Giovanni Battista De Rossi
Fondatore dell’archeologia cristiana come moderna disciplina scientifica, estraneo a teorizzazioni storiografiche e disimpegnato dalla politica, Giovanni Battista De Rossi non pare rientrare nelle categorie del pensiero storico-politico. Eppure, profondamente immerso negli eventi del suo tempo, nella crisi dello Stato pontificio, sullo sfondo delle rivoluzioni europee e della progressiva affermazione del liberalismo, De Rossi condusse le sue ricerche archeologiche all’interno di un quadro di riferimento ideale che ispirò il suo lavoro di studio e di ricerca e dovette al tempo stesso confrontarsi negli anni con le scelte alle quali venne chiamato, nella Roma da papale divenuta italiana e nei rapporti internazionali di studio che intrattenne.
Giovanni Battista De Rossi nasce a Roma il 23 febbraio 1822, da Camillo Luigi e da Marianna Bruti Liberati. Dopo gli studi di lettere e filosofia presso il Collegio romano, nel 1843 si laurea in utroque iure alla Sapienza, ma nel frattempo conduce anche studi di epigrafia greca sotto la guida di Gian Pietro Secchi e dal 1842 inizia a visitare la Roma sotterranea cristiana in compagnia di Giuseppe Marchi, mentre compie escursioni archeologiche con Antonio Nibby. Divenuto ‘scrittore’ della Biblioteca Vaticana per interessamento del cardinale Angelo Mai, intraprende un’intensa attività di esplorazioni, scoperte e pubblicazioni. Fra il 1857 e il 1861 pubblica il primo volume delle Inscriptiones christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores (la prima parte del secondo volume uscirà nel 1888), nel 1863 inaugura il «Bullettino di archeologia cristiana» (che continuò a redigere, in cinque serie, per oltre trent’anni), mentre nel 1864 vede la luce il primo volume della Roma sotterranea cristiana, dedicato a Pio IX e seguito nel 1867 e nel 1877 dal secondo e terzo volume.
Gli eventi storico-politici non sembrano turbare la vita di De Rossi, che solo durante la seconda Repubblica Romana (1849) lascia Roma per rifugiarsi a Napoli. Dopo il 1870 prosegue immutato il ritmo della pubblicazione delle sue grandi opere, alle quali si aggiungono i Musaici cristiani e saggi dei pavimenti delle chiese di Roma anteriori al secolo XV. Tavole cromo-litografiche con cenni storici e critici (1872-1896), le Piante icnografiche e prospettiche di Roma anteriori al secolo XVI (1879) e nel 1886 l’importante De origine historia indicibus scrinii et bibliothecae apostolicae commentatio. Agli studi di topografia cimiteriale si uniscono le ricerche di topografia romana e di epigrafia classica e cristiana.
Le vicende private e i numerosi viaggi di studio anche all’estero (prima della malattia, solo nel periodo 1869-70 De Rossi non si mosse da Roma) punteggiano una brillante carriera scientifica che fa di De Rossi una delle figure più note della Roma ottocentesca: nel 1850 muore il padre; poco dopo la morte della madre, sposa, nel 1861, Costanza Bruno di San Giorgio; nel 1863 nasce la figlia Marianna, morta dopo meno di un anno, mentre nel 1866 vede la luce la seconda figlia, Natalia, futura moglie di Filippo Ferrajoli; nel 1891 muore, all’età di ventisei anni, il nipote Carlo Felice (figlio del fratello Michele Stefano), che De Rossi immaginava suo erede.
