debito estero
Condizione che viene a determinarsi in un sistema economico quando il valore complessivo delle attività finanziarie estere detenute dai residenti è inferiore al valore delle passività finanziarie verso l’estero (ovvero, nei confronti dei cittadini non residenti). La principale determinante dell’accumulazione di d. e. è l’esistenza di deficit (➔) nelle partite correnti, a loro volta riconducibili a un eccesso di spesa (privata e/o pubblica), rispetto al valore della produzione domestica realizzata (problema del d. internazionale).
Il d. e. non è necessariamente da intendersi come un elemento negativo per un sistema economico, il quale può infatti essersi indebitato nei confronti dell’estero per far fronte a una temporanea caduta del reddito. Alternativamente, il d. e. potrebbe essere dovuto alla decisione di sostenere ingenti progetti di investimento, volti a favorire la crescita del reddito nel più lungo periodo. Diversa è invece l’assunzione di d. e. realizzata per sostenere un eccesso di spesa, dovuto a una elevata attività di consumo, oppure allo svolgimento di progetti di investimento improduttivi.
Il calcolo del debito estero. Per valutare i costi e i rischi della presenza di d. e. è necessario svolgere un’analisi delle condizioni di sostenibilità (➔), incentrate sul computo dei saldi (in quota di PIL), di bilancia commerciale (➔), tb, e di partite correnti, ca, compatibili con la stabilizzazione del rapporto tra d. e. e PIL (b). Per es., la condizione operativa di stabilità, definita in termini di saldo di bilancia commerciale può essere formulata come: tb=b(r−g)/(1+g), in cui r è il livello del tasso (➔) di interesse e g il tasso di crescita del PIL. Se (r=g), la stabilizzazione del d. e. avviene in corrispondenza di un saldo nullo di bilancia commerciale. Qualora, invece, r>g, l’economia indebitata con l’estero è costretta a registrare surplus (➔) ovvero avanzi commerciali – spesso attuati mediante dolorose manovre di aggiustamento – per evitare che il suo d. e. cresca.
Le suddette formule sono utilizzate dagli operatori di mercato, che raffrontano il valore teorico del saldo di bilancia commerciale (derivante dalla condizione operativa di sostenibilità definita sopra) con quello effettivo. Se il primo risulta superiore al secondo, ne deriva un giudizio negativo sulla sostenibilità, in quanto l’economia in questione registra un saldo di bilancia commerciale che fa aumentare (anziché stabilizzare) il d. estero. Tali condizioni, essendo calcolate in modo estremamente semplificato, soffrono tuttavia di alcuni limiti. In primo luogo, prescindono dalla considerazione che l’eventuale deficit corrente sia dovuto a spese foriere di crescita futura, oppure all’esistenza di comportamenti di per sé insostenibili quali, per es., bolle (➔ bolla) immobiliari o azionarie, spesa pubblica eccessiva, e così via. In secondo luogo, non tengono conto delle modalità in cui il d. e. è stato finanziato nel tempo. Un elevato stock di passività (➔) finanziarie a breve termine espone, infatti, il Paese debitore al pericolo di una improvvisa interruzione degli afflussi di capitale (➔ sudden stop), che a sua volta comporta un sostanziale rischio di rifinanziamento (rollover risk, ➔ rollover). Infine, non tengono conto della valuta in cui sono denominate le passività finanziarie estere, e, di conseguenza, degli effetti indotti sulla sostenibilità da un deprezzamento inatteso del tasso di cambio, in presenza di un cospicuo d. e. denominato in valuta estera (tipicamente dollari e, più recentemente, euro). Quest’ultimo fattore è stato, per lungo tempo, cruciale per spiegare le crisi del d. di numerosi Paesi in via di sviluppo ed emergenti, il cui d. e. era (o ancora è, per molte nazioni) quasi esclusivamente denominato in valuta estera, a seguito della loro incapacità – definita in gergo tecnico peccato originale (original sin) – di collocare sui mercati internazionali passività finanziarie denominate in valuta domestica. Ne consegue che la compresenza di un d. e. a breve termine denominato in valuta estera espone, notevolmente, i Paesi indebitati al rischio di una crisi del d. e., spesso sfociata in episodi di default (➔) sovrano.