Deambulazione
Il termine deambulazione (dal latino deambulare, "camminare da") è oggi spesso impiegato per indicare qualsiasi andatura che permetta di spostarsi da un luogo a un altro mediante l'uso degli arti. Secondo l'etimo originale, tuttavia, occorre distinguere, dalle altre forme di locomozione terrestre (per es. la corsa), il cammino, o marcia, che è caratterizzato dallo spostamento del corpo attraverso il movimento alternato dei due arti inferiori, in modo che almeno uno sia sempre in contatto con il terreno. Questo elemento differenzia la marcia dalla corsa, dove invece esiste una fase di 'volo'. Nella marcia, inoltre, ci possono essere fasi del passo in cui i due arti sono contemporaneamente in contatto con il suolo (fase di doppio supporto). Altre variabili coinvolte nella descrizione della deambulazione sono la velocità di progressione, la frequenza dei passi, la pendenza del tracciato e il tipo di terreno.
l. Gli studi
Nonostante le prime descrizioni del cammino risalgano ad Aristotele, è necessario giungere sino al 17° secolo, per trovare analisi dettagliate della marcia bipede e quadrupede (De motu animalium, di G.A. Borelli, 1680-81). Alla fine dell'Ottocento, con l'affermarsi di tecniche fotografiche capaci di catturare sequenze di immagini ravvicinate nel tempo, le ricerche sulla locomozione ricevettero un impulso decisivo. Fu così che il fisiologo E.-J. Marey, con la collaborazione dell'innovativo fotografo E.J. Muybridge, ebbe per primo la possibilità di associare le proprie speculazioni a oggettive misure sperimentali. Il più recente salto tecnologico è invece rappresentato dalla comparsa, nei primi anni Ottanta del 20° secolo, di apparati composti di telecamere digitali e sistemi di elaborazione che consentono l'analisi del movimento in modo automatico.
La ricerca scientifica moderna, inoltre, è in grado di misurare l'attivazione muscolare (elettromiografia) e le forze vincolari esercitate dal terreno (piattaforme dinamometriche) durante la deambulazione. Tale complessità di indagine è patrimonio culturale di una disciplina affermatasi recentemente, la biomeccanica, che si affianca alla fisiologia della locomozione nell'investigare i legami esistenti tra motore (il muscolo), organi di trasmissione (l'apparato osteoarticolare) e ambiente nel quale ci si muove. Lo studio della biomeccanica della deambulazione è oggi particolarmente orientato agli aspetti fisiopatologici e di simulazione. Nel 1998 è apparso, per merito del Centro ricerche Honda, il primo robot capace di camminare e di salire e scendere le scale in modo quasi indistinguibile da un essere umano. Altre sfide riguardano la realizzazione di protesi, attive e passive, degli arti e di sistemi automatici di stimolazione muscolare (FES, Functional electric stimulation) rivolti a generare atti locomotori coordinati in soggetti che, per eventi traumatici o patologie degenerative, abbiano riportato l'interruzione delle vie nervose di controllo. Sul versante del miglioramento della prestazione deambulatoria, la scienza dei materiali è oggi molto attiva per incrementare l'efficienza della camminata tramite lo studio di nuove suole, plantari e altri ausili, in modo analogo a quanto già realizzato nel nuoto (abbigliamento e pinne), nel ciclismo e addirittura nel volo a propulsione umana.
2.
La marcia costituisce un paradigma locomotorio, comune a bipedi e quadrupedi, che viene utilizzato per spostarsi alle velocità più basse (da 2 a circa 7 km/h nell'uomo adulto). A velocità superiori a 7,5 km/h si preferisce correre, anche se esiste uno sport, la marcia agonistica, nel quale gli atleti riescono a camminare fino a 14,5 km/h (record olimpico 1984 su una distanza di 20 km) senza mostrare evidenti fasi di 'volo' (ciò avviene attraverso un marcato ondeggiamento del bacino). Osservazioni condotte sulla velocità spontaneamente scelta per camminare nei centri abitati hanno mostrato come essa aumenti al crescere della densità di popolazione, pur mantenendosi all'interno di un intervallo piuttosto stretto. Questo deriva dal primo tra i meccanismi di ottimizzazione energetica che la deambulazione comporta (v. oltre).