Soprattutto due sono i tratti salienti che caratterizzano la vita di De Rossi. In primo luogo, l’ampia considerazione goduta in vita sia nella Roma papale sia in quella inaugurata dalla breccia di Porta Pia. Già negli anni Cinquanta Pio IX lo incarica, insieme a padre Marchi, dell’allestimento del Museo cristiano lateranense, dove furono raccolti antiche epigrafi e sarcofagi cristiani; nel 1864 è segretario della Pontificia commissione di archeologia sacra e il 23 ottobre 1878 diviene direttore del Museo sacro della Biblioteca Vaticana. Nel 1882, per i suoi sessant’anni, nella festa di san Damaso, De Rossi, presidente della Pontificia accademia romana di archeologia, viene insignito in Laterano della medaglia d’oro attribuitagli congiuntamente dalla Società dei cultori di archeologia cristiana, dall’Istituto archeologico germanico e dalla Scuola francese di Roma. Le onoranze si ripetono ancora con maggiore solennità il 20 aprile 1892, per il settantesimo compleanno, nella basilica dei SS. Sisto e Cecilia sul cimitero di S. Callisto, con lo stesso vasto concorso di autorità ecclesiastiche e romane e di studiosi non italiani. In secondo luogo, le intense e vaste relazioni internazionali. Il 22 gennaio 1854 De Rossi viene invitato dall’Accademia prussiana delle scienze a collaborare con Wilhelm Henzen e Theodor Mommsen alla preparazione del Corpus inscriptionum Latinarum; l’8 agosto 1860 viene chiamato dall’Académie des inscriptions et belles lettres a far parte della Commissione incaricata da Napoleone III della pubblicazione delle opere complete di Bartolomeo Borghesi.
Colpito nel maggio 1893 da un’emiplegia destra, De Rossi continua a lavorare, fra l’altro, con Louis Duchesne (1843-1922) all’edizione critica del Martyrologium Hieronymianum, che vide la luce nel 1894. Muore nella residenza pontificia di Castel Gandolfo il 20 settembre 1894.
Cresciuto ed educato a Roma in una famiglia saldamente legata alla Santa Sede, formato da membri della Compagnia di Gesù (Secchi, Marchi) con i quali ebbe un rapporto profondo anche se a tratti non privo di increspature, De Rossi appare per molti versi un ‘intellettuale organico’ nella Roma papalina prima di Porta Pia. Tutta la sua attività scientifica si svolge sempre sotto gli occhi e con l’approvazione, talvolta con il sostegno del papa (che si reca spesso a visitare gli scavi) e della Curia, che sentono l’impegno di De Rossi come una «reazione al classicismo napoleonico» e una «riconfermata espressione della storia e della funzione religiosa della città» (Bartoccini 1985, p. 108). Indicativa di questa stima papale è la proposta a De Rossi, nel critico 1870, di guidare l’Archivio Vaticano, dopo la crisi innescata dai legami del prefetto Augustin Theiner con la minoranza antinfallibilista al Concilio ecumenico Vaticano I. Anche le dediche di importanti lavori di De Rossi, in coincidenza con anni salienti (1867: Mentana; 1870: Vaticano I, Porta Pia), mostrano la sua profonda identificazione con la Roma papale. D’altra parte, l’archeologia cristiana, a differenza di quella classica, incideva con i suoi risultati su numerose e delicate questioni sollevate in particolare dalla polemica protestante come, per es., la presenza e il martirio di Pietro a Roma; e non è un caso che l’Instituto di corrispondenza archeologica avesse escluso dalla sua attività questo genere di ricerche «per evitare spiacevoli contatti con le autorità e con i dotti del Vaticano» (cfr. Negro 1943, pp. 269-73).
Ma sarà lo stesso De Rossi, in una lettera del 20 marzo 1884, a confessare all’amico e allievo Duchesne di essere in realtà cresciuto in un clima di razionalismo irreligioso:
Respiriamo tutti un’atmosfera di razionalismo più o meno irreligioso (non dico anti-religioso, che è diverso). Quando facevo la mia retorica, prima di ogni Filosofia, sotto Gregorio XVI a Roma e in una famiglia severamente cristiana e ortodossa allo scrupolo, mi sono accorto con stupore che nella mia piccola intelligenza le antiche mitologie e il dogma cristiano non mi sembravano differire che per qualche grado di elevazione e purezza (Correspondance de Giovanni Battista De Rossi et de Louis Duchesne, 1873-1894, 2005, p. 322);
e nel 1857 affermerà di voler partecipare il meno possibile alla corruzione di un «mondo, che è divenuto per sistema l’antipodo del Vangelo, pur gloriandosi del nome di cristiano» (De Rossi a Guéranger, 30 aprile 1857; Johnson 2003, p. 115).
