DEL CARRETTO, Giovanni, marchese del Finale
Figlio di Lazzarino (II), marchese del Finale, e di Caterina - di cui si ignora il casato -, nacque nel primo decennio del sec. XV.
Morto Lazzarino, militando nell'esercito genovese impegnato nella conquista dell'isola d'Elba (agosto del 1412) e succedutogli il figlio primogenito Galeotto, il D. affiancò la politica spregiudicata del fratello che, forte dell'appoggio visconteo, tentò di allargare il suo piccolo feudo ai danni della Repubblica di Genova, alle prese con endemiche lotte interne e con gravi minacce esterne.
Caduto il dominio di Filippo Maria Visconti su Genova ed iniziate contro le Riviere le operazioni militari guidate da Niccolò Piccinino al servizio del duca di Milano (1436), il D. si schierò a fianco del condottiero, ma finì con l'essere catturato in uno scontro da Baldaccio d'Anghiari, al servizio della Repubblica genovese. Il doge Tommaso Fregoso, informato della cattura, nell'aprile ordinò al capitano Tommaso Doria di inviare il prigioniero a Genova, sulla galea comandata da Ottobono Imperiale. Tuttavia, mentre la nave si trovava al largo del Finale, con grande coraggio il D. si gettò in acqua e riuscì a raggiungere a nuoto la costa, ponendosi in salvo. Dando prova di notevole fair play, il Fregoso scrisse al suo nemico Galeotto, congratulandosi con lui perché il fratello era riuscito a ritornare in patria incolume.
Il D. continuò a combattere contro l'esercito genovese e nel 1438, con l'aiuto di Cesare Martinengo, capitano visconteo, tentò di riprendere Balestrino, il cui signore, Pirro Del Carretto, era stato sconfitto da Giovanni Fregoso e catturato. Il tentativo, tuttavia, non ebbe successo. A fianco del fratello egli fu anche nel 1447, quando la Repubblica di Genova decise di eliminare per sempre il pericolo rappresentato dal molesto marchese del Finale. L'anno seguente, durante la disperata difesa contro le soverchianti forze nemiche, il D. accorse in difesa di Giustenice, assediata dall'esercito genovese. Dopo tre giorni di lotta, il castello si arrese e il D. fu fatto prigioniero, insieme con altri membri della famiglia.
Condotto dapprima a Pietra Ligure e poi a Savona, fu in seguito tradotto a Genova, dove venne rinchiuso nella prigione detta Grimaldina. Alla fine, forse temendo qualche colpo di mano da parte dei sostenitori dei Carretteschi, presenti anche in città, il doge Giano Fregoso ordinò il trasferimento del D. a Lerici. Giuntovi nell'aprile 1448, egli fu custodito sotto buona scorta dal podestà e castellano Giannone o Giannino de Ivanis, al quale il doge raccomandò, tuttavia, di trattare l'illustre prigioniero coi dovuti riguardi. Nel castello di Lerici il D. fu raggiunto da un altro fratello, Giannone o Giacomo, anche lui fatto prigioniero e in cattive condizioni di salute; all'Ivanis fu ordinato di rinchiudere i due nella stessa cella. Nello aprile dell'anno seguente, il doge dovette intervenire per mitigare la dura custodia alla quale il castellano aveva sottoposto i due fratelli, ordinandogli di togliere loro i ceppi con cui erano stati incatenati. L'anno seguente, conquistato il Finale e messo in fuga Galeotto, il nuovo doge Ludovico Fregoso decise di liberare i due prigionieri, cedendo anche alle pressioni esercitate su di lui dal marchese del Monferrato e dallo Sforza. Dapprima a Genova fu trasferito Giacomo, poi, dopo circa un mese, toccò al D. essere rimesso in libertà: la sua prigionia era durata 18 mesi.
Costretto ad impegnarsi a non tornare più nel Finale e riparato in Francia, in condizioni economiche disastrose, a Rouen egli poté riabbracciare il fratello Galeotto, da tempo in terra straniera alla ricerca di aiuti per una improbabile riconquista del Finale. Mentre il fratello rimase in Francia e (1450) perse la vita in uno scontro navale al largo della Bretagna, il D. ritornò in Italia e passò di corte in corte per sollecitare un intervento a suo favore. Fu accolto da Giovanni IV, marchese del Monferrato, e a Milano da Francesco Sforza che gli fu prodigo di promesse, ma non di aiuti concreti.
Cacciato il doge Ludovico Fregoso da un colpo di mano organizzato da Pietro II di Battista Fregoso, il D., ritenendo non più valido il giuramento fatto al doge precedente, decise di occupare il Finale, utilizzando gli aiuti concessigli dal marchese del Monferrato e dal re di Francia Carlo VII. Fallito un primo tentativo contro Noli, nel 1450 egli riuscì, alla fine, a riconquistare il marchesato e a resistere alla reazione dell'esercito genovese. Nell'agosto dell'anno seguente tra il D. e il doge si arrivò ad un accordo: in cambio del suo ritorno nel feudo, il marchese si riconobbe feudatario della Repubblica per la terza parte del Finale, mentre Castelfranco rimase sotto controllo genovese.
