DEFINIZIONE (gr. ὅρος o ὁρισμός; lat. definitio; fr. définition; sp. definición; ted. Bestimmung; ingl. definition)
Significa spiegazione d'un concetto (termine o parola con cui si designa) per mezzo di altri concetti (termini o parole) che si presumono noti. La definizione perfetta deve ridurre il definito ai termini per cui si definisce, avendo valore di eguaglianza, sicché già Aristotele enunciava la regola per verificarne l'esattezza: "porre la definizione al posto del definito" (Top., VII, 4). La definizione ha, per chi la usa, diverso valore se questi consideri il definito come un concetto che si costruisce arbitrariamente per mezzo dei termini dati, ovvero come un oggetto o ente che si pone in relazione con altri oggetti o enti, dati egualmente fuori di noi (in un mondo sensibile o intelligibile). Nel primo caso si ha la cosiddetta definizione di parola o nominale (quid nominis), nel secondo la definizione di cosa o reale (quid rei). La distinzione viene posta soltanto dagli scolastici, con Occam. Nei filosofi greci della scuola socratica si considera sempre la definizione di cose, e Aristotele accenna alle definizioni di nome come a convenzioni affatto irrilevanti, per cui si dà a tale o talaltra cosa o persona un nome arbitrario (An. Post., II, 7, 6). Le vedute degli avversarî nominalisti appaiono solo nelle confutazioni incidentali di questi filosofi.
La ricerca delle definizioni costituisce lo scopo principale della dialettica di Socrate, che si esercita sui concetti morali; i molti esempî offerti dai dialoghi platonici mostrano l'atteggiamento caratteristico del maestro ateniese rispetto al problema del definire: in termini moderni possiamo dire che egli - supponendo dato il concetto in estensione (cioè una classe o specie di oggetti) - cerca le note o proprietà caratteristiche, che valgono a determinarne la comprensione, che è per lui l'essenza della cosa da definire. In questo procedimento si può scorgere implicito il presupposto che ad ogni classe o specie, naturalmente data, risponda un'idea che ne esprima l'unità. Appunto su questo presupposto costruisce Platone la sua teoria delle idee, assumendo che le idee stesse (sul modello degli enti matematici) abbiano un'esistenza intelligibile (che oltrepassa la realtà dei sensi), e che esse siano legate fra loro in un ordine logico, procedente dal generale al particolare.
L'ideologia platonica forma anche la base della teoria della definizione che Aristotele sviluppa specialmente nella Topica: i termini, di cui si cerca la definizione, sono sempre veduti in un ordine naturale, cioè in una gerarchia di generi e di specie. E questa veduta (spogliata, a dir vero, di alcune sottili distinzioni) ha dominato le scuole per tutto il Medioevo. La frase definitio fit per genus proximum et differentiam specificam riassume appunto il criterio scolastico della definizione. Solo critici moderni (in particolare fra i logici matematici) hanno obiettato che non tutte le definizioni si possono ridurre a questo tipo.
Dopo Occam, i matematici Candalla e Wallis, Blaise Pascal e i logici di Port-Royal, dànno maggior rilievo alle definizioni nominali, mettendo in evidenza il loro carattere arbitrario (salvo l'uso e la coerenza delle convenzioni): si comprende l'importanza che assumono nelle matematiche e quindi, a poco a poco, si viene a scoprire il loro significato. Candalla (nel commento all'Euclide del 1566) considera già tutte le definizioni come arbitrarie e Pascal - assumendo il criterio dei geometri come norma logica della scienza - dichiara esplicitamente che non si possono riconoscere altre definizioni che di nome, e di queste spiega il significato relativo. Attraverso a Hobbes e a Leibniz, si comprende sempre meglio che l'introduzione di una parola vale come suggello d'un procedimento costruttivo della mente, che perciò si trova implicito in tali definizioni.
Tuttavia Leibniz mantiene o rinnova la distinzione fra definizioni reali e nominali: definizioni reali sono per lui quelle che includono il giudizio della possibilità (o realtà logica) del definito. Ma questo giudizio - comunque si aggiunga alla definizione - non muta il carattere della definizione stessa, e perciò non è corretto parlare d'una particolare maniera di definizioni (reali) poiché si tratta - in questi casi - d'una semplice definizione (nominale) con qualcos'altro in più (postulato o dimostrazione d'esistenza).