a) Aspetti energetici
È pratica comune in fisiologia della locomozione utilizzare il concetto di costo energetico quando sia necessario valutare l'economia della progressione. Analogamente a quanto avviene per i veicoli a motore, la cui economia è misurata, per es., in litri di benzina consumati per 100 km percorsi, il costo della locomozione è espresso in ml O₂ per metro percorso (e spesso anche per kg di massa). Le due unità di misura sono perfettamente sovrapponibili, con la differenza che la prima riguarda il combustibile (benzina), mentre la seconda il comburente (l'ossigeno è necessario per bruciare gli alimenti e ottenerne energia). Una delle prime osservazioni sperimentali sulla marcia ha dimostrato che esiste una velocità ottimale (circa 4,2 km/h), al di sopra e al di sotto della quale il costo energetico è più elevato. Tuttavia, è possibile osservare che esiste un ampio intervallo di velocità attorno a quella ottimale entro il quale il costo energetico varia molto poco (è interessante notare che ciò avviene anche nei veicoli a motore a scoppio).
Alle alte velocità il costo si eleva a tal punto che oltre 7,5 km/h, continuare a camminare, non è più conveniente rispetto al cambiamento di andatura (v. corsa). Non sembra esistere differenza nel costo della marcia per età che variano da 20 a 80 anni, anche se la velocità spontaneamente scelta comincia a scendere dopo i 60 anni (v. oltre). Il costo per unità di massa, ml O₂/(kg∈.m), è più elevato nell'adolescenza e ancor più nell'infanzia. I dati in letteratura sulle differenze tra maschi e femmine sono discordi, e anche per le variazioni di massa (all'interno dello stesso sesso e per soggetti non obesi) si può affermare che il costo della marcia, se espresso per kg di massa totale, è costante. Inoltre, è stato dimostrato che la frequenza dei passi scelta a ogni velocità di marcia è quella che rende minimo il costo energetico, e che camminare in piano all'indietro (marcia retrograda), alla velocità ottimale, costa il 100% in più rispetto alla locomozione in avanti. Per quanto riguarda il tipo di superficie sulla quale ci si muove, è stato mostrato che sulla sabbia il costo energetico della marcia è 2-3 volte superiore che su terreno rigido e liscio. R. Margaria (1938) ha condotto i primi esperimenti relativi agli effetti della pendenza (misurata in percentuale; per es. +15% significa che la salita del piano inclinato corrisponde a percorrere, per 100 m in piano, 15 m in verticale) sulla energetica della marcia, mlO₂/(kg∈m), dove il metro al denominatore è quello percorso sul piano inclinato.
Per ogni pendenza è stata misurata la velocità ottimale della marcia, cioè quella che corrisponde al minimo costo, ed è stato osservato che questo cresce in salita con la pendenza, mentre in discesa decresce per pendenze lievi e aumenta per discese più ripide. Ciò implica l'esistenza di una pendenza ottimale, circa -10%, alla quale è possibile marciare con il minimo costo energetico possibile. Questo è un risultato di un certo interesse per quei soggetti, come i pazienti cardiopatici, che necessitano di una quota minimale di esercizio deambulatorio. I dati ottenuti da Margaria possono essere ulteriormente elaborati per definire come deve essere pendente un sentiero di montagna che colleghi due località a differente altitudine, in modo che occorra la minore energia metabolica possibile per percorrerlo camminando, in salita e in discesa. In tutti e due i casi, il sentiero più economico deve essere segnato con una pendenza di circa il 25%, e il costo energetico minimo è di 2,0 e 0,4 ml O₂/(kg∈mvert), rispettivamente per salita e discesa, dove mvert indica un metro percorso in verticale, cioè l'unità di misura del dislivello. Se la situazione geografica obbliga a disegnare sentieri con pendenza media inferiore all'ottimale sopra indicato, dovrà essere scelto il tracciato con la maggiore inclinazione media.
