DEL MAINO (Majno, Mayno, Magno)
Famiglia di scultori in legno originaria di Milano e trasferitasi poi a Pavia, è documentata tra il 1469 e il 1536. Teseo Ambrogio degli Albonesi (1539) ricorda insieme con il padre Giacomo i figli Giovanni Angelo e Tiburzio. I due fratelli D. sono anche ricordati dal Lomazzo (1584) e quindi dall'Orlandi (1704), dal Bartoli (1777) e dallo Zani (1822). Scarse quindi le notizie attraverso le fonti e le guide antiche. La riscoperta di questa importante famiglia di scultori risale agli studi della fine dell'Ottocento sull'arte pavese a cominciare dalle ricerche del Magenta (1883).
Giacomo, figlio di Damiano, abitante a Milano a Porta Ticinese nella parrocchia di S. Giorgio a Palazzo, è ricordato per la prima volta nel contratto per il coro di S. Ambrogio a Milano del. 13 ott. 1469 (Biscaro, 1905, pp. 92 ss.), insieme con Lorenzo da Udrigio (Origgio) e Giacomo de Turri.
Il coro di S. Ambrogio doveva essere terminato entro diciotto mesi a partire dal 1º dicembre, cioè entro il maggio del 1471:il compenso previsto era di 902lire imperiali milanesi. Il coro in origine era costruito nel presbiterio della chiesa di fronte all'abside, dietro a un muro che lo isolava dalla navata centrale: era composto da quattordici stalli superiori e da quattordici stalli inferiori sulla destra e altrettanti sulla sinistra per un totale di cinquantasei stalli. Questa collocazione originaria (ne rimane un esempio nel coro della chiesa dei Frari a Venezia) fu cambiata nel 1507quando il muro di divisione fu demolito e il coro trasportato nqll'abside (cfr. Biscaro, 1905, p. 90). Questa è solo la prima di una serie di trasformazioni che il coro ha subito nel corso della sua storia: l'ultima fu dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale che ne distrussero una buona parte. Attualmente il coro presenta solo sedici stalli a parete e tredici stalli minori; altri sono conservati nel Museo di S.Ambrogio ed altri ancora sono stati trasformati in mobili tuttora esistenti nel presbiterio della chiesa.
Il contratto prevedeva anche un leggio grande con tarsie nel mezzo e altri due leggii minori (oggi non più esistenti). Il coro presenta nei postergali una ricca decorazione, derivata dalle miniature dei Taccuina sanitatis (p. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia [1912], Torino 1966, p. 157 n. 2), con piante e ai lati animali e piccole figure; i braccioli sono traforati, il tettuccio è decorato da una conchiglia e in alto è un fregio decorato con tondi con busti di santi o di profeti; sulla trabeazione sono tredici statue di angeli in piedi. Sui "testali", cioè sui fianchi terminali dei banconi, nel contratto erano previste una Annunciazione ed altre storie; oggi si vedono dodici Storie di s. Ambrogio, quattro doppie negli stalli superiori e quattro singole negli stalli inferiori. Il contratto del 1469diceva esplicitamente che il coro di S. Ambrogio doveva imitare il coro di S. Francesco Grande a Milano, oggi perduto, per cui non è possibile fare un confronto diretto. Il coro di S. Ambrogio si inserisce comunque in una serie di cori lignei piemontesi e lombardi tutti legati da affinità iconografiche e stilistiche: contemporaneo è il coro della cattedrale di S. Savino ad Ivrea (oggi al Museo civico di palazzo Madama a Torino), commissionato da Giovanni Martino di Parella nel 1467o nel 1470 (Mallè, 1965, pp. 140 s.; M. Maritano-I. Scaranani, in Giacomo Jaquerio e il gotico internazionale [catal.], Torino 1979, pp. 264 s.); di poco posteriore è il coro di S. Stefano a Biella: del 1478, di cui si conservano alcuni stalli incorporati nelle cantorie (G. C. Sciolla, IlBiellese dal Medioevo all'Ottocento, Torino 1980, p. 18); e decisamente derivato dal coro di S. Ambrogio (come richiedeva esplicitamente il contratto) è il coro del 1484 della chiesa di S. Francesco a Pavia, opera dei fratelli De Donati.
