Decertificazione. Divieto di utilizzare certificati nei rapporti con la Pubblica Amministrazione
Il bilanciamento fra l’irrinunciabile esigenza di certezza pubblica e le esigenze di semplicità dell’attività amministrativa è un obiettivo che il legislatore italiano sta perseguendo da più di quarant’anni, con l’introduzione di strumenti alternativi alle certificazioni, che però le amministrazioni interessate si sono spesso dimostrate riluttanti a utilizzare. Per eliminare in radice questo problema nell’art. 40, d.P.R. 28.12.2000, n. 445 è stata introdotta una previsione secondo cui le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione sono valide e possono essere utilizzate solo nei rapporti tra privati, mentre le pubbliche amministrazioni procedenti possono fare ricorso esclusivamente all’accertamento d’ufficio o alle dichiarazioni sostitutive.
Nel 2012 il d.P.R. 28.12.2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni in materia di documentazione amministrativa) è stato modificato a seguito dell’entrata in vigore di importanti disposizioni, introdotte con l’art. 15, l. 12.11.2011 n. 183 (cd. “Legge di stabilità 2012”).
L’innovazione più rilevante è contenuta nei nuovi commi 01 e 02 dell’art. 40, i quali dispongono che le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti siano valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati e che sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati debba essere apposta, a pena di nullità, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi». In modo corrispondente, è stato modificato anche l’art. 43, co. 1, dello stesso testo unico, che prima vietava alle amministrazioni pubbliche e ai gestori di pubblici servizi di richiedere «atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che risultino elencati all’art. 46, che siano attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare», con l’alternativa dell’autocertificazione, ma senza impedire che il certificato potesse essere presentato spontaneamente dal privato, mentre ora impone a tali soggetti di «… acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni», con l’unica alternativa del ricorso all’autocertificazione.
Rispetto a quanto previsto dalla normativa previgente si interviene quindi non più solo a valle del procedimento di rilascio delle certificazioni, con il divieto della richiesta di certificati da parte delle pubbliche amministrazioni, ma anche a monte, con l’esplicito divieto di produrre certificati destinati ad amministrazioni pubbliche. Per acquisire le certezze giuridiche necessarie per lo svolgimento delle proprie procedure queste e i gestori di pubblici servizi possono quindi soltanto procedere all’accertamento d’ufficio dei dati, o in alternativa chiedere ai privati la presentazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione e di atto di notorietà, di cui agli artt. 46 e 47, t.u. n. 445/2000.
Queste nuove previsioni normative hanno reso necessaria anche la modifica dell’art. 72, t.u. n. 445/2000, operata al fine di potenziare le misure organizzative necessarie alla realizzazione dell’accertamento d’ufficio. In particolare, è stato previsto che le amministrazioni certificanti individuino un ufficio responsabile per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l’accesso diretto agli stessi da parte delle amministrazioni procedenti e sono state rafforzate le responsabilità gravanti sul funzionario dell’amministrazione certificante a seguito della mancata risposta alla richiesta di acquisizione dei dati o di controllo delle autocertificazioni, che non determina più solo genericamente la violazione di doveri d’ufficio, ma viene in ogni caso presa in considerazione ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei responsabili dell’omissione.
Le novità introdotte segnano un’ulteriore tappa di un percorso iniziato dal legislatore ormai più di quarant’anni fa, diretto a bilanciare le esigenze di certezza pubblica sottostanti al sistema di produzione e rilascio dei certificati con «una sempre più vasta e profonda semplificazione delle procedure amministrative, che agevoli i cittadini nei loro rapporti con la pubblica amministrazione» 1. Tale percorso è iniziato con la l. 4.1.1968, n. 15, che ha introdotto nel nostro ordinamento tutto l’insieme degli strumenti di semplificazione della documentazione amministrativa di cui ancora adesso disponiamo. Questa legge è stata applicata con notevoli ritardi da molte amministrazioni, al punto che per oltre vent’anni dalla sua emanazione le sue disposizioni sono praticamente rimaste prive di seguito sul piano operativo. Le ragioni di questo fenomeno si possono trovare in alcune ambiguità del testo della legge, causa di incertezze interpretative, ma soprattutto nel fatto che il modello di amministrazione a cui essa si ispirava non corrispondeva alla realtà «organizzativa» e «culturale» dell’amministrazione tradizionale, ispirata ad una concezione del rapporto con i cittadini ben lontana dalla logica della semplicità e della collaborazione.
