DEL TASSO
Famiglia di legnaioli, scultori ed architetti fiorentini attivi nell'Italia centrale nel corso del XV e del XVI secolo. Il Vasari (1568) fa menzione di alcuni membri di questa famiglia, ma un primo resoconto organico dei rapporti di parentela e dell'attività artistica si deve al Milanesi che fonda le sue affermazioni su documenti, da lui pubblicati (1870, 1873) ma solo in minima parte; e al Milanesi ci si riferisce in questa sede, se non diversamente indicato.
Il rappresentante più antico della famiglia segnalato dal Milanesi (in Vasari, III, p. 355) è Domenico, nato nel 1382. Non sappiamo in quale grado di parentela stessero con lui Giovanni di Francesco, detto il Tasso, e suo fratello Chimenti (Clemente), che documenti del monastero del Paradiso presso Firenze ricordano attivi nel 1412 e nel 1418 (Piattoli, 1936). Nei documenti è esplicita l'origine di Giovanni "da Santo Cervagio" (cioè dal villaggio di San Gervasio fuori Porta a Pinti) e ciò corrisponde a quanto afferma il Milanesi per tutta la famiglia. Questa deve essersi di fatto trasferita in città solo più avanti nel secolo, giacché fu Francesco, nato nel 1403 da Domenico, ad ottenere per sé e per i suoi figli nella chiesa fiorentina di S. Ambrogio una sepoltura la cui chiudenda, tuttora conservata, recava la data 1470, oggi non più leggibile per intero. A tale data erano già adulti i tre figli di Francesco: Chimenti, Domenico e Cervagio. Sono questi i primi tre membri della famiglia sulla cui, attività artistica siamo informati.
Chimenti di Francesco (1430-1516) realizzava nel 1483-84 diversi lavori di legname per le cappelle di S. Lorenzo e del Miracolo in S. Ambrogio (Mesnil, 1905; Horne, 1905-06, pp. 52, 59; Borsook, 1981, pp. 176 ss., 200), forniva nel 1488 un coro alla cappella Minerbetti in S. Pancrazio e nel 1497 compiva (Milanesil 1873, p. 353), sempre in S. Pancrazio, una porta di noce sormontata da un arco ed un crocifisso assieme al figlio Leonardo (ad vocem). Tutti questi lavori sopo da tempo scomparsi e la stessa sorte è toccata alla più prestigiosa opera di Chimenti di Francesco, il tondo "cum armis sive insignis populi" eseguito nel 1497-98 come elemento centrale del soffitto per la savonaroliana sala del Consiglio Grande nel palazzo della Signoria (Frey, 1909, pp. 120, 121; Wilde, 1944, p. 71). Per la produzione del secondogenito di Francesco, Domenico, si veda la voce. Quanto al terzogenito Cervagio (nato probabilmente nel 1450 c.) sappiamo solo che nel 1496 lavorava con altri legnaioli al già menzionato soffitto della sala del Consiglio Grande nel palazzo della Signoria (Frey, 1909, pp. 115 s.).
Ognuno dei tre fratelli ebbe dei figli che ne seguirono le orme. Zanobi di Chimenti (1469-1511) è documentato nel 1499 per il restauro di alcune teste antiche che la Signoria inviò l'anno stesso al maresciallo di Giès in Francia (Gaye, 1839-40, I, p. 589; II, pp.52 s.). Questo lavoro gli venne commissionato assieme al fratello Leonardo, uno dei rappresentanti più illustri della famiglia. Anche il cugino Michele di Cervagio (1473-1527) è noto solo attraverso documenti che ne ricordano l'attività in S. Ambrogio nel 1512 ed in S. Salvi, in connessione con Andrea del Sarto, nel 1518 (Shearman, 1965, II, p. 255). Il fratello di costui, Giuliano di Cervagio (?-1530), è menzionato invece a più riprese dal Vasari.