Nel dicembre 1851, sarà l’incontro con il benedettino francese e abate di Solesmes Prosper Guéranger (1805-1875) a segnare una svolta fondamentale nella sua vita. Nella testimonianza di Paul Delatte, De Rossi amava rendere omaggio all’azione esercitata su di lui dal benedettino paragonandola all’influenza di san Filippo Neri su Cesare Baronio. L’incontro con l’ultramontano restauratore del monachesimo benedettino in Francia, nonché fautore della liturgia romana contro le tendenze gallicane, con il promotore della rinascita del canto gregoriano, intransigente avversario dell’eredità giansenista, trasse De Rossi fuori dalla solitudine spirituale in cui agli inizi degli anni Cinquanta si trovava e gli diede anche un quadro di riferimento per la sua opera. Ultramontanesimo, fedeltà a Roma, studio dei primi secoli cristiani: attraverso la storia si riannoda il filo spezzato (dalla modernità e dalle rivoluzioni) di una tradizione vivente, che torna ad alimentare il presente. Guéranger non solo sostiene a più riprese De Rossi nei suoi momenti di scoraggiamento (cfr., per es., le lettere di De Rossi a Guéranger, 13 dicembre 1852; 4 ottobre 1853; 20 aprile 1854, e la lettera di Guéranger a De Rossi, 3 aprile 1854; Johnson 2003, pp. 42, 49, 52, 54-55), ma gli offre una motivazione spirituale e ideale per le sue ricerche. La scoperta del cimitero di Callisto, dove erano stati deposti i papi del 3° sec., è così vissuta da De Rossi, come da Guéranger e dallo stesso Pio IX (che prontamente visita gli scavi), come la glorificazione della continuità del pontificato romano attraverso il tempo e la conferma della verità di una tradizione apostolica che risale alle origini della Chiesa. Agli occhi di Guéranger De Rossi diviene il campione della «vera critica, così diversa da questo assurdo ipercriticismo che non tiene alcun conto né dei monumenti figurativi, né della certezza morale, né dell’intuizione archeologica, né della natura, né del buon senso» (Guéranger a De Rossi, 28 giugno 1854; Johnson 2003, p. 63). E il lavoro di De Rossi supererà gelosie e invidie umane perché rivolto a Dio, alla sua Chiesa e alla scienza (Guéranger a De Rossi, 27 febbraio 1855; Johnson 2003, p. 75).
Ben più dell’incitamento al matrimonio (De Rossi affermerà di aver sentito una vocazione al monachesimo), l’archeologo romano deve dunque a Guéranger (incontrato personalmente sette volte, a Roma e in Francia) l’ispirazione di «rifare l’epoca eroica della nostra fede attraverso l’evidenza e la novità dei monumenti: si tratta di una predestinazione senza paragoni» (18 dicembre 1856; Johnson 2003, p. 105). Senza De Rossi, senza la sua missione sovrannaturale, la Roma dei primi secoli resterebbe un libro chiuso, falsificato, inutile. Le sue scoperte vendicano la «nostra santa fede contro la semi-scienza» e rappresentano «un soccorso insperato contro l’eresia e il naturalismo storico» (29 giugno 1872; Johnson 2003, p. 236). La convinzione di Guéranger spiega la soddisfazione del benedettino quando, nel 1857, De Rossi rinuncerà alla cattedra di archeologia alla Sapienza che lo avrebbe annoverato fra i troppi interpreti dei Greci e degli Egiziani, mentre «i nostri cristiani primitivi ne hanno così pochi» (Guéranger a De Rossi, 12 aprile 1857; Johnson 2003, p. 111). Perché i lavori di De Rossi dimostrano l’identità del cristianesimo primitivo e del cattolicesimo papale e aprono una fase nuova per la scienza cattolica che ne saprà profittare (Guéranger a De Rossi, 1° maggio 1861; Johnson 2003, pp. 166-67). Per interesse e importanza essi sono al di sopra di tutto ciò che si produce nel mondo della scienza cattolica (Guéranger a De Rossi, 16 febbraio 1874; Johnson 2003, p. 251). Dal canto suo, De Rossi afferma esplicitamente di condividere la prospettiva intelligentemente apologetica nella quale Guéranger colloca i suoi lavori (25 novembre 1868; Johnson 2003, p. 218). Così per De Rossi e per i suoi discepoli – raccolti prima informalmente in periodiche riunioni domestiche, poi istituzionalizzate, a partire dal 1875, nelle conferenze di archeologia cristiana tenute a S. Carlo ai Catinari – le ricerche e gli scavi nelle catacombe non sono mai un puro argomento di studio, ma sono sempre inseparabili dal culto dei martiri, che darà luogo all’associazione che nel 1879 prese il nome di Collegium cultorum martyrum (Waché 1992, pp. 497-99).