Soggetti vegetali erano già presenti negli armadi del duomo di Milano (perduti) opera di Urbanino di Surso da Pavia del 1423-1425 (Maiocchi, 1937, nn. 170 e 172 a p. 39 e n. 175 a p. 40); elementi simili doveva presentare anche il coro della chiesa di S. Francesco ad Alba del 1429 (perduto; ne rimane un frammento nella chiesa di S. Giovanni ad Alba) sempre di Urbanino di Surso (cfr. G. Romano, Ilcoro di S. Lorenzo, Cuneo 1969, p. 32 n. 35, G. Gentile, in Irami incisi dell'Archivio di corte [catal.], Torino 1981, p. 283). Da ricordare in questo contesto anche il contratto di Baldino di Surso del 1468 per il coro (perduto) di S. Maria a Biella del 1468, terminato da Domenico del Duca (Maiocchi, 1937, n. 719, pp. 153 s.; n. 721, pp. 154 s.). Il coro di S.Ambrogio si inserisce perfettamente nella cultura tardogotica lombarda con qualche elemento di novità nelle Storie di s.Ambrogio, dove assistiamo al tentativo di una rappresentazione prospettica dello spazio e dove comunque le architetture rappresentate sembrano già presupporre una conoscenza almeno dei disegni del Filarete.
I documenti tacciono su Giacomo fino all'8 apr. 1480, data del contratto per l'ancona della Confraternita dell'Immacolata Concezione presso la chiesa di S. Francesco a Milano (perduta, Biscaro, 1901), famosa per la tavola con la Vergine delle rocce di Leonardo che vi era inserita. Nel contratto con Giacomo del 1480 è ricordato un compenso di 40 lire già dato allo scultore Pietro Bussero (Bussolo), ad indicare forse una precedente commissione della grande macchina lignea a questo grande e misconosciuto scultore milanese. Giacomo, abitante nella parrocchia di S. Alessandro, si impegnava a terminare l'ancona entro la festa di S.Michele, cioè entro il 29 sett. 1480; e sceglieva come estimatore Giovanni Antonio Amadeo. Del 7 ag. 1482 è il pagamento finale per l'ancona: Giacomo riceveva 710 lire imperiali (meno 490 già anticipate). La statua della Vergine immacolata che faceva parte dell'ancona venne però eseguita per ultima in quanto il 27 ag. 1482 è detta "da farsi", mentre il 22 novembre dello stesso anno è detta "fatta" (cfr. Sironi, 1981). La critica si è a lungo soffermata sulla ricostruzione dell'ancona della Vergine delle rocce e la fortuna critica di Giacomo è stata a lungo legata agli studi leonardeschi.
Quasi tutti gli studiosi che hanno cercato di ricostruire l'altare perduto hanno ipotizzato una grande macchina a due registri, oltre la cimasa e la predella: uno tutto scolpito e l'altro tutto dipinto con al centro la Vergine delle rocce e ai lati i due angeli dei fratelli De Predis ora alla National Gallery a Londra. Il Malaguzzi Valeri (1915, pp.3 82 ss. e fig. 448) aveva invece ipotizzato un altare ad un solo registro ornato con piccole figure a bassorilievo. Una possibile soluzione del problema è quella di ipotizzare una macchina ad un solo registro con "la nostra dona nel mezo" in una nicchia absidata in piedi mentre adora il "putino" circondata da "li angelli" e sormontata dal busto "de lo Deo padre"; nelle nicchie laterali rettangolari dovevano essere quattro rilievi sovrapposti, due per parte, con Storiedella Vergine (come avverrà più tardi nelle ancone di Giovanni Angelo D. a Como e ad Ardenno); nella "bancheta" (predella) e nei "capitolli" (con tutta probabilità nei pilastri laterali) erano altre Storiedella Vergine;nel coronamento era una "cuba in forma di caxarnento" decorata con sibille. Le tavole di Leonardo e dei fratelli De Predis dovevano chiudere a incastro la nicchia centrale e i due spazi laterali con Storie dellaVergine. Nelpagamento finale del 7 ag. 1482 Giacomo si impegnava a consegnare "assidem illam que vadit ante imaginem Beatissime virginis Marie ad modum incasti", cioè una tavola da porre ad incastro come chiusura della nicchia centrale con la statua dell'Immacolata. Perché non ipotizzare che questa "assidem" fosse la tavola dove Leonardo avrebbe dovuto in seguito dipingere la sua Vergine delle rocce?.
Quando nel 1576 la Confraternita della Concezione fu trasferita dalla cappella esterna in fondo alla navata destra alla prima cappella a destra del coro (cfr. Sant'Ambrogio, 1902; Guglielmetti, 1983-84, p. 135), la statua della Vergine nonpiù visibile (doveva essere ormai difficile anche per esigenze di culto rimuovere la ormai famosa Vergine delle rocce di Leonardo) fu posta in cima all'ancona. In seguito alla soppressione della Confraternita della Concezione nel 1781, l'ancona venne smontata e descritta in due inventari del 1781 e del 1798 (Guglielmetti, 1983-84, pp. 135-139) e quindi dispersa. Finora non è stato ritrovato nessun frammento sicuramente proveniente dalla cornice della Vergine delle rocce.