Per veder tornare l’attenzione sulle disposizioni della l. n. 15/1968 occorre così aspettare le leggi di riforma amministrativa dei primi anni ‘90 ed in particolare la l. 7.8.1990, n. 241, che non solo richiama espressamente, negli artt. 18, 27 e 30, diversi profili rilevanti della l. n. 15/1968, in particolare in tema di autocertificazione, ma soprattutto provvede a disciplinare complessivamente l’attività amministrativa secondo un modello improntato alla semplicità ed alla collaborazione fra amministrazione e cittadini e quindi a creare un contesto idoneo a rendere effettivamente possibile il pieno utilizzo dei diversi strumenti previsti dalla legge del 1968.
L’impulso dato dalla l. n. 241/1990 spinge verso l’effettiva applicazione delle disposizioni della l. n. 15/1968 e questo conduce in breve a rendersi conto di come queste avessero delle lacune e dei limiti operativi che ne diminuivano la capacità di contribuire effettivamente alla semplificazione dell’attività amministrativa e alla riduzione degli oneri per i cittadini. Per colmare queste lacune e superare questi limiti sono stati adottati prima il d.P.R. 25.1.1994, n. 130, e poi, ancora più incisivamente, la l. 15.5.1997, n. 127, la l. 16.6.1998, n. 191 e il d.P.R. 23.10.1998, n. 403 che hanno introdotto rilevanti modifiche alla disciplina della l. n. 15/1968, miranti a rendere più immediato ed agevole il ricorso agli strumenti di semplificazione.
A questo punto sono però emersi nuovi problemi applicativi, dovuti soprattutto alla difficoltà di raccordare le diverse norme sull’autocertificazione, ormai contenute in un gran numero di leggi e di regolamenti diversi. Per questo si è proceduto alla redazione del t.u. n. 445/2000, che a tutt’oggi – dopo le modifiche e le abrogazioni previste dal successivo d.lgs. 7.3.2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) – raccoglie tutte le disposizioni vigenti in materia di semplificazione della documentazione amministrativa e di autocertificazione. Le novità entrate in vigore nel 2012 rappresentano le modifiche più importanti finora introdotte in tema di certezze pubbliche nell’impianto originale del testo unico.
È da notare come nel percorso ora sinteticamente richiamato si presentino in modo ricorsivo e costante alcuni interventi concatenati. Il rilievo da parte di cittadini di imprese dell’eccessiva complicazione del sistema di circolazione delle certezze pubbliche viene infatti seguito dall’intervento del legislatore volto ad introdurre degli strumenti di semplificazione, a cui si contrappongono le difficoltà, le resistenze e i ritardi dell’amministrazione nell’applicazione di questi strumenti, che fanno emergere di nuovo il rilievo delle complicazioni esistenti e determinano un altro intervento del legislatore che «rilancia» e introduce nuovi strumenti di semplificazione. Ne deriva una continua rincorsa che in questi quarant’anni ha sicuramente dato dei risultati positivi, ma ha anche contribuito con cadenza periodica a introdurre problemi applicativi e operativi per tutti i soggetti interessati dal funzionamento del sistema delle certezze pubbliche. Anche la cd. «decertificazione» introdotta con le previsioni dell’art. 40, co. 01 e 02, d.P.R. n. 445/2000 si inserisce pienamente in questo schema, aprendo diverse questioni significative.
