DECADENZA
. Diritto. - La distinzione fra prescrizione e decadenza e, in genere, la classificazione dei varî istituti nei quali si esplica l'efficacia del tempo sui fenomeni giuridici, è ricerca la cui intrinseca difficoltà è acuita dal nostro codice, che parla dell'una e dell'altra senza un criterio fisso di distinzione.
E dubbio se i Romani conoscessero accanto alla prescrizione la decadenza. La distinzione fra questi due istituti fu rinvenuta dai pandettisti tedeschi, cui si è aggiunta con notevoli contributi la dottrina italiana. Vi ha chi ritiene che la prescrizione si distingua dalla decadenza, perché nella prima l'interesse riguardato dal legislatore è sempre quello sociale, e in particolare la certezza dei rapporti giuridici, che sarebbe ben vulnerata qualora si perpetuasse all'infinito l'antitesi fra titolare legittimo e titolare di fatto: mentre nella decadenza sono tutelati i più svariati interessi: certezza dello stato giuridico, esigenze dell'agricoltura e del commercio, sicurezza dell'ordine pubblico. Vi ha chi considera la decadenza come un caso di prescrizione più rigorosa, per il quale non valgono le cause comuni d'interruzione e di sospensione. Vi ha chi basa la distinzione sui diversi fenomeni, su cui si esercitano prescrizione e decadenza: la prima porrebbe nel nulla uno stato di diritto già esistente e operante; mentre la seconda impedirebbe l'esercizio d'una semplice pretesa a ottenere un determinato risultato nel mondo giuridico. Vi ha ancora chi vede nella prescrizione considerato in primo luogo il non esercizio del diritto e soltanto di riflesso il decorso del tempo; mentre nella decadenza l'importanza dei due elementi sarebbe invertita. Vi ha infine chi ritiene inopportuna una distinzione fra i due istituti, accomunandoli entrambi nell'efficacia del tempo sui rapporti giuridici. A tanta disparità di opinioni si aggiunga che non si è punto concordi nell'attribuzione dei diversi effetti ai due istituti in discorso e il disaccordo verte in particolare su quel che riguarda l'operare delle cause di sospensione e d'interruzione.
Si deve innanzitutto allontanare il concetto di diritto temporale o a termine, dal campo della prescrizione e della decadenza: sia esercitato o no, il diritto a termine cessa infatti con lo scadere del termine, onde in esso si deve ricercare non l'efficacia del tempo, ma l'efficacia diretta della volontà umana, che nella prescrizione e nella decadenza non è invece considerata. Ristretta la questione ai rapporti fra il tempo e i fenomeni giuridici, non si può non condividere l'opinione già esposta, secondo la quale l'inattività umana può porre nel nulla un diritto perfetto o impedire l'esercizio d'una semplice pretesa. Nel primo caso si ha la prescrizione estintiva, che è la sola causa dell'estinzione d'un diritto completo (proprietà, servitù, ecc.); nel secondo caso opera la decadenza, che direttamente impedisce l'esercizio d'una pretesa volta all'annullamento d'uno stato o rapporto giuridico e, soltanto indirettamente, convalida lo stato o rapporto giuridico. I fenomeni, su cui si esercitano prescrizione e decadenza, non sono già rispettivamente il diritto e l'azione, intesa in senso sostanziale come potere spettante a chi ha ragione di porre in essere la condizione per l'attuazione della legge a suo favore; bensì il diritto e l'azione, intesa come potere spettante a qualunque cittadino di porre in movimento gli organi giurisdizionali. Da questa distinzione si deduce come la prescrizione sia istituto di carattere meramente materiale, mentre la decadenza opera nel campo del processo e s'identifica col fecondo concetto di preclusione. Del resto i casi di decadenza, sui quali esiste minor disaccordo, sono quelli che riguardano azioni vere e proprie: azione per il disconoscimento della paternità (art. 166 e 167 cod. civ.), azione di rescissione della vendita per lesione (articolo 1531 cod. civ.) azione redibitoria (art. 1505 cod. civ.), azione di regresso verso gli obbligati anteriori nel rapporto cambiario (art. 325 cod. comm.).
Tuttavia dal carattere in tal modo delineato della decadenza non si desume che siano ad essa inapplicabili le cause di sospensione proprie della prescrizione: non quelle cause che si fondano sulla speciale condizione giuridica del titolare della pretesa (art. 2120 cod. civ.), né tanto meno quelle che si fondano sullo speciale rapporto che lega colui, cui spetta la pretesa, al soggetto, contro il quale la pretesa si esercita (art. 2119 cod. civ.). I motivi da cui il legislatore è stato indotto a dettare tali norme in tema di prescrizione - tutela degl'incapaci in genere, rispetto ai vincoli di affetto e di autorità - sono ugualmente validi in tema di decadenza.
Dove invece il regolamento della decadenza si distacca da quello della prescrizione, è nelle cause d'interruzione, fra le quali può esser ammessa la sola domanda proposta dinanzi a giudice competente; e non tanto perché con essa s'interrompe la decadenza, quanto perché si esercita la pretesa stessa. Non è invece da ritenere come causa d'interruzione la domanda proposta dinanzi a giudice incompetente (art. 2128 cod. civ.), perché nella decadenza s'impone che una pretesa, sia fondata o no, debba esser esercitata in un certo periodo di tempo, mentre nella prescrizione si priva d'un diritto chi non lo ha adoperato per un certo tempo; onde non è giustificabile nella decadenza il favore con cui il legislatore considera, nella prescrizione, ogni atto del titolare volto ad impedire la perdita del diritto. L'altra causa d' interruzione, ossia la ricognizione da parte del titolare della pretesa (art. 2129 cod. civ.), è un non senso, qualora si applichi alla decadenza; giacché, o la pretesa è fondata, ed allora non di ricognizione, ma di negozio di accertamento o di transazione si può parlare; o è infondata, e allora l'atto di ricognizione, da parte di chi non ha alcun diritto o aspettativa, lascia il tempo che trova e non concede alla saldezza del diritto, contro cui si vorrebbe esercitare la pretesa, alcuna garanzia oltre le preesistenti.
Bibl.: G. Pugliese, La prescrizione estintiva, 4ª ed., Torino 1924; P. D'Onofrio, Sul concetto di preclusione, in Studi in onore di G. Chiovenda, Padova 1927; T. Siciliani, Decadenza, in Dizionario del diritto privato, II, Milano 1900 segg. e nei trattati ed opere generali; C. Crome, Parte generale del diritto privato francese (trad. Ascoli e Cammeo), Milano 1906, p. 341 seg.; N. Coviello, Manuale di diritto civile, 2ª ed., Milano 1915, par. 150, p. 484; G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli 1928, pp. 140-145; 858-863; B. Windscheid, Diritto delle Pandette (trad. Fadda e Bensa), Torino 1926, I, pp. 349-387; IV, pp. 580-588; R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, 5ª ed., I, Messina 1929, p. 236.