Giacomo, abitante sempre a Milano nella parrocchia di S. Giorgio a Palazzo, è ricordato ancora il 23 nov. 1486 in un contratto per un'ancona lignea per la chiesa di S. Vincenzo a Gravedona sul lago di Como (perduta), di cui rimane però presso l'Archivio di Stato di Milano il disegno preparatorio (Olivari, 1982).
L'ancona, alta 5 braccia e larga 3, doveva essere consegnata entro la Pasqua del 1487; era previsto un compenso di 20 ducati cioè 80 lire imperiali; dato il compenso molto basso Angela Guglielmetti (1983-84, pp. 183 s.) ha giustamente ipotizzato che le figure principali fossero dipinte e non scolpite. Il disegno, di notevole qualità, anche se eseguito rapidamente, ci propone un trittico con predella, pilastri laterali con figure di mezzo rilievo, un cornicione e una grande lunetta con ai lati le figure dell'Annunciazione. L'architettura è decisamente rinascimentale e può essere confrontata con la cornice del polittico di Treviglio, opera documentata di Giovanni Ambrogio De Donati del 1485-91.
Lo stesso documento per il polittico di Gravedona ci informa che Bartolomeo Sforza, figlio naturale di Francesco Sforza duca di Milano, vendeva a maestro Giacomo D. 70 pertiche di terra "vineate" in località Pancaraná in provincia di Pavia per 80 ducati: è il primo documento che mette in rapporto Giacomo con Pavia.
Giacomo doveva però essere stato in contatto con Pavia fin dal tempo della costruzione dell'altare ligneo della cappella delle reliquie per il castello di Pavia (1471-1477), in quanto nel novembre del 1473 vengono citati - ma non ne viene fatto il nome - tre esperti scultori milanesi come gli unici esistenti in città in grado di eseguire un'opera così monumentale ed impegnativa (cfr. Maiocchi, 1937, nn. 907 s., pp. 203 s.): sembra quindi molto probabile che Giacomo fosse uno di questi tre scultori.
Nel 1489 Giacomo risulta abitante a Pavia: il 3 febbraio è "teste a divisione" in un documento (cfr. Maiocchi, 1937, n. 1405, p. 336), il 19 ottobre è testimone in un contratto di affitto dell'ospedale di S. Matteo (ibid., n. 1445, p. 346). Il 10 novembre sempre del 1489 venne stimata un'ancona (perduta) eseguita per l'ospedale di S. Matteo: Giovanni Pietro Fugazza fu l'estimatore per l'ospedale, Agostino de Grassis per Giacomo e Domenico De Rovediis fu l'arbitro. L'ancona venne stimata 300 lire imperiali.
Il 3 giugno 1491, in un documento redatto a Tresivio in Valtellina, di fronte al commissario e capitano della Valle G. P. Arigonio, Giacomo assume nella sua bottega il quattordicenne Ambrogio figlio di Giovanni dei Donalla di Ponte per sette anni e mezzo (Guglielmetti, 1983-84, pp. 279-287, che trascrive il documento per intero). Pochi giorni dopo, a riprova dell'assenza da Pavia, il 6 giugno 1491, Giacomo è citato per non aver consegnato un'ancona (perduta o mai eseguita) per il convento di S. Francesco a Pavia (Maiocchi, 1937, n. 1539, p. 363).
II documento redatto a Tresivio nel 1491 ci attesta la presenza di Giacomo in Valtellina, mentre l'assunzione di un giovane di Ponte ci conferma l'attribuzione allo scultore dell'ancona della Vergine conservata nella prima cappella a destra nella chiesa di S. Maurizio a Ponte, commissionata dalla Confraternita della beata Vergine Maria. Una attenta analisi dell'ancona di Ponte, che presenta al centro in una nicchia la statua in piedi della Vergine che adora il Bambino e ai lati sei Storie della Madonna poste su due file sovrapposte, e nel registro superiore quattro statue di santi, può essere utile per tentare di ricostruire l'ancona perduta della cappella della Confraternita della Concezione a Milano.Altre opere possono essere attribuite a Giacomo in Valtellina: prima di tutte la Madonna col Bambino conservata sull'altar maggiore del santuario della Madonna delle Grazie di Grosotto tradizionalmente attribuita al figlio Giovanni Angelo (Giussani, 1931, pp. 186 ss.; Gnoli Lenzi, 1938, p. 147; Bassi, 1940, p. 10), databile intorno al 1490, anno della consacrazione della chiesa primitiva; quindi la piccola ancona dell'oratorio della Madonna della Neve a Sernio (Gnoli Lenzi, 1938, pp. 257 s.) con la Madonna che adora il Bambino tra s. Caterina e s. Lucia e quattro statue di santi nella predella, da confrontare con i santi del registro superiore dell'ancona di Ponte, infine la Madonna che adora il Bambino tra due angeli sormontata dal busto di DioPadre benedicente frammento di un altare, conservata nella chiesa di S. Matteo a Valle, frazione di Morbegno (ibid., p. 197).