Profondamente romano per formazione e cultura, De Rossi fu nell’Ottocento lo studioso forse più aperto a rapporti internazionali, favoriti nell’Urbe dalle molteplici e numerose colonie non italiane (lo affermerà esplicitamente Duchesne scrivendo a De Rossi, 8 dicembre 1882; Correspondance, 2005, pp. 252-53). Il coinvolgimento nell’impresa del Corpus inscriptionum Latinarum da parte dell’Accademia di Berlino, poi quella nell’edizione delle opere di Borghesi promossa da Napoleone III, mostrano la notorietà europea di De Rossi, la cui Roma sotterranea divenne così popolare da originare compendi in diverse lingue europee (in inglese nel 1872, in francese nel 1872 e nel 1874, in tedesco nel 1874). Questi rapporti provocano l’accusa a De Rossi, mossa anche in ambienti dell’alta gerarchia ecclesiastica, di essere «l’alleato dei protestanti» (De Rossi a Guéranger, 26 dicembre 1856; Johnson 2003, p. 106). Ma De Rossi nei suoi contatti con gli studiosi tedeschi vuole dimostrare che «si può essere cattolici romani senza necessariamente essere per questo imbecilli in critica storica» (De Rossi a Guéranger, 13 agosto 1873; Johnson 2003, p. 247). Per lo stesso motivo De Rossi auspica l’entrata di Duchesne, di un prete, nell’Institut de France. Tale apertura al confronto gli sarà riconosciuta da Mommsen, in una lettera del 23 dicembre 1890, quando farà riferimento alla «vostra posizione eccezionale e la nostra amicizia, che non si cura de’ castri opposti» (Buonocore 2003, p. 259). E appunto incurante dei «castri opposti» fu la partecipazione di De Rossi sin dalle origini (1876) alle attività della Società romana di storia patria, ove collaboravano studiosi che continuarono a far parte di istituti pontifici e rappresentanti del nuovo corso, accomunati dalla pratica della ricerca storica secondo il metodo critico.
De Rossi è fondamentalmente estraneo alla politica. Quando Duchesne (conosciuto nel 1873) esprime nelle sue lettere vedute di natura politica (ostilità alla Germania, al nuovo corso italiano, alla Triplice alleanza), De Rossi in linea di massima non replica, perché sono argomenti che fondamentalmente non gli interessano. Anche nel carteggio con Mommsen, temi dominanti sono sempre gli studi. Solo in un caso, nel febbraio 1881, De Rossi esprimerà il suo auspicio che i contatti stabiliti da Leone XIII con Otto von Bismarck a partire dal 1878 conducano alla «pace sincera», aprendo quel processo che successivamente sfociò nella visita del nuovo imperatore Guglielmo II al papa il 12 ottobre 1888 e all’azione del «Zentrum» (De Rossi a Mommsen, 12 febbraio 1881; Buonocore 2003, p. 192 nota 584; Mommsen rispose il 23 maggio 1881 esprimendo la convinzione che «il partito cattolico è la rovina della nostra costituzione, e come pare del nostro avvenire liberale», Buonocore 2003, pp. 191-92). Precedentemente anche Guéranger aveva affrontato temi squisitamente politici (l’Italia non può che essere cattolica e l’unica soluzione non è l’impossibile unità, ma la confederazione di Stati, a patto però che il cattolicesimo, «che è la grande cosa italiana», ne sia il «cemento»; Guéranger a De Rossi, 15 ottobre 1860; Johnson 2003, p. 157), ma De Rossi non aveva dato particolari segni di reazione.
