DECENTRAMENTO (XII, p. 458; App. II, 1, p. 761; III, 1, p. 470)
Il principio del d. amministrativo, a tre decenni di distanza dall'emanazione della Costituzione, risulta ancora in fase di attuazione. È ormai pacifico che il d. è una formula di organizzazione connessa con la distribuzione delle funzioni fra vari organi e vari soggetti in modo da salvaguardare le esigenze di autonomia non solo degli enti autonomi, ma anche degli organi autonomi (cioè di quegli organi la cui competenza esclude quella di qualsiasi altro organo concorrente). In tal senso si è precisato che è erroneo riferirsi a un d. gerarchico, accanto a un d. per soggetti, e che occorre, invece, parlare di d. autonomico, e che ogni tentativo di attuare la formula del d. attraverso il semplice trasferimento di competenze dal centro alla periferia, lasciando ferma la struttura gerarchica, non può che fallire in quanto contrastante in radice con l'organimazione gerarchica. La formula del d. comporta il trasferimento di potestà da organi centrali a organi (o soggetti) periferici: l'organo o il soggetto periferico divengono titolari delle funzioni d'indirizzo generale o di alta amministrazione (il che è diverso dalla deconcentrazione e cioè da una mera distribuzione di competenze di gestione o di esecuzione fra organi centrali e non centrali). In Italia nel linguaggio corrente si è sovente presentato per d. ciò che in effetti è semplice deconcentrazione. La distinzione è importante perché nella pratica anche con la deconcentrazione si può avere l'effetto di affidare attività giuridiche e non materiali e, quindi, l'esercizio di poteri amministrativi, a organi periferici, ma si tratta sempre di competenze non definite e non compiute che s'innestano nell'ordinamento gerarchico delle competenze, conservandole o addirittura moltiplicandole, laddove con il d. le potestà vanno agli uffici locali (o ad altri soggetti) e agli uffici centrali rimangono i compiti di coordinamento e di direzione.
L'attuazione della Costituzione presupponeva un ampio d. dallo. stato ad altri soggetti (soprattutto agli enti territoriali). La mancata creazione (per tanto tempo protrattasi) delle regioni ordinarie indusse il parlamento a dare delega al governo a provvedere con leggi delegate. A seguito della legge di delegazione 11 marzo 1953, n. 150, poi prorogata con la l. 18 giugno 1954, n. 343, furono emanati numerosi decreti legislativi che riguardavano diversi ministeri. Le soluzioni a cui si è pervenuti sono state criticate e si è detto che si è operata una mera deconcentrazione di materie di scarsa importanza, senza una visione globale del come occorresse operare. Anzi, a volte si è avuta l'introduzione di rapporti nuovi fra centro e periferia creando un accentramento all'inverso. Si è omesso di attuare una revisione delle distribuzioni delle funzioni fra i pubblici poteri dando luogo a una situazione sconcertante: nelle funzioni che si sarebbero dovute decentrare l'organo superiore è rimasto fungibile con quello inferiore e la distribuzione è avvenuta in base a canoni empirici, senza alcuna chiarezza e senza organicità d'indirizzo, complicando il gioco delle competenze.
Le critiche sono state recepite negli ambienti politici e fu data una nuova delega al governo con la l. 18 marzo 1968, n. 249, con un disegno più ampio (riordinare l'amministrazione dello stato e operare il d. delle funzioni). Il disegno era, ancora una volta, incompleto perché dissociato dal problema regionale (il che avrebbe reso l'opera difficile e, comunque, provvisoria). Provvidamente, quindi, la delega non ebbe esecuzione entro i termini previsti. Mentre il parlamento discuteva una proposta di proroga (divenuta poi la l. 28 ottobre 1970, n. 775) sopraggiunse l'attuazione delle regioni in modo che si poterono inserire nella delega gl'indispensabili richiami per collegare il riordinamento dell'amministrazione statale al d. regionale.
La commissione parlamentare per le questioni regionali ha svolto nel 1974 un'ampia indagine conoscitiva alla quale hanno partecipato rappresentanti delle regioni ed esponenti del mondo scientifico. Questi ultimi hanno confermato la necessità di completare il processo di trasferimento anche attraverso un'integrale devoluzione delle competenze operative, ovvero insistendo sul valore delle soluzioni procedimentali anziché su quelle del riparto di competenze. Nella misura in cui sarà consentita una sostanziale partecipazione del cittadino all'azione amministrativa si potrà superare l'attuale criterio di ripartizione delle competenze che è espressione di un garantismo storicamente superato. Si è anche osservato che gl'indirizzi per la ripartizione e la riorganizzazione delle competenze fra gli apparati ministeriali non appaiono adatti a ministeri d'indirizzo che devono diversificarsi da quelli operativi.