b) Aspetti meccanici
Studiare il movimento del corpo umano durante la deambulazione significa, in prima istanza, seguire nello spazio la traiettoria del suo centro di massa (o centro di gravità, o baricentro). Questo rappresenta il punto nel quale possiamo pensare sia concentrata tutta la massa, ottenuto come media pesata delle coordinate spaziali dei segmenti corporei. Va da sé che la posizione del centro di massa non è fissa ma dipende dalla posizione degli arti (potrebbe trovarsi anche all'esterno del corpo, come durante il superamento dell'asticella nel salto in alto). Quando siamo immobili in posizione eretta, esso si trova circa a metà della linea che unisce le due creste iliache. La traiettoria del centro di massa ci può indicare, da una parte, con quali modalità la forza è stata applicata per creare il movimento, dall'altra, le somiglianze o differenze con i più comuni paradigmi meccanici (per es., il pendolo e la palla rimbalzante). La traiettoria e la velocità istante per istante lungo di essa, che possono essere ottenute sia mediante cinematografia sia tramite il segnale registrato da piattaforme sensibili alla forza, sono la base per poter calcolare le due energie meccaniche fondamentali del movimento: l'energia potenziale (EP), che deriva dalla posizione verticale del centro di massa rispetto a un riferimento, e l'energia cinetica, proporzionale al quadrato della sua velocità, EC.
In un pendolo ideale passivamente oscillante, l'andamento temporale di EP ed EC è identico e speculare, nel senso che quando uno diminuisce, l'altro aumenta della stessa entità. Infatti, il pendolo è fermo (EC minima) quando è nel punto più alto della oscillazione (massima EP), mentre avviene l'opposto quando transita nella parte più bassa della traiettoria. Questo andamento indica lo scambio tra differenti tipi di energia, rivolto a rendere minima quella variazione dell'energia totale (ET = EP + EC) che viene chiamata lavoro meccanico. Nel caso del pendolo passivo, possiamo dire che le curve energetiche testimoniano che nessuna forza, a parte quella gravitazionale, agisce per mantenerne il movimento di oscillazione. Questo viene ottenuto dal continuo scambio tra energie cinetiche e potenziali, e il lavoro meccanico è uguale a zero. Schematicamente, la meccanica della marcia si basa su due movimenti pendolari: a) il movimento degli arti superiori e inferiori (durante l'oscillazione verso l'avanti) attorno al giunto della spalla e dell'anca; b) il movimento del baricentro durante la fase di contatto di un arto con il terreno, che corrisponde a un pendolo invertito. Dei due movimenti, il secondo è quello più importante perché coinvolge la maggior parte della massa corporea.
Pur comportandosi come un pendolo (il pendolo invertito è sottoposto agli stessi scambi di energia meccanica del pendolo 'normale'), la conversione tra l'energia EP ed EC non è completa, tanto che per sostenere il movimento i muscoli devono fornire lavoro meccanico. È stato misurato che nella marcia la quantità di energia scambiata può arrivare a 60% (nel pendolo ideale è uguale al 100%), con evidente risparmio metabolico (Cavagna-Kaneko 1977). Anche il movimento oscillante degli arti nella fase non vincolata al terreno è importante, ma diventa un aspetto metabolicamente costoso solo ad alte frequenze di passo, quando cioè è necessario muovere gli arti a cadenze molto distanti dalla loro frequenza naturale di oscillazione (determinata, come in tutti i pendoli, dalla lunghezza del braccio). Ciò avviene ad alte velocità della marcia.
Lo studio della meccanica della locomozione in pendenza ha recentemente ricevuto un impulso grazie all'analisi computerizzata del movimento. Sono state chiarite le ragioni che determinano il minimo metabolico in discesa alla pendenza di -10% (Minetti-Ardigò-Saibene 1993). Quando si cammina in piano a velocità costante l'altezza del baricentro torna periodicamente allo stesso livello e la sua velocità varia attorno a un valore medio (accelera/decelera).
