TESSA, Delio
– Nacque il 18 novembre 1886 a Milano, da Sénio, impiegato alla Cassa di risparmio delle provincie lombarde, e da Clara Besozzi, entrambi di origine milanese.
Figlio unico, visse con i genitori nella casa di via Fieno e poi, dal 1895, al n. 1 di via Olmetto. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Milano, salvo compiere gite estive con la famiglia a Moltrasio, sul lago di Como. Si iscrisse al liceo Cesare Beccaria: studente svogliato, prese lezioni private di latino da Leopoldo Fasanotti, che gli trasmise anche l’amore per la poesia in dialetto. Immatricolatosi alla facoltà di legge per l’anno accademico 1906-07, non eccelse neppure lì, tanto che, alla fine del secondo anno, non aveva sostenuto neppure un esame.
Dell’aprile del 1911 è I deslipp di Càmol (Le disdette di una famiglia), una delle sue prime poesie in milanese, dialetto di cui raccoglieva voci e modi di dire e in cui avrebbe composto tutte le sue liriche. L’8 dicembre successivo conseguì la laurea con il voto finale di 77/110, discutendo una dissertazione Del diritto di voto alle donne e due tesine: l’una in statistica, Se si possa accogliere la critica che Leone Tolstoi fa della dottrina di Malthus, e l’altra in diritto civile, Se le pellicole cinematografiche sono opere dell’ingegno, testimonianza di un amore per il cinema destinato a durare tutta la vita.
Iscrittosi ai corsi di filosofia dell’Accademia scientifico-letteraria, aveva però già cominciato a esercitare l’avvocatura presso lo studio dell’avvocato Catullo Frigerio in via Durini. Nutrì una passione amorosa, non corrisposta, per Jole Bertoglio, che ebbe fine nel 1912: un’esperienza che lo dissuase dall’impegnarsi in altre relazioni sentimentali. A quest’anno risalgono le liriche El cavall de bara (Il cavallo da tiro), Primavera e Sui scal (Sulle scale).
Assieme all’amico avvocato Carlo Fortunato Rosti, poi divenuto pittore, si trasferì nel 1914 in uno studio in via Spiga. Pur occupato nella pratica forense (fu anche giudice conciliatore), si diede a comporre altre poesie, come Caporetto 1917, nel marzo-giugno del 1919, dedicata all’amica pittrice Elisabetta Keller. Nel 1922 spostò il suo studio in uno stabile a pianterreno al numero 11 di via Rugabella, condividendolo con l’ingegner Pier Giorgio Vanni e Keller, in seguito sposi.
Dopo la morte del padre, il 17 dicembre 1925, Tessa, la madre e la governante Margherita lasciarono la casa di via Olmetto per un appartamento in viale Beatrice d’Este 17.
Del 1930 sono le poesie La tosa del borgh (La ragazza di quartiere), con dedica a Luigi Rusca, e La mort della Gussona (La morte della signora Gussoni) nella sua redazione definitiva. Grazie a Rusca, direttore della Mondadori, poté pubblicare presso quest’ultima, nel 1932, L’è el dì di mort, alegher! (“È il giorno dei morti, allegri!”), sua unica raccolta poetica apparsa in vita, contenente (come recitava il sottotitolo) «nove saggi lirici in dialetto milanese con testo esplicativo in lingua».
Nella Dichiarazione iniziale, fondamentale per comprendere la sua filosofia compositiva, Tessa individuava nel popolo che parla l’unico maestro e nel dialetto dei sobborghi meneghini una lingua musicale, viva e mutevole, formulazione di una libertà d’inventiva che sapeva avvalersi all’occorrenza anche di neologismi e di termini italiani. Adattando la medesima libertà in poesia, Tessa sottolineava la preminenza delle ragioni espressive del poeta dialettale sulle stesse regole ortografiche del suo idioma e perfino sulla metrica, per cui citava le dieresi di Purgatorio XX, 136 come sublime esempio di adattamento prosodico (e dunque di autonomia autoriale). La raccolta, aperta da La pobbia de cà Colonetta (Il pioppo di casa Colonnetti), che scopriva una reminiscenza pascoliana, doveva comprendere anche La poesia della Olga. Canzon, dedicata all’amico Arturo Toscanini, su cui però Tessa continuò a intervenire nei tre o quattro anni seguenti. Con una tiratura di 1600 esemplari numerati, L’è el dì di mort, alegher! passò quasi inosservato, subendo così la sorte che il fascismo decretava per gli autori alloglotti, specialmente se satirici (come era stato Tessa in qualche occasione pubblica) nei confronti del regime.