Nel 1492 Giacomo era comunque ancora a Pavia: il 22 novembre era testimone in un contratto di affitto per la parrocchia di S. Michele (Maiocchi, 1949, n. 1626, p. 10). Il 20 maggio 1495, sempre a Pavia, affittava una casa a un sarto (ibid., n. 1814, p. 49).
Il 16 genn. 1496 (ibid., n. 1872, p. 62) Giovanni Angelo D. si impegnava, anche a nome del padre Giacomo, ad eseguire per 72 lire imperiali un Crocefisso per la chiesa di Castel San Giovanni e a consegnarlo per la domenica delle Palme, cioè per il 27 marzo dello stesso anno. Il fatto che il contratto sia firmato da Giovanni Angelo ci attesta che nel 1496 doveva essere maggiorenne e quindi doveva essere nato almeno nel 1475. La collaborazione documentata tra padre e figlio in questi anni ci porta a ritrovare la mano di Giovanni Angelo anche nel polittico della chiesa di S. Michele a Pavia, giustamente assegnato a Giacomo (Soriga, 1926, p. 86; Olivari, 1982, pp. 120 s.).
Il Crocefisso, ancora esistente sulla controfacciata della chiesa di S. Giovanni, è stato eseguito dunque nella bottega dei D. in collaborazione tra padre e figlio, qui citato per la prima volta. La figura del Cristo sembra attribuibile al giovane Giovanni Angelo, mentre i due busti di S. Pietro martire e di S. Giovanni sono sicuramente di Giacomo (perduto è il busto della Vergine previsto dal contratto).
La struttura architettonica e le diverse figure sono sicuramente opera di Giacomo; diversi sono invece lo stile e soprattutto l'impostazione spaziale della scena centrale con la figura di S. Stefano inginocchiata fuori dalla cornice del polittico ad invadere lo spazio dello spettatore; come diversa è la Madonna col Bambino, posta di tre quarti e scolpita secondo un raffinato gioco di piani prospettici, che ricorda da vicino i modi del Maestro del Presepe di Trognano (S. Maspero, in Pavia. Pinacoteca Malaspina, Pavia 1981, p. 132; P. Venturoli, in Ilmuseo e la pinacoteca di Alessandria, a cura di C. Spantigati e G. Romano, Torino 1986, p. 103).
Sulla base di un confronto con il polittico di S. Michele è possibile attribuire a Giacomo anche il Presepio del Victoria and Albert Museum di Londra (Venturoli, 1982, p. 109).
Accostabile alla bottega di Giacomo è anche l'anconetta con la Natività pubblicata da Natale (1987, scheda n. 16). La Coppa (1987-88) ha avvicinato giustamente alla bottega di Giacomo la cornice dei polittico a due registri della parrocchiale di S. Giorgio a Varenna, proveniente dalla chiesa di S. Maria del Monastero (ripr. in Binaghi, 1982, p. 95); la statua della Madonna un tempo posta al centro del polittico è oggi conservata nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Varenna.
Il 13 nov. 1500 Giacomo era teste in un documento di affitto nella bottega dell'orefice Ferrari (Maiocchi, II, 1949, n. 2086, p. 129).
L'11 genn. 1501 (ibid., n. 2099, pp. 131 ss.) Giacomo era nominato con Agostino Bigarelli estimatore del modello ligneo del duomo di Pavia eseguito da Giovan Pietro Fugazza su disegno dell'Amadeo e del Dolcebuono (oggi conservato nei Musei civici di Pavia). Il 16 gennaio veniva eseguita la stima (ibid., n. 2101, pp. 132 s.), che verrà ripetuta il 29 novembre dello stesso anno (ibid., n.2162, pp. 145 ss.).
Questi documenti, come quelli che seguono, dimostrano come Giacomo fosse ormai perfettamente inserito nell'ambiente artistico pavese e come la sua presenza fosse determinante nelle imprese più importanti e innovative del momento.
Il 10 giugno 1502 (ibid., n. 2205, pp. 156 s.) era citato in una perizia per il coro dei conversi da porre nel transetto destro della certosa di Pavia commissionato a Bartolomeo De Polli nel 1487. Pochi giorni dopo, il 14 giugno 1502 (ibid., n. 2207, pp.159 s.), Giacomo si impegnava ad eseguire in proprio il coro dei conversi - quarantasei stalli uno diverso dall'altro - entro due anni, cioè entro il 1504, per un compenso di 15 ducati a seggio (cioè 60 lire a seggio per un totale di 2.760 lire); accettava il materiale, lavorato e non, da Bartolomeo De Polli per 925 lire. Il contratto prevedeva che in caso di morte di Giacomo il coro fosse terminato dal figlio Giovanni Angelo.
