deistituzionalizzazione
Paradigma teorico-pratico elaborato e utilizzato dal movimento italiano di psichiatria alternativa. Nato come critica del manicomio, è diventato ben presto critica globale della psichiatria.
La d. ha origine dal pensiero e dall’azione di F. Basaglia, che per primo evidenziò la condizione non umana e non terapeutica del paziente internato in ospedale psichiatrico e l’azione di istituzionalizzazione prodotta da quest’ultimo. Successivamente il termine istituzionalizzazione fu esteso a tutti gli aspetti dell’istituzione psichiatrica, mentre per l’azione di contrasto veniva coniato il termine di deistituzionalizzazione. Il concetto fondamentale della d. è che l’istituzione psichiatrica (come qualunque altro apparato istituzionale) è un luogo (il manicomio) ma anche altro: concezione del disturbo mentale; tipologia degli interventi; leggi, norme e procedure di ordine legislativo, amministrativo e scientifico; identità e competenza dei tecnici della salute mentale; dimensione disciplinare e formazione degli operatori. L’apparato istituzionale della psichiatria è molto fragile perché gestisce un problema, il disturbo mentale, di cui è incerta l’origine e che è spesso costituito da quote di problemi scartati da altri apparati istituzionali (sanità, assistenza e giustizia) perché non perfettamente assorbibili. In altre parole, il problema psichiatrico è sofferenza mentale complicata da quote di malattia fisica, di miseria e di delinquenza. Questo oggetto complesso, ridotto dalla psichiatria tradizionale a malattia da curare, diviene, per la d., sofferenza mentale storicizzata (perché parte dell’esistenza) e contestualizzata (perché parte del corpo sociale) e quindi postula la necessità di costruire un nuovo apparato psichiatrico, capace di intervenire sull’oggetto vero dell’intervento.
Gli elementi essenziali della d. sono: il potenziamento della soggettività, con l’attenzione alla vita concreta e quotidiana del paziente e con il lavoro di arricchimento delle risorse e delle possibilità di cambiamento; l’aumento del ‘potere’ del paziente, restituendogli contrattualità sociale (con familiari, parenti, amici, ecc.) e con i servizi psichiatrici, evitando così di abbandonarlo a sé stesso in nome di una libertà astratta, senza però imporgli obiettivi e programmi terapeutici precostituiti e non discutibili; l’uso critico del modello medico d’intervento, in partic., per quanto attiene eccessi nosografici e tecnicistici, nonché la riduzione del paradigma bio-psico-sociale alla sola dimensione neurobiologica; il funzionamento dei servizi psichiatrici sulla base della legge 180/78; l’impegno per la chiusura di tutti i manicomi e il contrasto alla ‘rimanicomializzazione’ dei servizi psichiatrici di comunità, attraverso il rifiuto di permanenze prolungate dei pazienti nelle strutture residenziali e dell’uso della contenzione fisica; lo sviluppo di interventi di prevenzione e di promozione della salute mentale per superare i pur necessari interventi terapeuticoriabilitativi.
La d. è spesso definita in modo non univoco e riduttivo e talvolta confusa con il superamento del manicomio e con la deospedalizzazione, che sono solo una parte della d. stessa. Attualmente in tutti i Paesi ad alto livello di sviluppo, i manicomi vengono progressivamente chiusi, mentre i nuovi servizi di comunità sono sempre più ricchi di funzioni e risorse. Tuttavia, soltanto in Italia si è realizzato il Dipartimento di salute mentale, l’unica istituzione che fornisce assistenza psichiatrica senza ricorrere al ricovero manicomiale. L’OMS attribuisce grande importanza al modello italiano di assistenza psichiatrica, di cui la d. è il presupposto.