Ne consegue che a ogni innalzamento dell'energia totale, denominato lavoro meccanico positivo, deve necessariamente seguire (presto o tardi nel ciclo del passo) un abbassamento, o lavoro negativo, di pari entità. La ripartizione tra lavoro positivo e negativo, che è 50%/50% nella locomozione in piano, cambia a seconda della pendenza. In salita prevale il lavoro positivo (per es. 80%/20% alla pendenza del 5%) e a pendenze superiori al 15% il lavoro negativo scompare del tutto. In discesa la ripartizione si capovolge in modo simmetrico. Il prevalere di una forma o dell'altra di lavoro meccanico dipende dal fatto che marciando in salita c'è un lavoro positivo addizionale, dovuto all'energia potenziale che aumenta, mentre in discesa questa diminuisce (lavoro negativo addizionale).
A differenza dei veicoli a motore, dove il combustibile viene consumato principalmente per effettuare lavoro positivo (essenzialmente accelerativo), mentre quello negativo viene svolto dai freni (che convertono l'energia meccanica in calore), i muscoli consumano energia metabolica per produrre entrambi i tipi di lavoro. Fortunatamente, il lavoro negativo costa 5 volte meno di quello positivo. Questa asimmetria nel costo metabolico del lavoro meccanico spiega perché la pendenza ottimale si trovi a circa -10%. Infatti, in salita l'aumento del costoso lavoro positivo implica un aumento del costo energetico, mentre in discesa l'aumento dell'economico lavoro negativo non riesce a bilanciare la diminuzione del costoso lavoro positivo, con una risultante diminuzione del costo energetico complessivo. Tale diminuzione persiste fino a una pendenza di circa -10% oltre la quale il residuo lavoro positivo scompare e domina la scena solo l'aumento del lavoro negativo che, seppur economico, provoca una nuova risalita del costo energetico.
3.
Il cammino è realizzato tramite l'attivazione sequenziale di un elevato numero di muscoli, localizzati principalmente negli arti inferiori. Differentemente dalla semplice postura eretta, dove muscoli flessori ed estensori (agonisti e antagonisti) devono essere spesso simultaneamente attivati per mantenere la stabilità del sistema, la marcia implica un pattern motorio preprogrammato. L'alternarsi di agonisti e antagonisti, in modo da non lavorare gli uni contro gli altri, rende armonioso il movimento e minimo il dispendio metabolico.
Tale coordinazione richiede il perfetto funzionamento di una rete neuronale deputata a fornire ai muscoli le adeguate sequenze di attivazione per ogni determinata velocità, frequenza di passi e pendenza del tracciato. La localizzazione della zona neuronale cui compete il controllo della deambulazione (denominata central pattern generator) nell'uomo è a tutt'oggi ancora incerta, essenzialmente per problemi tecnici di indagine (circa 1000 miliardi di cellule nel sistema nervoso centrale).
Tuttavia, le osservazioni di C.S. Sherrington e di T.G. Brown eseguite alla fine dell'Ottocento su alcuni mammiferi ed esperimenti condotti da J. Grey sui rospi hanno dimostrato come essa debba trovarsi all'interno del midollo spinale. Infatti, animali decorticati (con interruzione delle vie nervose tra l'encefalo e il midollo spinale) mantengono la capacità di produrre atti locomotori coordinati, una volta stimolati tramite mobilizzazione passiva di uno degli arti. Più recenti ricerche indicano che la corteccia cerebrale è importante per iniziare, terminare e controllare la velocità di una sequenza locomotoria, mentre nel midollo spinale risiederebbero i circuiti capaci di mantenere la periodicità dei movimenti senza bisogno del controllo volontario. I sensori di stiramento presenti nei fusi neuromuscolari e la geometria delle sinapsi eccitatorie e inibitorie che stimolano muscoli agonisti e antagonisti sono la chiave per comprendere l'attività del central pattern generator, come è stato dimostrato da S. Grillner (1996) nelle lamprede, vertebrati acquatici con soli 1000 neuroni nel midollo spinale.