Secondo lo storico aretino, Giuliano avrebbe partecipato ad alcune delle più significative imprese lignarie fiorentine: i soffitti tuttora in essere delle sale dei Dugento, dell'Oriolo e dell'Udienza nel palazzo della Signoria (1473-81; Vasari, III, p. 342), il carro della Zecca (ibid., III, p. 203) che il La Cecca (morto nel 1488) avrebbe progettato per le feste annuali di S. Giovanni prima dei rinnovo dei loro apparato nel 1515 (G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XXII (1786) pp. 69 s.) e il perduto apparato per l'ingresso di Leone X a Firenze nel 1515 (Vasari, V, p. 24). Solo l'ultima di queste notizie è ammis;sibile dal punto di vista cronologico ma, smentita dai documenti che dimostrano dovuti ad altri i lavori attribuitigli dal Vasari (Shearman, 19175), lascia la nostra conoscenza di Giuliano assai più vaga di quella dei tre figli dello zio Domenico.Tra questi, Chimenti di Domenico (?-1525) è il primo, in ordine di tempo, su cui possediamo notizie. di lui sappiamo che nel 1485-86 intagliava la cornice, identificabile con quella attuale, della pala dipinta da Filippino Lippi per la sala dei Dugento nel palazzo della Signoria ed ora agli Uffizi (Poggi, 1909) e che nel 1492 compiva intorno all'altare della badia fiorentina lavori in seguito andati perduti (Middeldorf, 1938, p. 459; Paatz, I, 1940, p. 291). Altri documenti, in base ai quali s'è cercato di ampliare la sua biografia, riguardano invece l'omonimo zio Chimenti di Francesco. Più difficile è decidere con chi, tra zio e nipote, vadano identificati il "Clemens del Tasso" e il "Chimenti del Tasso" ricordati rispettivamente nel 1490 e nel 1504 tra i membri delle commissioni chiamate a giudicare dei progetti per la facciata del duomo (Milanesi, in Vasari, III, p. 350) e della collocazione da dare al David di Michelangelo (Gaye, 1839-40, II, p. 455). Lo stesso dicasi del "Chimenti del Tasso" menzionato nel 1488 per aver stimato alcuni lavori di legname per gli Strozzi (Borsook, 1970).
Francesco di Domenico (1463-1519) e Marco di Domenico (1465-?), maggiormente legati tra loro ed al padre, possono essere seguiti nella loro vicenda biografica e artistica meglio che il fratello Chimenti. Il Vasari (III, pp. 203, 342) ricorda la partecipazione di Marco, accanto al cugino Giuliano di Cervagio e al padre, alle già menzionate imprese dei soffitti del palazzo della Signoria e del carro della Zecca. Nel 1491-93 sia Marco sia Francesco sono ricordati a Perugia, impiegati col padre nei lavori per la sala del Cambio; sempre a Perugia, nel 1497, risultano creditori del duomo per un leggio apprestato per il coro (Rossi, 1872, pp.98 s., 105). Questi impegni in Umbria non sembrano aver allentato i rapporti dei due fratelli con la città d'origine. Nel 1493 Francesco rilascia assieme al Francione una interessante dichiarazione sul modo in cui si suole fare a Firenze la stima dei cori di chiesa (Milanesi, 1893), mentre nel 1498 Marco è ricordato tra i difensori del Savonarola in occasione del drammatico assalto al monastero di S. Marco (Villari, II, 1861, p. CCCXLIV). Inoltre, tra il 1498 e il 1500, i due fratelli compivano con il padre il coro della chiesa dei servi di Pistoia. Venduta alle monache di S. Desiderio, l'opera andò dispersa durante la dominazione napoleonica (Chiappelli, 1901). Si conserva invece, sebbene non più nella collocazione e nell'aspetto originari, il coro della badia fiorentina, commissionato nel 1501 per metà a Francesco e Marco D. e per metà a Filippo di Lorenzo ed a suo figlio Guasparri (Milanesi, 1873, pp. 353 s.).
È ovviamente impossibile distinguere oggi ciò che in quest'opera è dovuto ai D. da ciò che spetta ai loro emuli. Il maggior apprezzamento del lavoro dei due fratelli e la loro probabile funzione di guida sembrano peraltro confermati dal fatto che nel 1502 essi soli vennero incaricati di eseguire il leggio a completamento del medesimo coro (ibid., pp. 355 s.). Anche tale leggio è giunto fino a noi, per quanto con la parte superiore non più originale; esso costituisce l'ultima opera di collaborazione tra i due fratelli di cui si abbia notizia certa.
Nel 1514 Marco rinnovava e completava da solo il perduto coro della Compagnia di S. Zanobi e, stando al Vasari, eseguiva per intero il carro della Zecca reso famoso dalle pitture del Pontormo e quindi identificabile con quello costruito nel 1515 e conservato a Firenze fino al 1810. Per parte sua, Francesco ricevette da solo nel 1518 la commissione per la tribuna e la residenza del clero nella chiesa dei servi di Pistoia, commissione passata alla sua morte al pistoiese Giovanni di Piero Mati (Chiappelli, 1901).
