DECLAMAZIONE (lat. declamatio)
In origine le declamazioni furono esercizî pratici consistenti nel recitare ad alta voce discorsi preparati con riguardo particolare all'actio e intesi ad abituare i giovani a parlare in pubblico: in seguito, esercitazioni scolastiche in genere, preparatorie all'arte dell'eloquenza. Quando poi questa, con la perdita della libertà, si ritirò dalla vita pubblica e la scuola costituì il campo quasi esclusivo dell'attività oratoria, le declamazioni nel senso ciceroniano (Cic., de or., I, 149) di esercitazioni su temi stabiliti, aventi somiglianza con le cause che si solevano trattare nel foro, in modo che corrispondessero quanto era possibile alla realtà, degenerarono in orazioni artificiose su immaginarî casi giuridici (controversiae) o sopra supposte deliberazioni da prendere (suasoriae) e, sostituendosi all'oratoria dei tribunali e delle assemblee, mirarono a ottenere non più la persuasione con la probatio, ma l'applauso degli uditori con la iactatio, la ostentatio d'uno stile enfatico e lezioso, di frasi ad effetto, d'ogni specie d'ornamento figurato (v. Sen., Oratorum et rhetorum sententiae divisiones colores, le due raccolte di declamazioni pseudoquintilianee, il corpus dei decem rhetores minores di Calpurnio Flacco).
Bibl.: H. Bornecque, Les déclamations et les déclamateurs d'après Sénèque le père, Lilla 1902; V. Cucheval, Histoire de l'éloquence romaine depuis la mort de Cicéron jusqu'à l'avénement de l'empereur Hadrien, I, Parigi 1893, p. 95 segg.; Ed. Norden, Die antike Kunstprosa, 3ª ed., I, Lipsia e Berlino 1909, p. 273 segg.; H. Tivier, De arte declamandi et de Romanis declamatoribus qui priore p. Chr. saeculo floruerunt, Parigi 1868; F. A. Aulard, L'éloquence et les déclamations sous les premiers Césars, Montpellier 1879.
Declamazione musicale. - Riferendoci alla prosa o alla poesia noi usiamo dire declamazione quel modo di recitare per cui l'una o l'altra acquistano nel tempo (cioè nella durata di periodi, parole e sillabe) e nel suono (cioè nell'elevazione e intensità della voce) un rilievo superiore alla necessità dell'espressione (v. recitazione).
Ma se la declamazione, ora più ora meno, è stata quasi sempre considerata come contraria alla naturalezza d'espressione della commedia e del dramma in prosa, è stata invece quasi sempre considerata - ed è tuttora da molti - come del tutto giustificabile per l'espressione della poesia in genere, e specialmente nella tragedia in versi e nell'opera musicale teatrale. Di vera e propria declamazione, e di vero e proprio stile declamatorio, si può parlare meglio se si guarda alla musica teatrale francese che non a quella italiana e a quella tedesca. È noto che G. B. Lulli andava a udir recitare le tragedie di Racine dalla Champmeslé, attrice celebrata, perché quella declamazione gli suggerisse ritmo e intonazione della parte vocale delle sue opere di teatro; e ognuno sa che la declamazione musicale del Rameau, e dello stesso Gluck, e poi del Grétry e dei minori, derivò direttamente da quella del Lulli.
Assai più raramente sono caduti i maestri dell'opera italiana nella vana magniloquenza dello stile declamatorio (più facilmente, se mai, vi son caduti alcuni autori di cantate, e anche Benedetto Marcello nei Salmi). Non potevano cadervi, s'intende, col recitativo secco - espressione vicinissima, salvo la determinazione dell'intonazione musicale - al parlare ordinario; né potevano cadervi con l'aria, che nel suo svolgimento, cioè dall'intonazione della prima strofa sino all'ultima ripetizione strofica, ha sempre avuto, nelle opere dei nostri maestri maggiori, una ragione d'essere puramente musicale, indipendente dalle parole. Ma anche se si guarda al recitativo accompagnato, è raro che i maestri italiani abbiano realmente declamato. Passi di declamazione vera e propria se ne troveranno più frequentemente nelle opere di Spontini (non per nulla egli visse per tanti anni a Parigi e scrisse su testi francesi) e più ancora, forse (valgano le stesse ragioni) in quelle di Cherubini. Ma pochi se ne troveranno in Rossini, pochissimi nelle opere di Bellini e di Donizetti, e non molti neanche in quelle di Verdi. Maestri questi ultimi, che dall'errore di una facile e sterile ars oratoria, quale è appunto la declamazione, furono salvati, oltre che dall'essere - in quanto italiani, e di origine popolaresca - naturalmente poco portati all'inutile retorica, anche dal loro istinto semplicemente e schiettamente drammatico. Riguardo ai caratteri e al valore espressivo del recitativo e delle espressioni più propriamente liriche, v. musica; opera; recitativo, e le voci sui singoli compositori.
Bibl.: F. Algarotti, Saggio sopra l'opera in musica, Venezia 1762 (e v. le prefazioni notissime e le lettere dei primi monodisti e operisti italiani, e quelle di Gluck; e poi lettere di questi e di altri maestri); Mathis-Lussy, Traité de l'expression musicale, Parigi 1874; E. Landry, La théorie du rythme et le rythme du français déclamé, Parigi 1911.