Sempre nel 1932 scrisse la sceneggiatura di Vecchia Europa, esempio di ‘cinema-poema’ influenzato da René Clair (cui probabilmente inviò il copione, che infatti recava una presentazione in francese). L’anno successivo, mentre usciva una recensione di Benedetto Croce alla sua raccolta, si impegnò in una sceneggiatura, rimasta inedita, per un altro film, Uomini maledetti (storia di un magnate industriale e della sua decadenza fisica e lavorativa per una malattia terminale), e nella pubblicazione di scritti cinematografici in Il Boccadoro: arte, letteratura, polemica (Pavia), in cui esordì il 31 dicembre recensendo Io sono un evaso di Mervyn LeRoy. Nel 1934 iniziò invece a collaborare con il Radioprogramma della Radio della Svizzera italiana.
Nel primo intervento, Perché scrivo in dialetto? (1° febbraio 1934), ribadì quanto sostenuto nella Dichiarazione: la superiorità espressiva e musicale del dialetto rispetto alla lingua. Già lettore e dicitore di Carlo Porta, fece riscoprire al pubblico del Radioprogramma alcune opere in dialetto milanese: le poesie di Giovanni Ventura (27 maggio 1934) e la commedia Ona famiglia de cilapponi di Carlo Dossi (16 marzo 1935). Fu incluso nell’antologia mondadoriana Scrittori nostri, a cura di Emilio Ceretti (Milano 1935).
La prosa Toscanini a casa sua, del 14 marzo 1936, inaugurò la collaborazione con L’Illustrazione ticinese, in cui apparve anche un articolo su Trilussa, di cui pure era amico, il 30 maggio successivo. Forse di questo periodo è anche il pezzo, rimasto inedito e conservato presso la Biblioteca comunale di Milano, su Giuseppe Gioachino Belli, di cui Tessa dichiarava di apprezzare la scelta di raccogliere le voci dialettali «nelle piazze e nei trivii». Un cospicuo numero di scritti accolse poi il quotidiano milanese L’Ambrosiano, cui inviò piccole tranches de vie e descrizioni di vita cittadina, «un po’ sul tipo di Cletto Arrighi» (Linati, 1982, p. 65), in italiano ma con le parti dialogiche in dialetto.
Lette tutte assieme, queste prose costituivano tante tappe di un viaggio nel cuore di Milano, filtrate attraverso lo sguardo disincantato, eppur venato di vis comica, del narratore flâneur, frequentatore di tram, curioso del mondo popolare e impiegatizio, attratto dai volti delle persone, ma anche da ville e giardini abbandonati, e debitore in più di un caso del recente crepuscolarismo. In una delle più note, Piazza Vetra (la vecchia) (2 settembre 1936), Tessa offriva uno scorcio di uno dei luoghi popolari della Milano entre-deux-guerres, cui riconosceva il merito di avergli insegnato «quel poco» che sapeva di dialetto.
Presentò i film italiani alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (in Corriere del Ticino, 8 settembre 1936; L’Illustrazione ticinese,10 ottobre 1936); celebrò Charlie Chaplin (prendendo spunto da Il mio amico Charlot di Enrico Piceni: v. Corriere del Ticino, 17 aprile 1937), Walt Disney e Frank Capra (ibid., 1° maggio 1937).