A parte considerazioni riguardanti la maggiore complessità del sistema, non ci sono motivi per pensare che il controllo della deambulazione nell'uomo sia organizzato e localizzato in modo radicalmente differente dalle specie investigate. Il passaggio alla stazione eretta e la conseguente andatura bipede hanno probabilmente favorito una maggior integrazione tra le strutture nervose midollari e il cervelletto, che è deputato al controllo dell'equilibrio e della risposta agli stimoli gravitazionali. La deambulazione autonoma compare attorno al primo anno di età dopo un periodo di 3-4 mesi di apprendimento assistito (deambulazione supportata). Lo sviluppo di un cammino simile a quello adulto, che si presenta da 3-3,5 anni in poi, avviene attraverso successivi progressi nel controllo delle articolazioni, da quelle prossimali (anca) a quelle distali (ginocchio, caviglia, piede).
In ordine di comparsa assistiamo a:
1) rotazione pelvica;
2) flessione del ginocchio durante la fase di doppio supporto;
3) impatto del tallone (rispetto al piede piatto);
4) movimenti reciproci degli arti superiori;
5) riduzione della base di supporto tramite diminuzione della distanza laterale d'appoggio dei piedi.
Questa sequenza è dovuta sia al rafforzamento delle connessioni sinaptiche derivante dall'apprendimento, sia al completamento dei processi di mielinizzazione del sistema nervoso. La velocità spontanea prevalente aumenta da circa 2,3 fino a 5-5,5 km/h a 17-20 anni, per poi declinare, come si è già detto, dopo i 60 anni di età.
4.
Alterazioni patologiche della deambulazione possono insorgere per danni a uno o più livelli della catena nervo-muscolo-tendine-articolazione-ossa, senza dimenticare gli effetti di un esagerato aumento della massa corporea (obesità grave, nella quale si osserva un aumento del costo energetico per kg fino al 30%). Per es., il quadro clinico dell'osteomalacia include debolezza muscolare e alterazioni della mineralizzazione ossea, con conseguenti deformità scheletriche, che portano nell'infanzia all'incapacità di camminare senza supporto e nei pazienti adulti ad adottare un'andatura 'antalgica', necessaria per contrastare i dolori dell'articolazione dell'anca.
Nella spondilosi, malattia degenerativa della colonna vertebrale con prevalente insorgenza negli anziani, la compressione dei nervi in uscita porta a modificazioni della marcia simili a quelle che vengono riscontrate nella paraparesi, con incrocio delle ginocchia (movimento a forbice), circonduzione bilaterale e piedi striscianti. Nell'emiparesi, affezione provocata da un danno ischemico di un emisfero cerebrale, si assiste a un movimento di circonduzione dell'arto colpito durante la fase di supporto dell'arto controlaterale, con inclinazione compensatoria del tronco in direzione opposta. Nella paralisi cerebrale infantile la deambulazione è 'atetosica', caratterizzata cioè da sequenze di movimenti lenti e rapidi degli arti.
Il paziente affetto da parkinsonismo, malattia provocata da insufficiente produzione di un neuromediatore, produce passi brevi con ginocchia flesse e piedi che 'raschiano' il terreno, mentre a velocità più alta l'andatura è 'festinante', con passi rapidi e tendenza a cadere.
Nella sclerosi laterale amiotrofica (malattia del motoneurone), l'andatura viene definita 'steppante' e presenta un'esagerata flessione del ginocchio, adottata per evitare al piede di toccare il terreno (piede cadente) a causa della debolezza muscolare. La stessa debolezza, estesa ai muscoli addominali e paravertebrali nella distrofia muscolare, produce un cammino a gambe allargate e addome protruso.
Le più significative alterazioni della deambulazione si presentano nelle malattie del cervelletto e sono caratterizzate dall'atassia, definita come disturbo dell'entità ed estensione (dismetria) dei movimenti. In postura eretta genera la 'titubazione', un grossolano tremore in senso anteroposteriore del tronco, mentre nella marcia il paziente barcolla e devia verso il lato corrispondente alla lesione unilaterale dell'emisfero cerebellare.