Un probabile figlio di Francesco ignoto al Milanesi, Girolamo, è ricordato nel 1525 a Prato per delle aggiunte apportate al coro della cappella della Cintola nel duomo (Marchini, 1963). Il Milanesi ignora pure un probabile secondo cugino di costui, Domenico di Zanobi, al quale nel 1514 viene commissionato a metà con un Giuliano di Giovanni soprannominato il Pollastra il coro che tuttora si può vedere, gravemente rimaneggiato, in S. Maria della Quercia a Viterbo (Pinzi, 1890).
Alla stessa generazione, sebbene verosimilmente più giovane, appartiene quel Giovambattista di Marco che è senza dubbio il più celebre rappresentante della famiglia (ad vocem). Dei suoi figli, Filippo è ricordato per aver intrapreso nel 1555 il suo discepolato presso il Cellini, Marco per aver intagliato nel 1564 le polene di due galee, e Domenico per aver lavorato tra il 1555 e il 1562 a un soffitto di palazzo Vecchio (già palazzo della Signoria), per aver eseguito nel 1585 le cornici di alcuni ritratti medicei (Giglioli, 1909) e per aver iniziato, entro il 1593, lo studiolo grande di Ferdinando 1 de' Medici, completato poi da Christoph Paur ed oggi non più esistente (Heikamp, 1963).
Con un nipote di Domenico, Zanobi, la famiglia si estinse, rinunciando nel 1615 alla sepoltura avita in S. Ambrogio.
Fonti e Bibl.: B. Cellini, Itrattati... [1565-67], a cura di C. Milanesi, Firenze 1857, p. 261;G. Vasari, Le vite ... [1568], a cura di Id., III, Firenze 1878, pp. 203, 342, 347-54; IV, ibid. 1879, p. 523; V, ibid. 1880, pp. 24, 617; VI, ibid. 1881, pp. 68, 89, 91, 95 s., 238, 256 s., 452 s.;VII, ibid. 1881, pp. 10, 22, 25, 203, 696 s.; F. Bocchi-G. Cinelli, Le bellezze della città di Firenze, Firenze 1677, pp. 85, 172, 216, 565;G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, II, Firenze 1755, pp. 40, 242; III, ibid. 1755, pp. 258 s.; V, ibid. 1757, p. LXI; IX, ibid. 1761, p.84;D.M. Manni, Ragionamento istor. sovra i carri che si conducono al tempio di S. Giovanni Batista di Firenzela mattina del santo, Firenze 1766, pp. XVIII ss., XXXV; G. Gaye, Carteggio ined. d'artisti dei secoliXIV, XV, XVI, I, Firenze 1839, pp. 581 s., 584, 588 s.; II, ibid. 1840, pp. 52 s., 330 s., 455; P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de' suoitempi, II, Firenze 1861, pp.CCCXLIIss.; G. Milanesi, ID. intagliatori di legname e scultori fiorentini, in IlBuonarroti, V (1870), pp. 209-217; A. Rossi, Maestri e lavori di legname in Perugia neisecoli XV e XVI, in Giornale di erudizione artistica, I (1872), pp. 70 ss., 97 ss., 101, 105;G. Milanesi, ID. intagliatori fiorentini de' secc. XV eXVI, in Sulla storia dell'arte toscana: scritti vari, Siena 1873, pp. 343-56;G. Rossi, Storia artisticadel Cambio di Perugia, in Giornale di erudiz. artistica, III (1874), p. 7;D. Francioni, Storia del ss. miracolo seguito in Firenze nel 1230nella ven. chiesa di S. Ambrogio, Firenze 1875, p. 223;R. Erculei, Catalogo delle opere antiche d'intaglio e intarsioin legno esposte nel 1885 a Roma..., Roma 1885, pp. 47 s., 53 s., 66-69; C. Pinzi, Memorie e documenti inediti sulla basilica di S. Maria della Quercia..., in Arch. stor. dell'arte, III (1890), pp. 305, 320 s.;C. Scherer, Technik und Geschichte der Intarsia, Leipzig 1891, pp. 35-38;G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell'arte toscana dal XIIal XVI secolo, Roma 1893, pp. 162 s.; A. Chiappelli, Di