Forse proprio in relazione all'impegno del coro dei conversi è il documento del 5 luglio 1502 (ibid., n. 2213, pp. 161 s.), redatto nella bottega del maestro Gerolamo de Beretis nella parrocchia di S. Michele, nel quale il maestro Francesco de Furmenti figlio quondam Christofori si impegnava a lavorare per cinque mesi a partire dall'11 luglio per Giovanni Angelo per lire 5 e soldi 15 al mese, più il cibo.
Da ricordare comunque che Ael 1502 (B. Fabjan, L'immagine della Carità, artisti e benefattori degli ospedali vigevanesi [catal.], Milano 1985, scheda n. 1, p. 46) è documentato a Vigevano per un'ancona per la cappella dell'Immacolata Concezione nella ch iesa di S. Francesco un maestro Angelo da Milano, forse da identificare con il giovane' Giovanni Angelo D.; per cui il contratto con Francesco de Furmenti potrebbe riferirsi anche ad altri lavori e non solo al coro dei conversi.
Il 12 giugno 1503 Giacomo è testimone in un documento per la certosa di Pavia (Maiocchi, 1949, n. 2283, p. 176) e il 5 ag. 1503 è citato come teste in un documento di affitto dove risulta "habitator Villenove de Riciis" (Villareggio), una frazione molto vicina alla certosa di Pavia, dove evidentemente si era trasferito per l'esecuzione dei coro dei conversi (ibid., n. 2291, p . 179).
Il coro dei conversi è stato smembrato e disperso alla fine del Settecento: se ne conservano alcuni seggi al Museo Jacquemart-André a Parigi (un bancone a cinque posti) e al Bode Museum di Berlino Est (un bancone a dieci posti e due banconi a cinque posti). In una delle tarsie di Berlino (sul libro in mano a s. Andrea) si legge la firma di Pantaleone De Marchi, ad indicare che Giacomo doveva aver utilizzato anche materiale già esistente (come risulta anche dai documenti). Il coro è stilisticamente affine al coro dei monaci, ancora esistente nell'abside della certosa, e il problema attributivo non potrà essere risolto senza aver prima approfondito le figure di Bartolomeo De Polli e di Pantaleone De Marchi, citati nei documenti come autori dei coro dei monaci e di parte del coro dei conversi. A rendere ancora più complesso il problema basti ricordare che alcuni cartoni delle tarsie del coro dei conversi ricompaiono nel coro della cattedrale di Savona commissionato nel 1500 ad Anselmo Fornari (M. Ferretti, Imaestri della prospettiva, in St. d. arte ital. Einaudi, XI, Torino 1982, p. 515).Il 14 ott. 1505 Giacomo era già morto: in un documento redatto a Ponte in Valtellina risultano come testi il pittore Felice Scotti di Como e il maestro Giovanni Angelo D. "filius quondam magistri Jacobi" (Leoni, 1985, p.200). La presenza a Ponte di Giovanni Angelo è un'ulteriore conferma dell'attribuzione a Giacomo dell'ancona dell'ImmacolataConcezione conservata nella chiesa di S.Maurizio: Giovanni Angelo può essere stato chiamato a Ponte dopo la morte del padre per montare l'ancona ormai dipinta dal pittore Felice Scotti, probabile autore delle ante di chiusura a tempera su tela con Storiedella Vergine, oggiconservate nel Museo parrocchiale di Ponte. I documenti su Giovanni Angelo tacciono fino al 1516, data del contratto per l'ancona dell'Assunta a Morbegno, ma anche in assenza di conferme documentarie la ricerca filologica è riuscita a ricostruire il percorso dello scultore pavese.
Sicuramente di Giovanni Angelo è il disegno n. 197 dell'Accademia di Venezia datato 1509, preparatorio per un'ancona lignea perduta o non rintracciata (Venturoli, 1982, pp. 121-125); della stessa mano e proveniente dallo stesso taccuino è anche il disegno n. 196 sempre dell'Accademia di Venezia con tre capitelli, messo spesso in rapporto con Bramante e indicativo dell'aggiornamento culturale del giovane scultore formatosi nel cantiere della certosa di Pavia (Ruggeri, 1982, p. 24).