Questo è in parte dovuto al venir meno dell'integrazione tra strutture cerebrali deputate al controllo dell'equilibrio. Alterazioni della deambulazione sono presenti anche nell'anziano, con una diminuzione dell'oscillazione delle braccia e l'accorciamento dei passi (andatura anserina). L'anziano inoltre è esposto al rischio di cadute per diminuzione della capacità di mantenere l'equilibrio.
Un altro importante capitolo nella deambulazione patologica riguarda l'utilizzo di ortosi e protesi, le prime rivolte ad assistere il movimento di arti intatti, le seconde ideate per rimpiazzare segmenti amputati per motivi traumatici o degenerativi. Gli avanzamenti tecnologici nella realizzazione di protesi per gli arti inferiori (sopra e sotto il ginocchio) rendono possibile una deambulazione sempre più simile a quella fisiologica, anche se con una spesa metabolica superiore. Rispetto a soggetti sani alla stessa velocità di progressione, pazienti protesizzati hanno riportato un costo energetico della deambulazione del 20% superiore, mentre l'uso di stampelle comporta un ulteriore aumento del 30%.
L'esplorazione dello spazio e la possibilità di stabilire insediamenti su altri pianeti e satelliti del Sistema solare impongono di accennare brevemente alla deambulazione in condizioni sia di ridotta sia di aumentata gravità. Ricordiamo che, variando la gravità, la massa corporea non cambia, ma il peso che l'apparato locomotore deve sostenere si modifica in modo proporzionale. È così che peseremmo solo il 17% e il 38% del nostro normale peso qualora ci trovassimo sulla Luna e su Marte, rispettivamente, mentre potremmo raggiungere il 236% su Giove.
Riuscire a camminare 'normalmente' quando la gravità è ridotta costituisce un problema, poiché lo scambio tra energia cinetica ed energia potenziale del centro di massa si sbilancia. Ciò è dovuto al minore contributo dell'energia potenziale, che è condizionata dalla forza di gravità. La difficoltà nel mantenere la stessa velocità del cammino terrestre in queste condizioni era già stata prevista nel 1964 da R. Margaria e G.A. Cavagna. Per la Luna (1/6 della gravità terrestre) era stata pronosticata una velocità 'ottimale' di 1,8 km/h.
Tuttavia nelle missioni Apollo nessun esperimento in tal senso è stato mai effettuato. Gli spezzoni cinematografici comunque evidenziano una velocità di marcia ampiamente ridotta. Attraverso recenti esperimenti (Cavagna-Willems-Heglund 1998), effettuati su aeroplani che compivano voli parabolici per ottenere a bordo condizioni di differente gravità, è stato possibile dimostrare che su Marte (circa 1/3 della gravità terrestre) la velocità ottimale potrebbe essere ridotta del 40%. Nonostante non vi siano dati per condizioni gravitarie superiori a quella terrestre, per le quali si potrebbe prevedere un aumento della velocità 'ottimale', bisogna tener presente che la spinta dei muscoli della gamba potrebbe non essere sufficiente per forze di gravità molto elevate.
G.A. Cavagna, M. Kaneko, The sources of external work in level walking and running, "Journal of Physiology London", 1977, 268, pp. 467-81.
G.A. Cavagna, P.A. Willems, N.C. Heglund, Walking on Mars, "Nature", 1998, 393, p. 636.
C. Grillner, Neural networks for vertebrate locomotion, "Scientific American", 1996, 274, pp. 48-53.
R. Margaria, Sulla fisiologia e specialmente sul consumo energetico della marcia e della corsa a varia velocità ed inclinazione del terreno, "Atti Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie", 1938, 7, pp. 299-368.
R. Margaria, G.A. Cavagna, Human locomotion in subgravity, "Aerospace Medicine", 1964, 35, pp. 1140-46.
A.E. Minetti, L.P. Ardigò, F. Saibene, Mechanical determinants of gradient walking energetics in man, "Journal of Physiology London", 1993, 472, pp. 725-35.
J. Rose, J.G. Gamble, Human walking, Baltimore, Williams and Wilkins, 1994.