DEDICAZIONE (lat. dedicatio)
È la cerimonia mediante la quale una chiesa viene destinata al culto. Per i primi tre secoli del cristianesimo non abbiamo testimonianze: dapprima i cristiani celebravano le loro adunanze e il sacrifizio della messa nelle case private e talora nella basilica domestica, grande aula di cui erano fornite molte case patrizie, altre volte sulle tombe dei martiri nel loro anniversario, e durante le persecuzioni a Roma, nelle catacombe. Concessa da Costantino la pace alla Chiesa (313), cominciò la costruzione delle basiliche e chiese, e la loro dedicazione consisteva principalmente nella messa, preceduta e seguita da discorsi tenuti dai vescovi sul culto divino, e in elogio del fondatore della basilica: S. Ambrogio accenna pure ad aspersioni con acqua henedetta usate in queste occasioni e con tali espressioni da far supporre essere ciò consuetudine antica. Ben presto, allo scopo di rendere più venerande le basiliche e onorare di più i santi, i cui corpi erano seppelliti fuori città, si cominciarono a trasferire sotto gli altari delle nuove chiese le loro reliquie, e allora la parte più solenne della dedicazione delle basiliche furono le trionfali processioni con le feste che ci hanno lasciate descritte S. Ambrogio (Ad Marcellinam, ep. I, 22), Sozomeno (Hist. eccl., VII, 21) e S. Girolamo (Contra Vigilantium, V): così la depositio martyrum si confuse con la dedicazione delle chiese, e divenne legge il riporre sotto gli altari le reliquie dei martiri. Altre cerimonie si aggiunsero in seguito: in Oriente specialmente l'unzione dell'altare col crisma, e in Occidente le lustrazioni con l'acqua benedetta. S. Gregorio Magno, dando istruzioni a S. Mellito, vescovo di Canterbury (Reg. epist., XI, 56), indica il modo come purificare i templi pagani per farne chiese cristiane, e parla delle abluzioni con acqua espressamente benedetta, in cui è anche sale, vino e cenere, acqua detta poi gregoriana, probabile imitazione del rito di Mosè in Esodo, XXIV, 6 segg. Altra cerimonia antica fu l'iscrizione sul pavimento dell'alfabeto greco e latino, cerimonia che proviene forse dall'antico uso romano di segnare con una grande X sulla terra lo spazio destinato alla costruzione di una nuova casa, e che avendo la forma di croce decussata e della prima lettera del nome Χριστός (Cristo), servì a indicare che Cristo prendeva possesso di quel luogo; il ricordo poi della frase dell'Apocalisse, XXII, 13 "io sono l'alfa e l'omega", suggerì l'idea di iscrivere nelle due linee della Χ l'alfabeto greco, cui più tardi si aggiunse quello latino, e in alcuni luoghi anche l'ebraico.
Propagandosi così e fondendosi gli usi orientali e quelli occidentali, si venne a stabilire quel complesso di riti che fanno oggi della dedicazione delle chiese una delle più solenni e significative cerimonie ecclesiastiche, riservata per la sua importanza ai vescovi fin dal sec. V. Le reliquie da deporre nella nuova chiesa, il giorno avanti alla dedicazione vengono riconosciute dal vescovo, chiuse col suo suggello e conservate in una cappella esterna: la notte, davanti ad essa, si fanno preghiere speciali. Il giorno fissato, il vescovo col suo clero comincia la funzione all'esterno della chiesa, e, facendo il giro tre volte attorno ad essa, ne asperge le mura; dopo varie preghiere entra nella chiesa col solo clero, e chiusane la porta, recita le litanie dei santi e scrive nel pavimento, sulla cenere, gli alfabeti latino e greco, poi asperge con l'acqua gregoriana l'altare sette volte, e tre volte le pareti interne della chiesa: tutte queste aspersioni sono unite a lunghe orazioni di origine assai antica. Quindi il vescovo col clero esce dalla chiesa, va alla cappella ove sono conservate le reliquie, e si forma la solenne processione con esse, cui prende parte il popolo. La processione fa il giro attorno alla nuova chiesa, cantando Kyrie eleison: quindi si ferma davanti alla porta, e ivi il vescovo tiene un discorso di circostanza. Consacrato poi col crisma il piccolo sepolcro dell'altare, il vescovo vi chiude dentro le reliquie, e allora si compiono le numerose unzioni dell'altare, durante canto di antifone e salmi. Consacrato l'altare, il vescovo consacra pure le pareti interne della chiesa, facendo su esse, o sulle colonne o sui pilastri, dodici unzioni col crisma. Pulito poi l'altare e rivestito dei suoi ornamenti, vi si celebra la messa solenne, e così ha fine la cerimonia.
Bibl.: J. Catalani, Pontificale romanum, nuova ed., Parigi 1850-53, voll. 3; F. Interlandi, La consacrazione delle chiese, suo concetto, sue cerimonie, Caltagirone 1913; P. De Puniet, i Dict. d'arch. chrétienne, IV, coll. 374-405.