Il nuovo art. 40 d.P.R. n. 445/2000 viene a creare una tensione tra, da un lato, la persistente e fondamentale esigenza delle amministrazioni procedenti di disporre di dati certi per lo svolgimento delle proprie procedure e, dall’altro, il venir meno della possibilità di utilizzare lo strumento tipico predisposto dall’ordinamento per soddisfare questa esigenza, cioè appunto il certificato che, non va dimenticato, non è previsto dall’ordinamento come una sorta di strumento di complicazione per la vita dei privati, ma come atto di certezza utile al fine di partecipare a tutti coloro che ne necessitano i dati certi di cui l’amministrazione certificante istituzionalmente dispone2.
L’obiettivo delle nuove disposizioni è chiaro: esse mirano a eliminare alla radice la possibilità che le amministrazioni facciano gravare sul privato l’onere di assicurare la circolazione delle certezze pubbliche, inducendolo a operare la richiesta e la successiva presentazione del certificato. Come si è detto, già le precedenti previsioni del d.P.R. n. 445/2000 vietavano alle amministrazioni la richiesta di certificati al privato, ma non impedivano che questa avvenisse spontaneamente da parte dei soggetti interessati, perché ritenuta dagli stessi più semplice o più «sicura», consentendo così talora il formarsi di prassi elusive del divieto. Con le previsioni dei primi due commi dell’art. 40 si è voluto andare oltre e impedire quest’ultima evenienza, prevedendo che in nessun caso l’amministrazione possa utilizzare un certificato prodotto da un’altra amministrazione, neanche qualora questo venga presentato dal privato di propria iniziativa.
Si tratta di un passaggio delicato, di cui occorre comprendere esattamente la portata. Non si deve dimenticare, in particolare, che la possibilità di avvalersi di un sistema di certezze pubbliche, basato anche su atti amministrativi di certezza, è sempre stata e rimane tuttora fondamentale negli ordinamenti giuridici moderni. La disponibilità di queste certezze è infatti imprescindibile per la sicurezza e per la riduzione della complessità dei rapporti economici e sociali, in sé e nella loro proiezione giuridica, perché consente di escludere dalla possibilità di contestazione almeno alcuni dei dati relativi ai soggetti in essi coinvolti3 e dunque sottrae alla dinamica contingente del confronto fra interessi tutta una serie di informazioni che, se venissero messe continuamente in discussione, rischierebbero di creare «…insormontabili intralci alla vita della comunità»4. In questo senso, la presenza di un sistema di soggetti e di atti pubblici specificamente deputato alla creazione, alla conservazione e alla trasmissione delle certezze giuridiche non può in nessun modo essere messa in discussione, pena l’aumento, che può diventare ingovernabile, della complessità dei rapporti giuridici.
I problemi derivano dal fatto che questo sistema di certezze è stato tradizionalmente centrato in modo esclusivo sull’intervento unilaterale del potere pubblico5, non solo nella parte in cui si tratta di esercitare un potere certificativo al fine di assicurare la certezza dei dati attraverso l’attribuzione ad essi di una qualificazione che tutti i soggetti dell’ordinamento devono obbligatoriamente riconoscere come tale6, ma anche nella parte in cui si determinano le caratteristiche degli atti idonei a creare a far circolare la certezza, che vengono configurati secondo forme pubbliche solenni, da privilegiare anche quando tale solennità va a scapito della semplicità dell’attività in cui gli stessi sono utilizzati. In questa prospettiva all’amministrazione spetta il ruolo di dominus ed al cittadino quello di mero destinatario passivo nel sistema di produzione e circolazione della documentazione amministrativa e delle certezze pubbliche, sul quale gravano appunto gli oneri del funzionamento di tale sistema.