un lavoro sconosciuto dei Tasso intagliatoriper la chiesa dei servi in Pistoia, in Bull. storico pistoiese, III (1901), pp. 8-12; A. Venturi, Storiadell'arte ital., VI, Milano 1908, p. 692; X, 1, ibid. 1935, pp. 260-64; X, 2, ibid. 1936, pp. 178-81; XI, 2, ibid. 1939, pp. 572-75; J.Mesnil, La cappella del Miracolo in S. Ambrogio e una tavola diAlessio Baldovinetti, in Rivista d'arte, III (1905), pp. 88 s.; H. P. Horne, A newly - discovered altarpiece by Alessio Baldovinetti, in The BurlingtonMagazine, VIII (1905-06), pp. 52, 59;K. Frey, Studien zu Michelangelo Buonarroti und zur Kunstseiner Zeit. C. Die Sala del Consiglio Grande imPalazzo della Signoria zu Florenz, in Jahrbuch derK. Preuszischen Kunstsammlungen, XXX (1909), Suppl, pp. 115 s., 120 ss.; G. Poggi, Note su Filippino Lippi..., in Riv. d'arte, VI (1909), pp. 305-308; O.H. Giglioli, Di alcuni ritratti dei Medici, ibid., p. 322;G. Ferrari, Illegno nell'arte ital., Milano s. d. [1910], pp. 8 s., 15;K. Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, I, München 1923, pp. 20, 58, 169, 332, 359, 443, 752; II, ibid. 1930, pp. 83, 93, 101; A. Lorenzoni, Cosimo Rosselli, Firenze 1921, pp. 25, 87 n. 40;L. Cendali, Giuliano e Benedetto da Maiano, Sancasciano Val di Pesa 1926, pp. 44, 90, 126, 178, 186;M. Tinti, Il mobilio fiorentino, Milano-Roma s.d. [1928], pp. 50 ss.; A. Lensi, Palazzo Vecchio, Milano-Roma 1929, ad Indicem;M. Tinti, Über einige unpublizierte florentiner Möbel, in Belvedere, IX (1930), 2, pp. 40ss.; R. Piattoli, Ilmonastero delParadiso presso Firenze nella storia dell'arte delprimo Quattrocento, in Riv. d'arte, XVIII (1936), p. 295;M. Wachernagel, The world of the Florentine Renaissance artist: projects and patrons, workshop and art market [1938], Princenton 1981, adIndicem;U.Middeldorf, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXXII, Leipzig 1938, pp. 459-61 (sub voces);W.-E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I-VI, Frankfurt am Main 1940-54, ad Indicem nel vol. VI;J. Wilde, The hall of the Freat Council ofFlorence, in Journal of the Warburg and CourtauldInstitutes, VII (1944), pp. 71, 76; P.Voit, Unabottega in via dei Servi, in Acta historiae artium, VII (1961), 3 -4, pp. 193 s.; D. Heikamp, Zur Geschichte der Uffizien Tribuna und der Kunstschränke in Florenz und Deutschland, in Zeitschrift fürKunstgeschichte, XXVI (1963), pp. 222, 226, 250 s.; G. Marchini, Iltesoro del duomo di Prato, con documenti inediti ritrovati da R. Nuti e R. Piattoli, Milano 1963, pp. 61, 120 n. 146; J. Shearman, Andrea del Sarto, Oxford 1965, I, pp. 8, 94 s.; II, pp. 255, 257; E. Borsook, Documenti relativi alle cappelle di Lecceto e delle Selve diFilippo Strozzi, in Antichità viva, IX (1970), 3, pp. 7, 12 n. 70; J. Shearman, The Florentine "entrata" of Leo X, 1515, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXXVIII (1975), pp. 145 n. 28, 149 n. 40; E. Borsook, Cult andimagery at S. Ambrogio in Florence, in Mitteil. desKunsthistor. Institutes in Florenz, XXV (1981), pp. 176 ss., 183, 200 nn.201, 211; M. Ferretti, Imaestri della prospettiva, in Storia dell'arte italiana (Einaudi), XI, Forme e modelli, Torino 1982, pp. 461 s., 525, 526 s.; A. Guidotti, in La badiafiorentina, Firenze 1982, ad Indicem, E. Molinier, Histoire générale des arts appliqués a l'industrie..., Pariss. d., II, pp. 68 ss.; Enc. Ital., XII, p. 571.