I più recenti logici matematici (ed anche molti altri logici, quali lo Stuart Mill) si accordano in tale veduta. Ma lo sviluppo delle conseguenze che ne dipendono costituisce una vera novità nella storia del pensiero logico. Se la definizione ha valore puramente nominale, esprimendo un procedimento di riduzione essenzialmente relativo, essa deve far capo - in qualunque ordinamento d'una teoria deduttiva - a concetti primitivi non definiti. Il significato di questi, in un assetto perfettamente logico della teoria, non si può desumere da una qualsiasi realità, e nemmeno da una supposta evidenza intuitiva (secondo il criterio cartesiano, criticato da Hobbes e Leibniz). Ma converrà ritenere che di essi si dà una vera definizione implicita per mezzo delle proposizioni primitive, assiomi o postulati, su cui la teoria stessa viene fondata. Questo è il modo più raffinato di comprendere l'esigenza dell'ordine logico d'una scienza deduttiva, che scaturisce dall'analisi di Gergonne e di Pasch (1882) e dei logici matematici più recenti.
I detti logici hanno poi spinto innanzi l'analisi dei tipi delle definizioni esplicite, con la determinazione più precisa delle relazioni elementari o delle operazioni elementari del pensiero, per mezzo di cui si costruiscono (definizioni per riunione e per interferenza, definizioni per astrazione, definizioni induttive, ecc.).
Frattanto però non si può dire che la più stretta veduta della definizione, come puramente nominale, soddisfi a tutte le esigenze cui appariva rispondere il vecchio concetto della definizione reale. E ciò spiega perché, ancora fra i logici moderni, in opposizione a quelli sopra accennati, si trovino difensori della vecchia distinzione. Che dire, infatti, del caso in cui diversi oggetti siano dati in un certo ordine di classi e sottoclassi (generi e specie) come accade, per es., nelle scienze fisiche e naturali?
Qui si vuole costruire un concetto o una serie di concetti che rappresenti, quanto più è possibile adeguatamente, i rapporti delle classi di oggetti dati: si tratta insomma della loro classificazione naturale, cioè d'una classificazione rispondente, nel miglior modo, allo scopo della loro conoscenza. E quindi si ripresenta, in una nuova forma, il problema della definizione socratica: assumendo un concetto come dato in estensione, cercare le note, o proprietà caratteristiche, che valgono a definirne la comprensione. Ma, a vero dire, lo stesso problema si pone già anche per le matematiche, ove si guardi non alle definizioni già poste - nel loro aspetto statico - bensì alla ricerca di definizioni da porre, in vista dello scopo scientifico (aspetto dinamico o storico o genetico). Passando, però, dal campo astratto delle matematiche alla fisica o alle scienze biologiche, riesce palese che il concetto comunque costruito a rappresentare la specie, non si esaurisce nella totalità degli oggetti che le appartengono; la mente costruttrice oltrepassa la realtà di questi, foggiando una classe continua, a cui essi idealmente si attribuiscono. E quindi la definizione, anche in questo caso, contiene necessariamente un momento arbitrario (un'induzione o una visione immaginativa, che implica, in qualche modo, una scelta di ipotesi). Si mette d'accordo la veduta innanzi spiegata delle definizioni nominali con ciò che qui si è osservato, dicendo che si tratta ora d'un problema di classificazione a cui la definizione stessa tenta di rispondere: problema scientifico per cui non possono prescriversi semplici criterî di logica, dovendo la proposta definizione saggiarsi al lume di tutti gli sviluppi della scienza che ne dipendono.
Bibl.: F. Enriques, Per la storia della logica, Bologna 1922; id., La definizione come problema scientifico, in Periodico di matematiche, 1925; G. Vailati, La teoria aristotelica della definizione, in Scritti, Firenze 1911, p. 485; G. Peano, Le definizioni in matematica, in Per. di mat., 1921.
Definizione dogmatica: v. dogma.