debito pubblico
débito pùbblico locuz. sost. m. – Stock di titoli emessi nel tempo per finanziare il fabbisogno finanziario derivante dalla spesa pubblica in eccesso rispetto alle entrate tributarie. Si tratta, quindi, di prestiti concessi allo Stato e agli Enti locali da sottoscrittori quali, per es., istituti di credito, intermediari finanziari, imprese e famiglie. I sottoscrittori possono essere residenti nel Paese o esteri: il d. p. può, così, essere distinto in debito interno ed estero (v. ). I titoli pubblici hanno scadenze varie, annuali (come per es., Buoni ordinari del Tesoro) o poliennali (per es., Buoni poliennali del Tesoro), e garantiscono ai sottoscrittori un rendimento sotto forma di interesse sul prezzo di emissione o di borsa. Periodicamente il Tesoro indice aste per il collocamento dei titoli, il cui ricavato serve a finanziare il nuovo fabbisogno e a rimborsare il vecchio debito, allorché viene in scadenza. Al rendimento dei titoli è legato il costo del debito per le casse dello Stato, sotto forma di spesa per interessi. Per attirare la domanda di titoli, lo Stato deve garantire un rendimento che sia competitivo con gli altri asset finanziari, e garantisca un adeguato premio per il rischio di insolvenza. Nei paesi ad alto d. p. la spesa per interessi costituisce una componente rilevante delle uscite pubbliche, capace di ingessare il bilancio. I parametri fissati nel Trattato di Maastricht per aderire all’Unione monetaria europea, e poi utilizzati nel , hanno fissato nel 60% il confine superiore di accettabilità del rapporto debito/PIL, prevedendo sanzioni o disincentivi per gli stati che sforassero questo tetto o che, avendolo già fatto in passato, non intraprendessero incisive politiche di risanamento. In Italia il rapporto debito/PIL è sopra il 100% almeno da 20 anni e dopo la crisi del 2009-10 è arrivato alla quota del 121% nel 2011. Si tratta del livello più alto tra i paesi europei, tranne la Grecia che è al 166%. La Germania ha un debito pubblico dell'83% del PIL e la media UE è dell'82%. Gli Stati Uniti sono al 100% (ma in termini assoluti hanno il d. p. più alto al mondo) mentre il Giappone è il Paese industrializzato con il più alto livello del debito, pari addirittura al 233% del PIL. Le politiche di rientro dal d. p. fanno leva sui interventi riguardanti la riduzione della spesa pubblica (o l’incremento della tassazione) il sostegno alla crescita economica e l’istituzione di provvedimenti di finanza straordinaria (dismissione del patrimonio della Pubblica amministrazione o imposte patrimoniali una tantum). Quando la spirale dei tassi di interesse si coniuga con una bassa crescita e una incapacità di sostenere l’avanzo primario (al netto cioè della spesa per interessi) o di mettere mano a interventi di finanza straordinaria, il d. p. diviene insostenibile, e si aprono scenari di instabilità finanziaria con conseguenze deleterie sull’economia reale. In casi eccezionali, uno Stato, non riuscendo a far fronte alla situazione, può essere costretto al ripudio del d. stesso (v. ), cioè a decidere di non rimborsarlo alla scadenza.