Ordine, a patto che fosse trasportata in una casa fuori d'Italia. Il generale la fece portare a Vienna nel 1877, dove rimase per quasi cinquant'anni, prima nella casa di piazza dell'Università, e poi nel collegio dei gesuiti. Nel 1920, dopo la caduta dell'Impero asburgico, si decise di ritrasferire la biblioteca Rossiana a Roma, aprendola a tutti gli studiosi: la migliore soluzione parve quella di donarla al papa. Benedetto XV accettò, svolgendo a Vienna i passi necessari al trasferimento, e così, nei primi mesi del 1922, la Rossiana entrò a far parte della Biblioteca apostolica Vaticana, di cui è tuttora una componente importante. Durante la permanenza a Vienna, essa aveva guadagnato una classificazione sistematica e alcuni buoni cataloghi, come quello dei mss. miniati di H. Tietze, quello dei mss. greci, fatto da E. Gollob, e quello degli incunaboli (con inventario dei libri stampati dopo il 1500), redatto dal gesuita P. Dichtl.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Periodo borbonico. R. intima Segr. di gab., filza 539, fasc. 1; presso lo stesso Arch. sono conservate le lettere di Luisa Carlotta di Borbone a G. Di Grazia (200 lett. numerate); IlResto del carlino, 10 genn. 1922 (pubblica il telegramma, datato 31 dic. 1921, che annuncia il ritorno della Rossiana a Roma); Roma, Bibl. nazionale, Autografi, A 42/35 (lettera del D. a M. Missirini, Roma, 29 maggio 1824); L. Sebastiani, Orazionefunebre letta... in occas. del solenne funerale per la ch. memoria del comm. G. F. D., Roma 1854 (e in L'Album, XII [1855], p. 156); G. Vimercati, Cenni istor. intorno la vita dell'A. R. Luigia Carlotta di Borbone..., Roma 1858, passim; A. Ademollo, La sorella del duca di Lucca, in IlFanfulla della domenica, 18 maggio 1884; C. Sardi, Lucca e il suo ducato dal 1814 al 1859, in La Rassegna nazionale, XXXIV (1912), pp. 60 s.; L. Volpicella, Il romanzo di una principessa di Sassonia (Luisa Carlotta di Borbone), Lucca 1916, passim; G. Sforza, Ricordi e biografie lucchesi, Lucca 1918, p. 493 n.; P. Rajna, Il nuovo codice del De vulgari eloquentia, in Giornale stor. della letter. italiana, LXXIII (1919), p. 46 n. 4; H. Weil, Le roman d'une princesse. Les aventures et les mariages de Louise-Charlotte de Bourbon..., in Revue des études historiques, LXXXVII (1921), pp. 383-406; M. P., La collection De Rossi entre à la Bibliothèque Vaticane, in Journal des débats, 9 genn. 1922; La biblioteca Rossiana, in La Civiltà cattolica, LXXIII (1922), I, pp. 320-335; G. Vitaletti, Un tesoro di proverbi e motti sentenziosi del sec. XIV (cod. vat. Rossiano 516), in Arch. Romanicum, VII (1923), p. 374 n.; P. Kehr, Miszellen. Aus der Bibliotheca Rossiana, in Neues Archiv, XLV (1923), pp. 102- 112.