La pratica degli scavi e delle ricerche archeologiche obbliga però continuamente De Rossi al confronto con questioni pratiche per condurre scavi in particolari terreni, per difendere e tutelare monumenti e aree cimiteriali venuti alla luce. Pur rifiutando l’offerta di Pio IX di assumere l’incarico di conservatore della città, De Rossi per quasi dodici anni è tra i consiglieri di seconda classe dell’amministrazione capitolina; e anche dopo l’entrata dei piemontesi nella città venne eletto nel nuovo Consiglio comunale continuando a occuparsi del patrimonio archeologico della città, anche nella Commissione archeologica comunale e poi nella Giunta superiore di archeologia.
Il giudizio di De Rossi nei confronti del nuovo corso è però duro e intransigente, soprattutto da un punto di vista ideale e morale. A Guéranger De Rossi aveva profetizzato che se l’educazione popolare dei nemici della Chiesa fosse continuata ancora per qualche anno, i fedeli di Roma si sarebbero a poco a poco ridotti a una minoranza (24 giugno 1871; Johnson 2003, p. 223; cfr. anche De Rossi a Guéranger, 30 luglio 1872; Johnson 2003, p. 238). Ne discende, per es., una tagliente valutazione del conciliatorismo di Luigi Tosti (1811-1897), considerato un poeta che ha cantato non la conciliazione, ma la resa a discrezione del papato (De Rossi a Duchesne, 10 agosto 1887; Correspondance, 2005, p. 527), mentre poco dopo, sempre a Duchesne, De Rossi esprimerà la convinzione che il nodo della questione romana rimarrà a lungo irrisolto (28 settembre 1887; Correspondance, 2005, p. 534). Invitato nel 1888 a far parte del Comitato di direzione delle feste del Campidoglio per la visita dell’imperatore tedesco Guglielmo II, De Rossi rifiuta (De Rossi a Duchesne, 5 ottobre 1888; Correspondance, 2005, p. 579). Di fatto, De Rossi non fu mai membro dell’Accademia dei Lincei e l’Italia ufficiale fu assente ai festeggiamenti del 1892 (Parise 1991, p. 204).
Ma queste severe valutazioni non si traducono, da parte di De Rossi, nel rifiuto della realtà. L’attitudine al confronto che si è rilevata nelle ricerche si accompagna a un ruolo di mediazione anche nelle scelte pratiche e politiche. In varie questioni De Rossi si rivela il «pacificatore gradito da entrambe le parti» (De Rossi a Duchesne, 8 febbraio 1882; Correspondance, 2005, p. 202), la Santa Sede e il governo italiano, riuscendo a individuare una soluzione di compromesso.