È proprio per superare questa impostazione che la normativa ora raccolta nel t.u. n. 445/2000 ha cercato non tanto di mettere in discussione il ruolo dell’amministrazione pubblica come perno del sistema delle certezze pubbliche, quanto piuttosto di operare un migliore bilanciamento fra l’irrinunciabile esigenza di certezza pubblica e l’esigenze di semplicità dell’attività amministrativa e di miglioramento del rapporto fra amministrazione e cittadini. Dapprima, si è cercato di ridurre gli oneri posti a carico del privato nel sistema di produzione e circolazione delle certezze pubbliche. Ciò è avvenuto, da un lato, consentendo allo stesso privato, attraverso il ricorso ad istituti come l’autocertificazione, di assumere un ruolo attivo nei procedimenti volti alla produzione ed alla circolazione delle certezze giuridiche e, dall’altro, imponendo all’amministrazione di sgravare cittadini ed imprese dai suddetti oneri, procedendo alla loro eliminazione o assumendoli su di sé, attraverso l’accertamento d’ufficio7. Poi, si è cercato di semplificare le modalità di redazione dei documenti amministrativi, riducendo il rilievo dei profili formali e mirando a rendere possibile anche l’utilizzo delle nuove tecnologie per la loro formazione e la loro trasmissione8. Dato però che questi passaggi venivano attuati dalle amministrazioni con grande lentezza, il legislatore è ora intervenuto in maniera drastica su uno dei gangli fondamentali del sistema tradizionale, arrivando a negare la possibilità di rilasciare certificati validi nei confronti di altre amministrazioni. È chiaro però che tale intervento non è assolutamente da ritenersi inteso ad affermare l’attenuazione dell’esigenza di certezza, bensì solo a rafforzare l’uso degli strumenti alternativi al certificato per la circolazione di quest’ultima, al fine di semplificare l’azione amministrativa e migliorare il rapporto fra amministrazioni e privati.
Si deve quindi evitare il rischio che il divieto di utilizzo di certificati da parte delle amministrazioni pubbliche possa in qualche modo compromettere la possibilità delle stesse di accedere rapidamente e in modo efficace al sistema delle certezze pubbliche. Deve cioè essere chiaro che il suddetto divieto sancisce soltanto la definitiva dequotazione di uno strumento di circolazione della certezza, ma al tempo stesso impone l’attivazione delle amministrazioni interessate – sia procedenti, che certificanti – per l’utilizzo di altri strumenti finalizzati allo stesso scopo, ma più compatibili con le esigenze di semplificazione e di collaborazione con i cittadini. Si tratta quindi non tanto di eliminare i certificati, ma di sostituirli con altre procedure e con altri atti di certezza, che siano meno onerosi e complicati dei primi nel loro utilizzo.
Chiarito dunque come il punto focale delle modifiche introdotte al d.P.R. n. 445/2000 non sta nel divieto del rilascio di certificati da utilizzare presso le amministrazioni pubbliche, ma nell’imposizione a queste ultime dell’obbligo di attivarsi concretamente per rendere operativi gli strumenti di acquisizione e trasmissione della certezza già previsti dalla normativa vigente in alternativa al certificato, occorre ora cercare di individuare i principali problemi aperti dalle novità normative che si stanno esaminando.
Prima di tutto, si pone l’esigenza di capire qual è l’effettiva portata del divieto introdotto dall’art. 40 d.P.R. n. 445/2000, definendo con precisione la sua estensione soggettiva e oggettiva. Sotto il primo profilo, è da sottolineare che il divieto si riferisce alla produzione di certificati nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi per i quali trova applicazione il d.P.R. n. 445/2000. Esso riguarda dunque le amministrazioni pubbliche italiane e non, ad esempio, gli uffici giudiziari nell’esercizio di attività giurisdizionale, oppure le amministrazioni di Stati esteri, verso le quali invece il certificato può essere rilasciato con la dicitura «Ai sensi dell’art. 40 del d.P.R. n. 445/2000 il presente certificato è rilasciato solo per l’estero»9.
