Giovenale, Decimo Giunio
Poeta satirico latino, nato ad Aquino nel 55 d.C. circa e morto a Roma dopo il 127. Amato nel Medioevo cristiano per il suo ruvido moralismo, G., autore di sedici satire sarcastiche e aggressive, conosce un nuovo interesse in età umanistica: all’editio princeps di Ulrich Han (Roma, poco prima del 1470) seguono diverse edizioni, alcune commentate (per es., quella a cura di Domizio Calderini, 1475, con continue ristampe), tra le quali emerge quella di Giorgio Valla (1486), contenente estratti da un commento antico non pervenuto. Si deve al veronese Giorgio Sommariva (1480) la prima traduzione italiana delle Satire, in terza rima.
G. è senz’altro tra i poeti antichi che M. «conobbe assai bene» (Sasso 1997, p. 376). Un’eco e una citazione si possono trovare in Discorsi II xix 29, dove si tratta del pericolo insito nell’acquisto di territori in cui si era abituati a vivere nel lusso:
E Iuvenale non potrebbe meglio nelle sue Satire avere considerata questa parte dicendo che ne’ petti romani, per gli acquisti delle terre peregrine, erano entrati i costumi peregrini [i peregrinos mores, introdotti dall’eccesso di ricchezza secondo Sat. 6, v. 298], ed in cambio di parsimonia e d’altre eccellentissime virtù, gula et luxuria incubuit, victumque ulciscitur orbem [la gola e la lussuria hanno preso piede, e vendicano il mondo da noi sconfitto] (Satire 6, v. 293: M. aggiunge gula et, forse spinto dai riferimenti, prossimi al verso citato, a vino e ostriche).
Anche in II xxiv 11, nel capitolo che tratta delle fortezze e a proposito delle reazioni dei popoli conquistati, M. cita G., più esattamente Satire 8, v. 124 («Perché se tu gl’impoverisci, spoliatis arma supersunt [a coloro che sono stati spogliati resta sempre qualche arma]»), dove il poeta latino metteva in guardia i Romani, ormai ricchissimi, ma privi di virtus, dall’offendere i popoli poveri, ma forti. Ancora una menzione di G. si ritrova in III vi 23-24:
Né può da questo omore alcuno tiranno guardarsi, se non con diporre la tirannide. E perché non si truova alcuno che faccia questo, si truova pochi che non capitino male; donde nacque quel verso di Iuvenale: Ad generum Cereris sine caede et vulnere pauci / descendunt reges et sicca morte tyranni [Presso il genero di Cerere, nell’oltretomba, pochi sovrani scendono senza essere feriti e uccisi, pochi tiranni con morte incruenta].
All’interno dell’argomento secondo cui molte congiure sono provocate dal desiderio di liberare la patria, la lapidaria citazione tratta dalle Satire (10, vv. 112-13) conclude il riferimento ai tiranni, «occupatori della patria loro».
Infine, nella Mandragola I ii lo scambio ‘carrucola/Verrucola’, che mette in risalto la dabbenaggine di Nicia beffato, come ‘cornuto’, da Ligurio, deriva probabilmente da curuca di Satire 6, v. 276 (dove la tradizione manoscritta è incerta tra curuca e uruca [bruco, in quanto cornuto]); il termine è già in Luigi Pulci, Morgante XIV lx 8. Sull’intricata questione è imprescindibile ciò che scrive Gennaro Sasso (1988, pp. 123-28).
Bibliografia: Fonti: A. Persi Flacci et D. Iuni Juvenalis Saturae, ed. W.V. Clausen, Oxford 1959, 1992.
Per gli studi critici si vedano: G. Highet, Juvenal the satirist, Oxford 1954; G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° e 4° vol., Milano-Napoli 1988 e 1997.