Operando a Roma De Rossi si è trovato sin dall’inizio coinvolto nel confronto con tradizioni antiche e venerabili, ma destituite di fondamento storico. Adotta dunque un atteggiamento di prudenza e di cautela, mai però di rinuncia alle posizioni che riteneva scientificamente corrette e doverose. La corrispondenza con Duchesne è tutta percorsa da questa tensione. Il prete bretone sin dall’inizio morde il freno: «La mia tendenza di spirito non mi induce a dire ciò che si vuole farmi dire, ma ciò che credo essere la verità» (9 maggio 1877; Correspondance, 2005, p. 27); e non perde occasione di manifestare il suo disprezzo per la prelatura romana, per il mondo curiale, per il clero francese che lo asseconda, talvolta con critiche e sarcasmi anche verso la somma autorità (5 giugno 1877; 5 gennaio 1878; 15 aprile 1884; 20 settembre 1886; 7 luglio 1888; 19 settembre 1888; Correspondance, 2005, pp. 27, 55, 325, 485, 566-67, 575). De Rossi, dall’inizio alla fine dell’amicizia, svolge opera di moderazione e mediazione, invitando l’amico a guardarsi da posizioni azzardate che espongono il fianco a critiche malevole e stabilendo una netta distinzione fra posizioni opinabili e una critica che mira solo al dubbio e alla negazione (10 novembre 1882; 31 gennaio 1883; 12 febbraio 1885; 14 marzo 1885; 17 settembre 1885; 28 agosto 1890; Correspondance, 2005, pp. 245, 258, 391, 399, 447, 643). Quando Duchesne gli fa notare che agli occhi di miopi difensori dell’ortodossia contestando leggende si diventa eretici (19 giugno 1877; Correspondance, 2005, p. 31) e che la libertà della critica storica è oppressa in Francia dalla «scuola detta leggendaria» (9 agosto 1877; Correspondance, 2005, p. 34), De Rossi risponde difendendo «la giusta e saggia libertà» dei «nostri studi» (10 ottobre 1877; Correspondance, 2005, p. 38) e si appella alla perseveranza e alla pazienza (13 settembre 1878; Correspondance, 2005, p. 76), armi con le quali ha superato gli scogli di un mare romano sempre insidioso (8 giugno 1877; Correspondance, 2005, pp. 29-30). Duchesne ritiene il tomismo promosso da Leone XIII agli antipodi della teologia storica alla quale si ricollegano gli studi di De Rossi e Duchesne (9 marzo 1878; 18 febbraio 1880; 24 febbriao 1880; 8 ottobre 1883; 6 gennaio 1884; Correspondance, 2005, pp. 59, 122, 128, 284, 304). Ma De Rossi, che pur sembra condividere l’estraneità di Duchesne alla neoscolastica leonina, all’indirizzo di studi auspicato dalla lettera del papa Saepenumero considerantes e alle iniziative assunte in quegli anni (20 febbraio 1880; 11 settembre 1883; 8 gennaio 1884; 4 marzo 1884; 11 marzo 1884; 16 marzo 1884; Correspondance, 2005, pp. 125, 285, 306, 313-16, 319), è sicuro che il papa non asseconderà mai gli ignoranti nemici degli studi e soprattutto professa la profonda compatibilità tra la fede e la scienza (1° agosto 1879; Correspondance, 2005, p. 108). Ciò nonostante De Rossi si pronuncia contro le concessioni eccessive nell’ambito dell’esegesi biblica; e, pur avendo personalmente conosciuto Antonio Rosmini-Serbati, e conservandone un ricordo edificante, ritiene alcune sue tesi pencolanti verso il panteismo (8 aprile 1888; Correspondance, 2005, pp. 557-58).
In verità, è il pontificato romano a essere il fondamento e il principio che De Rossi non mette mai in discussione. Al punto di lamentare che Oreste Tommasini abbia presentato Stefano Porcari come un eroe e Niccolò V (rispettato anche dai più dichiarati nemici del papato) come un despota, applicandogli delle espressioni eccessive di Francesco Petrarca contro i papi e la corte avignonese (25 agosto 1881; Correspondance, 2005, pp. 181-82).
La profondità del legame fra i due è proprio nell’affermazione della possibilità di un fecondo rapporto tra fede e scienza. Scrivendo all’arcivescovo di Reims, Benoît-Marie Langénieux, per raccomandargli una posizione onorevole per Duchesne all’Institut catholique di Parigi, De Rossi, pur prendendo le distanze da talune arditezze di critica, affermava di ritenere altrettanto pericoloso far credere agli studiosi laici che sia impossibile un accordo fra la scienza ecclesiastica e la critica storica più o meno indipendente (De Rossi a Duchesne, 17 settembre 1885; Correspondance, 2005, p. 447).