Sotto il secondo profilo, invece, occorre tener presente che la norma si applica solo al rilascio degli atti qualificabili come «certificato», ovvero in base alla definizione dell’art. 1, co. 1, lett. f), come «…documento rilasciato da una amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche». Da tale disposizione normativa risulta che devono essere considerati certificati gli atti derivanti da procedimenti di certazione, ovvero rivolti a creare delle qualificazioni giuridiche, come appunto l’iscrizione nei registri pubblici, oppure da procedimenti di accertamento, ovvero rivolti ad attribuire qualità giuridiche ad entità giuridiche già esistenti, come ad esempio gli esami scolastici o di concorso. Non sono invece riconducibili alla definizione di certificato gli atti di semplice acclaramento, ovvero quelli in cui l’amministrazione si limita ad attestare la mera esistenza di dati fattuali del mondo reale, come ad esempio la dichiarazione del fatto della presenza di un soggetto ad una visita medica, a un convegno oppure a un esame. Per capire quando le disposizioni dell’art. 40, co. 01 e 02, trovano applicazione, dunque, occorre prima di tutto chiarire se il documento richiesto sia in senso stretto un certificato, oppure no10.
Una volta appurato che il documento richiesto sia un certificato, va tenuto presente che per l’amministrazione certificante non si pone la possibilità di rilasciarlo o meno: la funzione propria di tale amministrazione prevede sempre come necessario il rilascio del certificato e per essa si profila dunque soltanto l’obbligo di inserire la dicitura di cui all’art. 40, co. 02, a pena di nullità del certificato stesso. Il problema che si pone è un altro, ovvero quello di capire quali obblighi debbano essere osservati dall’amministrazione certificante nei confronti delle amministrazioni procedenti, che non possono più essere destinatarie di certificati ma mantengono evidentemente inalterata la propria esigenza di acquisire certezze pubbliche nello svolgimento delle proprie procedure. Sotto questo profilo assumono particolare rilevanza le previsioni introdotte dalla modifica dell’art. 72 d.P.R. n. 445/2000, da cui emerge chiaramente come il ruolo dell’amministrazione certificante nei confronti delle amministrazioni procedenti si sposti dall’attività di rilascio dei certificati all’approntamento e all’utilizzo di un’apposita unità organizzativa responsabile per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l’accesso diretto agli stessi da parte di queste ultime. Ciò richiede una significativa revisione nell’organizzazione delle amministrazioni certificanti, idonea a rendere più rapido ed efficace lo scambio di dati necessario ai fini dell’accertamento d’ufficio o del controllo sulle autocertificazioni.
Si ritorna quindi a quella che è la questione di fondo introdotta dalle modifiche del d.P.R. n. 445/2000, ovvero il passaggio all’accertamento d’ufficio come modalità ordinaria e prevalente per l’acquisizione delle certezze da parte delle amministrazioni pubbliche. Si tratta di uno strumento di importanza fondamentale, che semplifica nella misura più ampia, fino praticamente ad eliminarli, gli adempimenti di cui il cittadino deve farsi carico nella produzione all’amministrazione di dati certi, assicurando al contempo a quest’ultima la piena attendibilità dei dati acquisiti11. Come si è detto, questo strumento non è nuovo, essendo stato previsto già dalla l. n. 15/1968, ma per lungo tempo la sua applicazione non è stata possibile a causa di notevoli difficoltà di tipo organizzativo e tecnico. Tali difficoltà hanno poi cominciato ad essere rimosse, almeno sul piano normativo, dall’emanazione di norme rivolte a sancire l’obbligo di comunicazione interna ed esterna delle amministrazioni e di interconnessione anche informatica delle stesse (artt. 1, 2 e 3 d.lgs. 12.12.1993, n. 39; art. 2 d.lgs. 30.3.2001, n. 165); dalla previsione delle possibilità di utilizzo del fax e del documento informatico, secondo le modalità definite dallo stesso d.P.R. n. 445/2000; e soprattutto dall’adozione del Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005), che prevede il definitivo passaggio delle amministrazioni pubbliche dall’utilizzo dei documenti cartacei e dei relativi mezzi di trasmissione a quello dei documenti informatici e dei mezzi di comunicazione informatica, con le enormi potenzialità di semplificazione che questo passaggio porta con sé.
