dea (dia)
Nel senso proprio di " divinità " femminile della mitologia classica, in Vn XXV 9 Iuno, cioè una dea nemica de li Troiani, parloe ad Eolo, segnore de li venti; in Cv IV XII 7 ecco Boezio in quello De Consolatione dicente: " Se quanta rena volve lo mare... la dea de la ricchezza largisca, l'umana generazione non cesserà di piangere "; in Fiore CCXVII 14 Venere fa approntare il carro tirato da cinque colombi, ma non bisognava avervi carrettiere, / ché la dea gli sapea ben guidare. In Cv II IV 6, d. ha senso filosofico e traduce la sostanza concettuale dei miti con i quali i Latini rappresentavano concretamente, come divinità, quelle " forme e nature universali " che Platone aveva chiamato ‛ idee ', cioè le essenze ideali, immobili nel divenire incessante delle cose, che costituiscono la vera e unica realtà (cfr. Platone Timaeus, nella trad. di Calcidio, 40 D-41 E; Apul. De Deo Socratis): Li gentili le chiamano [le idee] Dei e Dee, avvegna che non così filosoficamente intendessero quelle come Plato... e faceano loro grandissimi templi: sì come a Giuno, la quale dissero dea di potenza [la Simonelli legge a Giove, lo quale dissono deo di potenza] ... a Pallade... dea di sapienza ... a Cerere... dea de la biada.
Sempre per trasposizione concettuale è detto per le virtù teologali, in Pg XXXII 8 quando per forza mi fu vòlto il viso / ver' la sinistra mia da quelle dee, " virtutes divinae " (Benvenuto); e per le gerarchie angeliche, in Pd XXVIII 121 In essa gerarcia son l'altre dee: / prima Dominazioni, e poi Virtudi; / l'ordine terzo di Podestadi èe. Le chiose del Buti e di Benvenuto relegano dee nel loro significato immediato di " divinità "; il Lana intende: " Dee, cioè essenzie intellettuali ".
Riferito alla donna amata, per esaltarne al massimo grado le qualità, in Detto 210 La gola sua e 'l petto / sì chiar'è, ch'a Dio a petto / mi par esser la dia / ch'i' veggio quella Dia.