Negli anni seguenti il D. cercò di rinsaldare il suo dominio, dove le guerre avevano lasciato molti gravi segni; egli riedificò le mura del borgo del Finale e Castel Gavone (sotto il suo marchesato fu probabilmente costruita la "torre dei diamanti", cosiddetta per la singolare sfaccettatura del suo perimetro esterno, derivata dall'architettura colta quattrocentesca emiliana); strinse ancor di più i suoi legami con la Francia e il ducato di Milano, per evitare altri tentativi genovesi contro il suo feudo. Nel 1452 ratificò l'alleanza stretta dalla Repubblica di Genova, dalla Repubblica di Firenze e dal ducato di Milano; tuttavia le simpatie del D. verso la Francia, cui egli doveva riconoscenza per l'aiuto fornitogli nel tentativo fortunato di riconquistare il Finale, ebbero modo di manifestarsi con l'opera di persuasione da lui compiuta presso Luigi, figlio del re Carlo VII, perché tentasse di impadronirsi di Genova, dove il doge Pietro Fregoso era in difficoltà. A seguito delle insistenze del marchese e di Giovanni Filippo Fieschi, che promisero il loro aiuto militare, Luigi raggiunse Chieri per tentare l'impresa, ma Renato d'Angiò riuscì a convincerlo a desistere.
Nel 1456 la Repubblica genovese intervenne per impedire che si portassero aiuti al Finale, dove si stava allestendo una flotta destinata probabilmente ad unirsi al re di Aragona nella lotta contro Genova. Mutato il governo della Repubblica, dato che il doge Pietro II Fregoso rinunciò alla carica e fu accettato il dominio francese (1458), rappresentato da Giovanni d'Angiò, duca di Calabria, la politica antigenovese del D. non si modificò. Nel 1459 occupò con un colpo di mano Noli; il governo di Genova preferì per il momento non intervenire, perché stremato dalla dura lotta per la riconquista della Riviera di Levante, occupata dai Fregoso. Tuttavia, a Noli finì col rifugiarsi l'ammiraglio aragonese Bernardo Villamarino con 12 galee di re Ferdinando. Per approfittare della situazione, Genova ruppe gli indugi e attaccò di sorpresa la flotta nemica, che riuscì a fuggire, ma non ad impedire, nonostante l'intervento del D., il ritorno di Noli sotto il controllo genovese. Nel 1463 egli entrò a far parte del Consiglio segreto del ducato di Milano, aiutando validamente le operazioni militari che portarono alla conquista della Riviera di Ponente da parte dello Sforza. Presso di lui fu ospite Giovanni Mario Filelfo che, utilizzando i ricordi personali del marchese, compose il Bellum Finariense, sulle guerre sostenute da Galeotto Del Carretto contro la Repubblica di Genova.
Il D. morì nell'aprile 1468. Da Viscontina, figlia di Barnaba Adorno, sposata nel 1453 (Filelfo, p. 154; nel 1451 secondo G. B. Bridieri Colombo, Tabulae geneal. gentis Carrettensis..., Vindobonae 1741, tav. XIV), ebbe Galeotto (II; o Biagio Galeotto, succeduto al padre nel marchesato), Alfonso, Giorgio (commendatore di Piacenza e cavaliere di Rodi), Carlo Domenico (diventato cardinale nel 1505 e morto nel 1514), Fabrizio (gran maestro dell'Ordine gerosolimitano, morto nel 1521), Ludovico, Luca Barnaba, Enrico, Federico e Caterina, andata sposa a Gian Luigi Fieschi.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca universitaria, G. M. Filelfo, Bellum Finariense (originariamente destinato dal Muratori al vol. XXIV dei Rer. Ital. Script., ma non inserito nel volume), coll. 1143, 1165 s., 1169-1173, 1180, 1194, 1201, 1211, 1220-1228 (trad. ital. di ampi passi dell'opera in G. M. Filelfo, La guerra nel Finale, a c. di Pinea, Genova 1979, pp. 16, 18, 21-24, 31, 52 s., 60-67, 83, 104, 107, 117 ss., 131-38, 143-48, 151-55); A. Giustiniani, Castigatissimi annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. CCXIIv, CCXIXr; U. Folietae Historiae Genuensium, Genuae 1585, c. 241r; Cronaca milanese scritta da Giovan Pietro Cagnola, a cura di C. Cantù, in Archivio storico ital., III (1842), p. 164; Acta in Consilio Secreto Mediolani, a cura di A. R. Natale, I, Milano 1963, p. 250; G. Casalis, Diz. geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di Sardegna, VI, Torino 1840, pp. 646 s., 650, 654; F. Gabotto, A proposito di una poesia ined. di Giovanni Mario Filelfo a Tommaso Campofregoso, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIX (1888), pp. 507, 510; F. Messea, Le convenz. cesaree col Finale Ligure, Genova 1904, p. 27; F. Poggi, Lerici e il suo castello, II, Genova 1909, pp. 277, 284 s., 289, 293, 300 ss.; G. A. Silla, Finale dalle sue origini all'inizio della dominaz. spagnola, Finalborgo 1922, ad Indicem; P.de Brayda, I Del Carretto, Roma 1934, p. 23; G. Salvi, Castel Franco di Finale, in Giornale storico-letterario della Liguria, XIV(1938), p. 32; P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni polit. della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXXV (1960), p. 156; F. Fossati, Per le mense dei duchi e delle loro curie (tempo di Francesco I Sforza), in Arch. stor. lomb., LXXXVIII (1963), pp. 256, 266; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1968, p. 7; T. O. De Negri, Storia di Genova, Milano 1968, p. 700; A. Sambati, I carteggi diplom. sforzeschi relativi alla serie Genova (1450-54), in Arch. stor. lomb., XCVIII-C(1971-73), p. 193; I castelli della Liguria, I, Genova 1972, ad Indicem.