L’applicazione dell’art. 40, co. 01 e 02, dunque, deve avvenire tenendo conto del combinato disposto delle previsioni dello stesso d.P.R. n. 445/2000 e del d.lgs. n. 82/2005 che, da un lato, rendono possibile la trasmissione delle certezze pubbliche dall’amministrazione certificante all’amministrazione procedente senza l’utilizzo del certificato e anche per via elettronica e, dall’altro, prevedono l’attivazione di collegamenti fra le banche dati delle amministrazioni interessate al fine di favorire e accelerare la comunicazione delle informazioni necessarie per la circolazione delle certezze pubbliche.
Sotto il primo profilo, che si può definire come quello dell’accertamento indiretto da parte dell’amministrazione procedente, è da rilevare come l’art. 43, co. 5, d.P.R. n. 445/2000 continui a prevedere che ai fini dell’accertamento d’ufficio il rilascio e l’acquisizione del certificato non sono necessari e le informazioni che l’amministrazione procedente deve ottenere da quella certificante possono essere acquisite, senza oneri, con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza. L’accertamento dei dati è dunque possibile anche per fax e per via telematica, in base a quanto previsto espressamente previsto dall’art. 43, co. 3, d.P.R. n. 445/2000, e dagli artt. 45, 47 e 48 d.lgs. n. 82/2005. Per la trasmissione delle certezze pubbliche tra amministrazioni, dunque, i certificati possono ora sicuramente essere sostituiti da altri documenti che le amministrazioni interessate si possono scambiare con comunicazioni operate mediante l’utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa, che sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza. Per l’accertamento d’ufficio diventa così possibile il ricorso massiccio alla posta elettronica, anche diversa da quella certificata, a condizione che sia soddisfatto uno degli altri requisiti di cui al co. 2 del citato art. 47, ovvero la presenza della firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata, della segnatura di protocollo, o di altro mezzo idoneo a farne accertare la provenienza.
Sotto il secondo profilo, invece, che si può definire come quello dell’accertamento diretto dei dati da parte dell’amministrazione procedente, occorre tener presente che al divieto di rilasciare i certificati per altre pubbliche amministrazioni corrisponde l’obbligo delle amministrazioni certificanti, previsto dall’art. 43, co. 4, dello stesso d.P.R. n. 445/2000, di consentire alle amministrazioni procedenti, senza oneri, la consultazione per via telematica dei loro archivi informatici, proprio al fine di agevolare l’acquisizione d’ufficio di informazioni e dati relativi a stati, qualità personali e fatti, contenuti in albi, elenchi o pubblici registri. Tale previsione è poi stata ampiamente ripresa e sviluppata dal Codice dell’amministrazione digitale, che all’art. 50, co. 2, d.lgs. n. 82/2005, prevede che, salve le eccezioni previste dalla legge «… qualunque dato trattato da una pubblica amministrazione … è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l’utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’amministrazione richiedente, senza oneri a carico di quest’ultima», e all’art. 58, co. 2, proprio «al fine di agevolare l’acquisizione d’ufficio ed il controllo sulle dichiarazioni sostitutive», le amministrazioni titolari di banche dati accessibili per via telematica predispongono, sulla base delle linee guida già redatte da DigitPA, apposite convenzioni aperte all’adesione di tutte le amministrazioni interessate volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati da parte delle stesse amministrazioni procedenti, senza oneri a loro carico.
Sembra quindi possibile concludere osservando come le novità introdotte dalle modifiche dell’art. 40, commi 01 e 02, d.P.R. n. 445/2000, pur avendo destato la maggior parte delle preoccupazioni applicative in ordine alle modalità di rilascio dei certificati da parte delle amministrazioni interessate, richiedono in realtà di essere affrontate con lo sguardo rivolto in modo prevalente alla creazione delle misure organizzative necessarie per modificare le modalità di circolazione delle certezze pubbliche fra amministrazioni, nel senso del potenziamento dell’accertamento d’ufficio e tenendo conto delle potenzialità dell’amministrazione digitale12. Solo così si allenterà la continua tensione fra l’esigenza di certezza e quella di semplificazione e si potrà esaurire la continua rincorsa fra gli slanci del legislatore e le resistenze dell’amministrazione che ha caratterizzato la legislazione in tema di certezze pubbliche degli ultimi quarant’anni.
