Decreto di citazione a giudizio e avviso di accertamento dell’Inps
La Corte di Cassazione, intervenuta a Sezioni Unite con la pronuncia 24.11.2011, n. 1855, ha risolto il contrasto in precedenza formatosi sulla possibilità di equiparare, con riferimento al reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali di cui all’art. 2, co. 1-bis, d.l. n. 12.09.1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella l. 11.11.1983, n. 638, la notifica del decreto di citazione a giudizio alla notifica dell’avviso di accertamento della violazione da parte dell’ente previdenziale, in tal modo potendo decorrere, anche in mancanza di tale ultimo atto, il termine di tre mesi che la stessa norma concede al datore di lavoro per provvedere al versamento in precedenza omesso e potere, così, fruire, della causa di non punibilità relativa. La Corte ha, in particolare, riconosciuto detta equipollenza a condizione che, alla pari, del resto, di qualsiasi atto processuale indirizzato all’imputato, il decreto di citazione contenga gli elementi essenziali dell’avviso.
L’art. 2 della l. 11.11.1983, n. 638, come modificato dall’art. 1 d.lgs. 24.3.1994, n. 211, nel prevedere, al co. 1-bis, come illecito penale la condotta di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali da parte del datore di lavoro, stabilisce che il datore di lavoro inadempiente non sia punibile ove provveda al predetto versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione; lo stesso articolo dispone, inoltre, al co. 1-ter, che la denuncia di reato sia presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al co. 1-bis, ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto, e che ad essa sia allegata l’attestazione delle somme eventualmente versate. Tale, dunque, l’assetto della disposizione, può sicuramente affermarsi che il versamento nel termine di tre mesi dalla notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Istituto previdenziale venga ad integrare una causa di non punibilità di un reato già, evidentemente, perfezionatosi per effetto dell’originaria inadempienza. Di qui la rilevanza della problematica rappresentata dalle possibili conseguenze della mancanza della notifica dell’avviso di accertamento in oggetto. La problematica parrebbe vieppiù acuita per il fatto che la disposizione in oggetto non prevede altri atti che, al pari del predetto avviso, facciano utilmente decorrere il termine stesso.
In tale contesto, non uniforme è dunque stata la interpretazione della Corte di cassazione con riguardo alla possibilità che il decreto di citazione faccia le “veci” dell’avviso di accertamento ove quest’ultimo non sia mai stato emesso ovvero non sia stato regolarmente notificato al datore di lavoro. Una prima lettura, sicuramente prevalente, aveva ritenuto che, nel caso in cui non risultasse certa la contestazione o la notifica dell’avvenuto accertamento delle violazioni, il termine di tre mesi previsto dalla legge ben potesse decorrere dalla data di notifica del decreto di citazione per il giudizio, sicché, qualora detto termine non fosse decorso al momento delle celebrazione del dibattimento, era consentito all’imputato chiedere al giudice un differimento dello stesso al fine di provvedere all’adempimento (Cass. pen., 14.6.2011, n. 29616; Cass. pen., 28.9.2004, n. 41277); si era infatti chiarito come l’iter scandito dalla legge (ovvero il decorso, dal momento della contestazione o della notifica del decreto di citazione a giudizio, del termine di tre mesi per provvedere alla regolarizzazione dei versamenti) non rappresentasse una condizione di procedibilità dell’azione penale, venendo invece unicamente indicato il limite temporale ultimo per la trasmissione della notitia criminis all’autorità giudiziaria, sì che nessuna conseguenza poteva connettersi all’invalidità della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione da parte dell’Inps (Cass. pen., 16.5.2007, n. 27258; Cass. pen., 25.9.2007, n. 38501). Si era aggiunto, ancora, che un’interpretazione in senso contrario non poteva trovare riscontro né nel dato letterale della norma né nella consolidata giurisprudenza secondo cui il decorso del termine di tre mesi per provvedere alla regolarizzazione, previsto dall’art. 2, co. 1-bis e 1-ter, d.l. n. 463/1983, non rappresentava una condizione di procedibilità dell’azione penale (Cass. pen., 7.7.2009, n. 36331). Una seconda lettura aveva invece sostenuto che la contestazione o la notifica dell’avvenuto accertamento delle violazioni, quale momento di inizio del decorso del termine di tre mesi concesso per provvedere al versamento dovuto, rendendo operante la causa di non punibilità prevista dall’art. 2, co. 1-bis, cit., non poteva essere validamente surrogata dalla notifica del decreto di citazione a giudizio (Cass. pen., 4.4.2006, n. 19212); e ciò perché, se il pagamento delle somme dovute entro il termine di tre mesi si configurava come una causa di non punibilità per il reato già perfezionato, l’effettuazione di una valida contestazione o di una valida notifica dell’accertamento della violazione ed il successivo decorso del termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica senza il versamento delle somme dovute si configuravano invece come una condizione di procedibilità dell’azione penale; di qui, la conclusione che, in mancanza della contestazione o della notifica dell’accertamento della violazione ed in mancanza del decorso del termine di tre mesi, l’azione penale non poteva essere iniziata con la conseguenza che nemmeno poteva essere emesso un valido decreto di citazione a giudizio. La contraria opzione, si era poi aggiunto (Cass. pen., 5.8.2008, n. 44542), da un lato non aveva un sicuro fondamento normativo e, dall’altro, avrebbe potuto produrre l’effetto di vanificare l’obbligo di notificazione legislativamente imposto all’ente accertatore, in tal modo ponendosi anche in contrasto con la ratio e le finalità della disciplina, improntate a stabilire un preciso obbligo dell’istituto previdenziale e degli organi di vigilanza di effettuare, in caso di mancata contestazione, la notifica dell’accertamento e di non trasmettere la denunzia di reato prima del decorso del termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento; aderendo, dunque, all’impostazione opposta, un tale obbligo sarebbe stato trasformato in una mera facoltà, non ancorata ad alcun criterio normativamente predeterminato e dipendente in definitiva dalla discrezionalità e dalla diligenza dei singoli soggetti ed uffici accertatori. Il contrasto così formatosi è stato, dunque, risolto dalle Sezioni Unite, con la sentenza 24.11.2011, n. 1855, nel segno del primo indirizzo, sia pure con un temperamento del tutto consequenziale, a ben vedere, all’equipollenza affermata tra atto amministrativo ed atto processuale. Si è infatti affermato essere il decreto di citazione a giudizio equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se lo stesso contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, dalla indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e dall’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità.
La pronuncia delle Sezioni Unite non pare tuttavia dissolvere del tutto gli aspetti problematici, principalmente legati al rispetto del principio di legalità, già segnalati dall’indirizzo rimasto minoritario. Se a leggere la sentenza pare potersi affermare che la Corte ha ritenuto in qualche modo la soluzione adottata come imposta per ovviare alle situazioni in cui l’azione penale sia esercitata prima che l’imputato sia stato posto in condizione di fruire della causa di non punibilità sia per l’omessa contestazione sia per l’omessa o irregolare notificazione dell’accertamento della violazione, rimane tuttavia difficilmente contestabile l’obiezione di un assetto della norma che appare testualmente incentrato sulla sola contestazione o notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, senza che appaia prevista la possibilità di equiparare ad esso altri atti, per di più processuali. É la stessa equipollenza in tal modo affermata, del resto, ad imporre, ove sia mancato l’avviso di accertamento, l’adozione di un decreto di citazione che finisce per essere singolarmente caratterizzato da requisiti, quali quello dell’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, della indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e dell’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità, di per sé non confacenti ad un atto processuale la cui funzione è, fisiologicamente, unicamente quella di contestazione dell’illecito penale.