Il disegno, datato 1509, può essere utilmente confrontato con una serie di cornici di polittici, come quello di Cerano di Sperindio Cagnoli del 1510 e quello di Arona di Gaudenzio Ferrari del 1511, ad indicare già in, questi anni un contatto con Gaudenzio (Venturoli, 1987, p. 254). Questi rapporti culturali e stilistici si approfondiscono nell'ancona di S.Abbondio nel duomo di Como che sappiamo terminata nel 154 (Frigerio, 1950, n-74, pp. 361 s.) e quindi commissionata ed eseguita negli anni immediatamente precedenti. Il 1510 si pone come sicuro post quem per la commissione dell'altare di S.Abbondio eseguito per essere inserito nella cappella maggiore del duomo di Como (ibid., p. 420), L'ancona di S.Abbondio si presenta come una grandiosa architettura a più registri un tempo inserita in una cassa, di cui rimane solo la parete di fondo, chiusa da ante dipinte a tempera su tela da Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari (ancora conservate nel duomo di Como): nella predella sono scolpiti in un tralcio di vite i busti di Cristo, dei Dodici Apostoli, dei Quattro Evangelisti e di otto Profeti;nel registro inferiore al centro è la grande statua del Vescovo Abbondio con ai lati quattro Storie della sua vita; il primo cornicione è decorato da grottesche e dai busti dei quattro Dottori della Chiesa di Occidente;nel secondo registro al centro sono la Madonna col Bambino, S. Giovannino e il busto di DioPadre, nelle due nicchie laterali sono le figure in piedi di S. Caterina e di S. Lucia;sul cornicione tra le nicchie sono le statue più piccole di S. Proto, S. Rocco, S. Sebastiano e S. Giacinto;ilsecondo cornicione e sempre decorato a grottesche; nel registro superiore in un tempietto centrale è la Pietà e in due lunette laterali decorate da delfini è scolpita l'Annunciazione;sempre nel registro superiore, sulla parete di fondo della cassa sono diversi angeli che suonano e cantano. Lo stile delle figure, allungate ed eleganti, risente delle opere di Benedetto Briosco ed è da confrontare con i modi del primo Bambaia.
Da un paragone con le opere eseguite in collaborazione con il padre Giacomo, come il documentato Crocefisso di Castel San Giovanni e il polittico di S. Michele a Pavia, e da una più approfondita conoscenza dell'ancona di S. Abbondio è possibile assegnare a Giovanni Angelo un folto gruppo di opere stilisticamente omogenee: prima di tutto il piccolo rilievo del Victoria and Albert Museum di Londra con la Madonna col Bambino tra s. Caterina e s. Elena (Pope-Hennessy, 1964, II, pp. 552 s.; III, fig. 575), da confrontare soprattutto con la Madonna al centro del polittico di S. Michele; poi il gruppo del Presepio della chiesa di S. Martino a Treviglio (Rossi, 1987; Venturoli, 1987, p. 244, scheda n. 243), opera di straordinaria qualità e sicuramente anteriore all'ancona di Como. Molto vicine ai modi dell'ancona di S. Abbondio sono le sette Storie dell'altare della Natività della chiesa della Madonna dei Sette Dolori a Vigevano, frammenti di un'ancona più grande di cui rimangono anche la cimasa con lo Sposalizio della Vergine, sei figure di Profeti e le statue della Madonna e s. Giuseppe che adorano il Bambino (quest'ultime forse di altra mano; cfr. A. Taramellil Sculture in legno della chiesa dei Sette Dolori a Vigevano, in L'Arte, II[1899], pp.400ss.; A. Colombo, Iframmenti di un altare in legno scolpito nella chiesa dell'Addolorata, in Riv. archeol. lomb., II[1906], p. 137; Id., G. Ferrari e la scuola pittorica vigevanese, in Viglevanum, IV [1910], p. 253). Ci troviamo dunque di fronte ad un'opera eseguita immediatamente prima dell'altare di S. Abbondio.
Sappiamo che a Como, nel 1515, "fu eretto il nobilissimo altare del Ss. Crocefisso con le immagini eccellentemente scolpite di Maria Vergine, del discepolo Giovanni, di Maria Maddalena, e dell'altra Maria, e con le tavole egregiamente dipinte delli sagri Misteri del Dolore, e dell'Allegrezza" (Frigerio, 1950, p. 420). Nulla più rimane delle tavole dipinte che dovevano decorare un grande altare, ma le sculture sono ancora conservate nel transetto sinistro del duomo di Como, già correttamente assegnate a Giovanni Angelo da Meyer (1900) e da Arslan (1953). Si tratta di straordinari capolavori di un espressionismo drammatico e violento, tra i maggiori risultati dell'arte dell'Italia settentrionale nel primo Cinquecento.
Il 18 ag. 1516 Giovanni Angelo "de Papia nunc habitator Morbenii" firmava con la Compagnia dei Battuti della chiesa di S. Lorenzo e S. Maria Assunta a Morbegno un contratto per l'esecuzione di una grande ancona per l'altar maggiore della chiesa e di un Crocifisso (ancora conservato in sacrestia) e due Angeli (perduti); per l'ancona era previsto un compenso di 1.006 lire imperiali (da leggere più probabilmente 1.600) e per il Crocifisso e i due Angeli un compenso di 40 lire (i pagamenti sono documentati sino al 1519; Perotti, 1981).