Per il d. venivano dettati alcuni criteri di base: riduzione del numero degli uffici periferici per effetto del trasferimento di funzioni alle regioni; conferimento di poteri decisionali agli organi periferici e possibilità di attribuire definitività processuale agli atti da questi emanati; contestualità del d. delle funzioni di controllo. I provvedimenti delegati dovevano essere emanati entro il 30 giugno 1972, ma ancora una volta il problema è stato rinviato. Intanto è giunto in porto lo stralcio del primitivo schema per la parte che prevede il completamento del trasferimento di competenze alle regioni (l. 22 luglio 1975, n. 382). Trasferimento che è in corso di realizzazione per effetto del decreto delegato 24 luglio 1977, n. 616.
Deve osservarsi che il sistema migliore per operare il d. appare quello di rovesciare l'impostazione finora seguita (trasferimerito di competenze dal centro alla periferia come fenomeno di deroga alla norma generale della competenza ministeriale) prevedendo la competenza primaria delle autorità non centrali come regola e quella ministeriale come eccezione. È peraltro da segnalare che già il progetto di delega contenuto negli ultimi atti parlamentari (atto Camera n. 114; atto Senato n. 3157) era ampiamente innovativo rispetto alle previsioni della legge del 1968 perché si era passati dall'idea di trasferire solo le funzioni delle quali fosse non essenziale l'esplicazione da parte degli organi centrali (cioè da un assurdo principio di favore per la centralizzazione e da un ossequio meramente formale del precetto costituzionale) al criterio molto più largo del trasferimento di tutte le funzioni amministrative a eccezione di quelle che attengano ad affari d'interesse nazionale o interregionale. Siffatti concetti appaiono recepiti nella ricordata legge n. 382 del 1975 che prevede il completamento del trasferimento alle regioni attraverso decreti delegati in cui l'identificazione delle materie deve essere realizzata per settori organici (indipendentemente dalla competenza dei singoli ministeri e degli altri uffici statali) in base a criteri oggettivi in modo che il trasferimento risulti completo e sia finalizzato a una disciplina e gestione sistematica e programmata delle attribuzioni spettanti alle regioni. Al fine di rendere il d. ancora più completo è previsto che, nei rari casi in cui vi siano funzioni residue non trasferibili, lo stato deleghi le funzioni stesse alle regioni. Tali principi sono stati ampiamente recepiti nel d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
Ci si avvia quindi a una chiarificazione del concetto stesso di d.: la formula decentrata nasce dalla necessità di rendere l'amministrazione idonea a perseguire gl'interessi degli amministrati. È ciò che si tenta di realizzare attraverso i distretti scolastici, le unità sanitarie locali e le proposte di unità locali per i servizi sociali, anche al fine di superare frammentazioni di competenze e di creare in periferia circoscrizioni integrate, idonee a rendere al cittadino servizi che abbiano fra loro una certa affinità e che operino con criteri di economicità e di democraticità.
Bibl.: M. S. Giannini, Il decentramento nel sistema amministrativo, in Problemi della P. A., Bologna 1958; F. Roversi Monaco, Profili giuridici del decentramento nell'organizzazione amministrativa, Padova 1970; F. Benvenuti, L'ordinamento repubblicano, Venezia 1975; S. Alberto Romano, Il decentramento comunale per quartieri: analisi e prospettive, in Riv. trim. dir. pubbl., 260 (1975); M. Schinata, L'attività delle regioni nei confronti degli enti locali, ibid., 1895 (1975); F. Cocozza, Accentramento e decentramento nell'ammionistrazione della pubblica istruzione, ibid., 1097 (1975); C. Bonomi, Il decentramento comunale. L'esperienza britannica, ibid., 1745 (1976); G. Vignocchi, Attività amministrativa e di governo delle regioni. Appunti e riflessioni, ibid., 576 (1976); U. Allegretti, I quartieri tra decentramento comunale e autonomia di base, ibid., 192 (1977); M. Nigro, Partecipazione e decentramento nella disciplina delle circoscrizioni comunali, ibid., 168 (1977).