1 Sono le parole della circ. Funz. pubb. 21.10.1968, n. 778/8/8/1, che dà indicazioni sulle modalità di applicazione della l. 4.1.1968, n. 15, ma che anticipano con chiarezza gli obiettivi della legislazione in materia di semplificazione adottata a più riprese a partire dal 1990.
2 Giannini, M.S., Diritto amministrativo, vol. II, II ed., Milano, 1988, 939 ss.
3 Su questo punto si veda in particolare Giannini, M.S., Certezza pubblica, in Enc. dir., VI, 1960, 769 ss.; e Giannini, M.S., Diritto amministrativo, vol. II, III ed., Milano, 1993, 471 ss.
4 L’espressione è di Falzea, A., Accertamento. Teoria generale, in Enc. dir., I, 1958, 209.
5 Si fa riferimento sia all’intervento diretto dei poteri pubblici, attraverso appositi apparati amministrativi, sia all’intervento indiretto, operato attraverso privati che esercitano funzioni pubbliche, come ad esempio i notai.
6 Sulle modalità e sugli effetti dell’intervento dei poteri pubblici nella produzione delle certezze giuridiche si vedano in particolare Giannini, M.S., Certezza pubblica, cit., 773; Sala, G., Certificati e attestati, in Dig. pubb., 1987, II, 537; Arena, G., Certezze pubbliche e semplificazione amministrativa, in Arena, G.-Bombardelli, M.-Guerra, M.P.-Masucci, A., a cura di, La documentazione amministrativa: certezze, semplificazione e informatizzazione nel d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Rimini, 2001, 11 ss. Si veda inoltre Cerulli Irelli, V., Lineamenti del diritto amministrativo, II ed., Torino, 2010, 327 e 450 ss.
7 Sulla normativa in materia di autocertificazione sia consentito rinviare a Bombardelli, M., La semplificazione della documentazione amministrativa: strumenti e tecniche, in Arena, G.-Bombardelli, M.-Guerra, M.P.-Masucci, A., a cura di, La documentazione amministrativa, cit., 75 ss.
8 Secondo il disegno di progressiva realizzazione dell’amministrazione digitale, ora chiaramente delineato dalle disposizioni del d.lgs. n. 82/2005, per un quadro riassuntivo delle quali si veda Duni, G., L’amministrazione digitale: il diritto amministrativo nella evoluzione telematica, Milano, 2008.
9 Si veda in tal senso la circ. Min. per la p. a. del 21.5.2012, n. 5.
10 È significativo ad esempio che la circ. Min. per la p. a. del 31.5.2012, n. 6 abbia chiarito come il Durc sia da considerare a pieno titolo un certificato, anche perché riconducibile alla definizione dell’art. 1, co. 1, lett. f), t.u. n. 445/2000.
11 Come efficacemente era stato osservato già nella circ. Funz. pubb. n. 87923/18.10.3/92, l’acquisizione di ufficio dei certificati è particolarmente utile nel perseguimento dell’obiettivo di «… affrancare i cittadini e le imprese dall’onere di partecipare alla fase istruttoria del procedimento amministrativo ed al suo successivo sviluppo se non in ipotesi di reale interesse dei medesimi …».
12 Il che peraltro avviene anche nell’ambito di importanti normative di specie, come ad esempio con l’introduzione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, operata dall’art. 96, d.lgs. 6.9.2011, n. 159, oppure della Banca nazionale dei contratti pubblici, operata dal nuovo art. 6 bis, d.lgs. 12.4.2006, n. 163.