Per molti versi De Rossi appartiene al pontificato di papa Mastai Ferretti più che a quello di papa Pecci. Non mancano sintomi e indizi di qualche difficoltà nei rapporti di De Rossi con l’entourage di Leone XIII e sicuramente nello scenario più ristretto della Biblioteca Vaticana l’archeologo subì e non condivise le riforme introdotte dal papa fra il 1878 e il 1885 nel secolare istituto palatino. Più in profondità, diversi sono gli orizzonti di riferimento: De Rossi guarda all’antichità cristiana, ai primi secoli della Roma cristiana, mentre la cultura storica leonina (come la storiografia neoguelfa italiana) è tutta proiettata sul Medioevo quale epoca della più alta affermazione del cattolicesimo romano (un’epoca che non attira particolarmente De Rossi; cfr. la lettera a Duchesne, 6 agosto 1885, a proposito del passato medievale di Siena; Correspondance, 2005, p. 442). Ciò nonostante, De Rossi fu ancora onorato negli ultimi anni della sua vita dal mondo vaticano (non ultimo segno di questa considerazione fu l’estremo gesto di Leone XIII di offrire a De Rossi ospitalità nella villa pontificia di Castel Gandolfo, dove morì). E la nuova generazione degli studiosi cattolici si rivolse a De Rossi come a un maestro. Nell’aprile 1891 l’archeologo romano partecipò con un «mémoire» al primo congresso scientifico internazionale dei cattolici (Duchesne a De Rossi, 8 aprile 1891; Correspondance, 2005, p. 657); e l’anno successivo, nel febbraio 1892, Giuseppe Toniolo lo invitò a partecipare al primo congresso degli studiosi cattolici italiani di scienze sociali che si preparava a Genova nel quarto centenario della colombiana scoperta dell’America.
Sicuramente solo la morte impedì a De Rossi di partecipare o almeno seguire con interesse le iniziative che proprio Toniolo negli anni Novanta animò per mostrare la profonda armonia fra fede e scienza, fra le verità della dottrina cattolica e le conclusioni di una seria ricerca storica, cercando di sprovincializzare una cultura cattolica italiana spesso attardata in un rigido conservatorismo alieno dal confronto. Pur appartenendo alla generazione che li aveva preceduti, De Rossi fu il riconosciuto maestro e ispiratore di Duchesne e di Giovanni Mercati (1866-1957) che, in ambiti diversi, furono i suoi migliori e più fedeli discepoli.
Nelle discipline della storia della liturgia e del culto cristiano, dell’agiografia e dell’archeologia cristiana, della storia dei primi secoli della Chiesa, ma anche della tradizione manoscritta e delle biblioteche, De Rossi fu così l’ispiratore, per le generazioni che si affacciavano agli studi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, di una sorta di «modernismo ortodosso» che, senza rinunciare alla sostanza della verità della fede, era pronto a praticare le strade della ricerca storica e del metodo critico applicato con rigore e serietà. Non a caso don Giuseppe De Luca (1898-1962), per tutta la vita attratto dall’esperienza modernista della quale fu pure tenace e intransigente avversario, sentì confermata la sua vocazione agli studi e alle ricerche proprio vegliando la salma, nel 1922, del grande corrispondente e allievo di De Rossi, Duchesne, esposta nelle sale di Palazzo Farnese. Alle generazioni cattoliche che, galvanizzate dalla Providentissimus Deus (1893) di Leone XIII in favore dell’applicazione di un sano metodo critico alle scienze bibliche, affrontano il mondo degli studi, De Rossi presenta la solida validità di un percorso che non rifiuta la modernità nelle sue pratiche di studio, ma ne prende risolutamente le distanze quanto agli esiti più distruttivi e negatori. Questo fu l’aspetto di metodo di un’opera immensa, che in quanto tale non poteva essere completata dallo stesso De Rossi. Aveva dunque ragione Duchesne, in una delle ultime lettere del carteggio, a scrivere a De Rossi che il metodo era stato osato e applicato; ciò che si sarebbe fatto dopo De Rossi, in qualche modo, sarebbe comunque stata opera sua (24 giugno 1894; Correspondance, 2005, p. 710).