L'ancona, ancora inserita nella sua cassa dipinta a stelle d'oro su fondo azzurro, consiste in una grandiosa architettura costruita intorno all'immagine ad affresco della Madonna col Bambino della prima metà del sec. XV: Giovanni Angelo ha immaginato un grande tempio ottagonale formato da un corpo centrale sormontato da una cupola. Ha posto in cima alla cupola la Vergine Assunta con intorno dodici angeli e i dodici apostoli. Ai lati della lunetta centrale con il busto di Dio Padre benedicente e angeli sono due "sirene" con testa di grifone sulla coda (figure analoghe erano scolpite nei braccioli del trono della Vergine nel secondo registro dell'ancona di Como); sotto la coda delle sirene sono le due statue dell'Annunciazione. Nel corpo centrale dell'edificio, ai lati dell'affresco con la Madonna, sono due edicole con le statue a figura intera di S. Lorenzo e di S. Bernardo, poste su due predelle con la Natività e la Fuga in Egitto (quest'ultima derivata da una incisione di Dúrer). Più in basso, alla base del tempio, è una predella con tre Storie della Vergine. Tutta l'architettura presenta nelle colonne, nei pilastri, nei capitelli, nei cornicioni una serie inesauribile di elementi decorativi e di figure simboliche secondo un repertorio di archeologia fantastica di origine medioevale, aggiornato sui modi delle grottesche note se non attraverso un viaggio diretto a Roma, almeno tramite Gaudenzio Ferrari. L'ancona di Morbegno risulta dorata e dipinta da Gaudenzio Ferrari e da Fermo Stella dal 1520 al 1524 quando ormai Giovanni Angelo non era più presente a Morbegno (Perotti, 1981).
Sappiamo dal Bartoli (1777) che l'altare Pezzana (perduto), un tempo esistente nella chiesa del Carmine a Pavia era firmato da Angelo Maino e datato 1517: ne esiste il disegno preparatorio all'Accademia di Venezia (n. 194), da confrontare nella parte terminale proprio con l'ancona di Morbegno a dimostrare la contemporaneità almeno progettuale tra le due opere (Ruggeri, 1982, p. 28; Venturoli, 1982, pp. 122 s.; Cogliati Arano, 1983). Al centro della cupola del disegno dell'altare Pezzana, come nella parte alta del disegno del 1509, è una Crocefissione. Da un complesso perduto o non identificato deriva la Crocefissione frammentaria (manca il Cristo in croce) conservata nella sacrestia della chiesa parrocchiale di Albate (S. Monti, Storia ed arte nella provincia e antica diocesi di Como, Como 1902, p. 152, tav. CI), opera sicura di Giovanni Angelo, come ha giustamente notato Sandra Maspero (Venturoli, 1985, p. 138).
Del 21 genn. 1518 è il testamento redatto a Morbegno dal sacerdote Giovanni Maria Rusconi (Leoni, 1981, p. 161 n. 1), nel quale vengono ricordate otto figure di un gruppo della Pietà eseguite da Giovanni Angelo e non ancora dorate e dipinte; nel testamento si prevede la costruzione di una chiesa o di un oratorio per ospitare il gruppo della Pietà:ilgruppo può essere identificato con il Compianto esistente nella chiesa di S.Marta a Bellano (Venturoli, 1983): i confronti più convincenti sono con il gruppo della Crocefissione del duomo di Como.
Il 30 sett. 1519 Giovanni Angelo firmava il contratto per l'ancona del santuario di Tirano (Giussani, 1926): nel contratto è detto "anchonarius" a riprova della sua fama in questo settore della scultura lignea; secondo quanto riferito dal Giussani, nel 1519-20 riceveva pagamenti per 999 lire e 15 soldi e altri pagamenti nel 1526 e nel 1527; dalle fonti (S. Cabassi, Miracoli della Madonna di Tirano, Vicenza 1601 e G. A. Cornacchi, Breve istoria della miracolosissima Madonna di Tirano, Como 1621) sappiamo che l'ancona era terminata nel 1524. Al centro era la statua della Madonna in piedi che adora il Bambino (ancora esistente) posta sotto un tabernacolo o un tempietto decorato con diverse Storie della Vergine; più in basso ancora la scena dell'Apparizione della Madonnaal beato Mario (ancora esistente sotto l'altare della chiesa; si veda Venturoli, 1982, pp. 125 ss.). Dall'altare di Tirano provengono forse lo Sposalizio dellaVergine del Museo Poldi Pezzoli di Milano e la Strage degli innocenti già nella collez. Böhler a Monaco di Baviera (Malaguzzi Valeri, III, 1917, p. 238, fig. 268), derivata da una stampa di Marcantonio Raimondi da Raffaello.