Fra le prose autobiografiche di questo periodo sono le Brutte fotografie di un bel mondo, che racchiudevano già nel titolo intenti e contenuto: la rievocazione dell’infanzia e della giovinezza, accompagnata dagli esperimenti fotografici fatti al tempo. Le prime due puntate apparvero nella rivista comasca Broletto, n. 19-20 (luglio-agosto 1937) e n. 22 (ottobre 1937); la terza in L’Illustrazione ticinese (1° gennaio 1938). Dopo un secondo articolo su L’ultimo Trilussa nel Corriere del Ticino del 10 maggio 1938 e uno su Emilio De Marchi e il suo mondo in Le vie d’Italia il mese successivo, cui seguì una recensione a due poeti in dialetto milanese (Adelio Mazza e Alvaro Casartelli) in L’Ambrosiano del 25 agosto, pubblicò la quarta e ultima puntata delle Brutte fotografie sul Broletto, n. 33 (settembre 1938). Fu inserito nella crestomazia Poeti milanesi contemporanei, allestita da Severino Pagani per l’editore Ceschina (Milano 1938).
I suoi ultimi interventi, Il Teatro alla Scala e la sua orchestra, per il Radioprogramma, e Color Manzoni (omaggio a I promessi sposi) nel Corriere del Ticino datano, rispettivamente, 26 agosto e 12 settembre 1939.
Per un’infezione cagionata da un ascesso a un dente morì infatti, a Milano, il 21 settembre 1939, assistito dagli amici e dalla madre. Assecondando la sua volontà, fu sepolto in un campo comune nel cimitero di Musocco. Nel 1950 le sue spoglie furono trasferite al cimitero Monumentale di Milano.
Opere. Per interesse di Franco Antonicelli e Rosti, depositario delle carte tessiane, era uscita la raccolta Poesie nuove ed ultime. Saggi lirici in lingua milanese corredati delle pagine del dicitore, presso De Silva (Torino 1947). Una seconda edizione di L’è el dì di mort, alegher! comparve, per cura di Rosti, presso i tipi di All’insegna del pesce d’oro (Milano 1960), che stampò anche Alalà al pellerossa: satire antifasciste e altre poesie disperse, a cura di Dante Isella (Milano 1979). Il volume Ore di città, che include le prose tessiane, fu dapprima edito da Scheiwiller (Milano 1984) e quindi riedito da Einaudi, ancora a cura di Isella (Torino 1988).
Fonti e Bibl.: Per i fondi archivistici presso i quali sono conservate carte autografe di Tessa, materiali vari e corrispondenza, si rinvia a Isella, 1999, pp. 517 s., con riferimento specifico a: Pavia, Fondo Rosti-Milanesi; Cologno Monzese, Carte Keller; Biasca (Canton Ticino), Carte Salmini; Livorno, Biblioteca dei Portuali, Carte Antonicelli; Carte Rusca (all’epoca di proprietà dello stesso Isella); Modena, Biblioteca Estense universitaria, Archivio editoriale A.F. Formiggini.
Si vedano, inoltre: B. Croce, Poesia dialettale, in La Critica, XXXI (1933), pp. 156-158; P. Pancrazi, Ricordo di D. T., in Id., Scrittori d’oggi, s. 4, Bari 1946, pp. 251-255; C. Linati, «El Tessa», in Id., Il bel Guido..., a cura di G. Lavezzi - A. Modena, Milano 1982, pp. 60-77; D. T. Immagini e documenti nel centenario della nascita, a cura di A. Stella et al., s.l. [ma Pavia] 1986; I morti non si fanno mai vivi, a cura di A. Stella, in Autografo, XV (1988), pp. 65-77; G. Anceschi, D. T., Milano 1990; D. Isella, Introduzione, Nota al testo e Apparati..., in D. Tessa, L’è el dì di mort..., I-II, Torino 1999, I, pp. VII-XXX, II, pp. 507-561; M. Novelli, I “Saggi lirici” di D. T., Milano 2001; M. Pisani, D. T. studente all’Università di Pavia, in Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere, Rendiconti, 2014, vol. 148, pp. 133-139.