Inscriptiones christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, Roma 1857-1888.
La Roma sotterranea cristiana descritta e illustrata, 3 voll., Roma 1864-1877.
Musaici cristiani e saggi dei pavimenti delle chiese di Roma anteriori al secolo XV. Tavole cromo-litografiche con cenni storici e critici, Roma 1872-1896.
Piante icnografiche e prospettiche di Roma anteriori al secolo XVI, Roma 1879.
De origine historia indicibus scrinii et bibliothecae apostolicae commentatio, Roma 1886.
Albo dei sottoscrittori pel busto marmoreo del comm. Giovanni Battista De Rossi e relazione dell’inaugurazione fattane nei dì XX e XXV aprile MDCCCXCII sopra il cimitero di Calisto per festeggiare il settantesimo anno del principe della sacra archeologia, Roma 1892, pp. 29-73, con gli aggiornamenti in «Bullettino di archeologia cristiana», s. V, 1894, 4, pp. 130-31.
Per la biografia di De Rossi:
P.M. Baumgarten, Giovanni Battista de Rossi der Begründer der christlich-archäologischen Wissenschaft. Eine biographische Skizze, Köln 1892 (trad. it. con aggiunte e correzioni, a cura di G. Bonavenia, Roma 1892).
O. Marucchi, Giovanni Battista De Rossi. Cenni biografici, Roma 1903.
H. Leclercq, De Rossi (Jean-Baptiste), in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, 15, 1, Paris 1950, coll. 18-100 (con ampia bibliografia con l’indicazione delle numerose e significative commemorazioni pubblicate dopo la morte).
N. Parise, De Rossi Giovanni Battista, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 39° vol., Roma 1991, ad vocem.
A. Baruffa, Giovanni Battista De Rossi. L’archeologo esploratore delle Catacombe, Città del Vaticano 1994.
Per la collocazione di De Rossi nello scenario romano dell’Ottocento:
R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa. Dal ritorno di Pio IX al XX settembre, 1° vol., pp. 89, 126, 142; 2° vol., pp. 16, 329, Roma 1907.
S. Negro, Seconda Roma, 1850-1870, Milano 1943, pp. 229, 250, 252-53, 269-73, 303, 342.
F. Bartoccini, Roma nell’Ottocento. Il tramonto della ‘città santa’. Nascita di una capitale, Roma 1985, pp. 108, 324, 452, 625, 627, 657, 684.
Per il rapporto con Giuseppe Marchi:
E. Kirschbaum, P. Giuseppe Marchi S.J. (1795-1860) und Giovanni B. De Rossi (1822-1894), «Gregorianum», 1940, 21, pp. 564-606.
Per il rapporto con Prosper Guéranger:
C. Johnson, Liturgie et archéologie. Deux fondateurs: Prosper Guéranger et G.B. de Rossi. Documents inédits, Roma 2003.
Per il rapporto con Theodor Mommsen:
M. Buonocore, Theodor Mommsen e gli studi sul mondo antico. Dalle sue lettere conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Napoli 2003, pp. 65-270.
Per il rapporto con Louis Duchesne:
E. Massa, Amicizia e ironia nelle lettere di L. Duchesne a G.B. De Rossi, in Monseigneur Duchesne et son temps, Actes du colloque organisé par l’École française de Rome (Palais Farnèse, 23-25 mai 1973), Rome 1975, pp. 143-99.
B. Waché, Monseigneur Louis Duchesne (1843-1922) historien de l’Église, directeur de l’École française de Rome, Rome 1992, p. 736.
Correspondance de Giovanni Battista De Rossi et de Louis Duchesne (1873-1894), établie et annotée par P. Saint-Roch, Rome 2005.
L’incontro di De Rossi con Ferdinand Gregorovius è descritto in F. Gregorovius, Römische Tagebücher, 1852-1889, hrsg. u. kommentiert von H.-W. Kruft u. M. Völkel, München 1991, p. 398.