Mentre eseguiva l'ancona di Tirano, Giovanni Angelo dovette scolpire anche la piccola ancona della Pentecoste conservata nella chiesa di Stazzona (Venturoli, 1985, p. 142), più volte rimaneggiata in seguito: l'ancona presenta la data "maggio 1521" scritta a matita al momento del restauro ottocentesco, copiata ad evidenza da una data perduta o ricoperta da successive ridipinture. Sempre di Giovanni Angelo sono conservate in chiesa due figure di Dottori della Chiesa poste su un armadio sulla parete destra del presbiterio. Degli stessi anni deve essere anche la Madonna in trono della chiesa parrocchiale di Corteno in provincia di Brescia, ma poco distante da Stazzona (ibid., p. 143).
Tacciono quindi i documenti su Giovanni Angelo fino al 1529: il 13 gennaio gli venne commissionato un gruppo della Deposizione nel sepolcro per il monastero dell'Annunziata a Piacenza (G. Fiori, Architetti scultori e artisti minori piacentini, in Bollett. stor. piacent., LXVI [1971], p. 15; Venturoli, 1985, p. 145): nel documento è citato per la prima volta il fratello Tiburzio ricordato nel 1539 da Teseo Ambrogio degli Albonesi.
Giovanni Angelo e Tiburzio ricevettero il 30 luglio 1529 la cittadinanza onoraria di Piacenza (Venturoli, 1985, p. 145). Romano (1982) ha per primo. attribuito a Giovanni Angelo D. l'altare della Crocefissione del Victoria and Albert Museurn di Londra proveniente dalla chiesa di S. Agostino a Piacenza dei canonici regolari lateranensi, eseguito evidentemente intorno al 1529. L'altare presenta delle sculture non dipinte secondo la maniera tedesca, ad indicare una conoscenza diretta della contemporanea scultura d'Oltralpe.
Volendo distinguere i modi dei due fratelli, si può ipotizzare di assegnare al meno noto Tiburzio quelle opere o quelle parti di opere dove maggiori sono gli elementi stifistici e culturali derivati dalla contemporanea produzione tedesca nel campo della scultura lignea (Venturoli, 1983, p. 16; 1985, p. 143). Sembra ipotizzabile la presenza di Tiburzio già nelle sculture di Morbegno, nella Pietà di Bellano, nell'ancona di Tirano e soprattutto nella Madonna di Corteno.I due fratelli D., dopo il soggiorno documentato a Piacenza, dovettero trasferirsi a Bologna dove eseguirono nella chiesa di S. Giovanni in Monte, sempre dei canonici regolari lateranensi, due gruppi di angeli porta candelabri (una coppia per fratello) e la grande statua del Cristo alla colonna, che risulta scolpita nel 1533 per volontà di padre Tito da Novara (Venturoli, 1985, pp. 144 s.).
I pagamenti a Morbegno a un maestro Giovanni Angelo tra il 27 giugno e l'11 ag. 1536 ricordati da Bassi nel 1940 (p. 13 dell'estratto) si riferiscono in realtà a un omonimo carpentiere di Brunate (Perott 151981).
Il 23 ag. 1536 Giovanni Angelo riceveva 100 lire imperiali a compimento delle 700 pattuite per l'ancona della chiesa di S. Lorenzo ad Ardenno posta nella parete di fondo del presbiterio della chiesa e datata 1540, anno in cui fu dipinta da Battista di Legnano (Leoni, 1981). Si presenta come un grande polittico a due registri: nella predella sono Cristo e i dodici apostoli più isimbolidei quattro evangelisti; nel registro inferiore è al centro la Madonna col Bambino in trono incoronata da Dio Padre con ai lati quattro Storie della vita di s.Lorenzo (ilmartirio è derivato da una nota stampa di Baccio Bandinelli); nel registro superiore sono tre nicchie con le figure più grandi del vero di S. Sebastiano, S. Lorenzo e S. Rocco; nella cimasa, al centro in una piccola architettura, è la statua di Cristo risorto e in basso la Maddalena al sepolcro;ai lati, in due lunette decorate da delfini, come nel disegno giovanile del 1509 e nell'ancona di Como del 1514, è l'Annunciazione.
Nel 1539 Teseo Ambrogio degli Albonesi ricorda i due fratelli Giovanni Angelo e Tiburzio come ancora viventi: si ignorano comunque le loro date di morte.
Ultima opera attribuibile ai due fratelli è la Pietà conservata nella chiesa di S.Paolo a Gambolò da confrontare con il Cristo di Bologna del 1533 e con le grandi sculture di Ardenno terminate nel 1536 (Venturoli, 1983, p. 16; 1985, pp. 138 e 145).
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