DELLA PALLA, Giovanni Battista
Nacque a Firenze, nel quartiere di S. Maria Novella, il 4 ag. 1489 da Marco di Mariotto, speziale. Scarse sono le notizie sulla sua vita, fino a quando non lo troviamo fra i frequentatori della seconda generazione degli Orti Oricellari, insieme a Filippo de' Nerli, Anton Francesco Albizzi, Iacopo Nardi, Antonio Brucioli, oltre a Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni, con i quali fu sempre in rapporti amichevoli e di stretta collaborazione. Fu in quell'ambiente che si legò d'amicizia con Machiavelli, il cui insegnamento ebbe probabilmente grande influenza sul suo comportamento negli eventi politici successivi. A testimonianza dell'affettuoso rispetto del D. per l'amico più anziano sono rimaste alcune tracce nell'epistolario del Machiavelli stesso, che lo annovera anche tra gli interlocutori dell'Artedella guerra.
Il Varchi lo dice "facultoso e di buone sustanze" e che "viveva più che da privato ed era bel parlatore, ma favellava con lo strascico" (II, p. 511) ed il Nardi afferma che era stato "familiarissimo servitore ed affezionato di Giuliano de' Medici" (II, p. 66), tanto che aveva avuto da questo la promessa di essere elevato al cardinalato: la morte di Giuliano lo aveva privato di tale onore; tuttavia il D., che allora soggiornava a Roma, aveva continuato a prestare ossequio a Leone X, anche "con grande diminuzione delle sue proprie facultà" (ibid., p. 67). Aveva infatti donato al pontefice alcune "fodere di preziosi zibellini" ed in cambio aveva ottenuto dal papa la promessa della prima scrittoria che fosse risultata vacante. Non essendosi presentata la possibilità di ottenerla prima della morte di Leone X, il dono gli venne restituito per cura particolare del cardinal Soderini, al quale il D., per gratitudine, divenne devotissimo. Durante il periodo del conclave per l'elezione del nuovo pontefice, il D. rimase a Roma e continuò a corrispondere con gli amici Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni per tenerli informati di quanto andava accadendo e, in particolare, dei maneggi del Soderini.
Sarebbe quindi da attribuire a motivi di carattere privato la sua partecipazione alla congiura del 1522, mirante ad uccidere il cardinale Giulio de' Medici ed a sovvertire il governo di Firenze. In tali circostanze il ruolo del D. fu essenzialmente quello di tramite fra i congiurati che operavano a Firenze ed il re di Francia. Sappiamo infatti dalla confessione resa da Niccolò Martelli, nel corso del processo istruito contro di lui a Civitavecchia nel 1526 (cfr. Documenti della congiura, pp. 239-267), che il D. era stato inviato alla corte di Francesco I al fine di ottenere dal re assenso e sostegno all'azione dei cospiratori.
Il complotto, maturato nell'ambito culturale degli Orti Oricellari, si ispirava al più ampio movimento ostile ai Medici fomentato dal cardinal Soderini ed appoggiato dall'esterno dal re di Francia. I congiurati prevedevano, in concomitanza dell'uccisione di Giulio de' Medici, l'intervento armato del condottiero Renzo da Ceri che, alla guida di armati del cardinal Soderini e di Francesco I, avrebbe dovuto marciare su Firenze attraverso la Val di Chiana, mentre le galee genovesi avrebbero fatto la loro comparsa nel porto di Livorno e gli uomini del duca di Ferrara avrebbero fatto irruzione nel territorio fiorentino attraverso la Garfagnana. A ciò sarebbe seguita una modificazione istituzionale del regime di Firenze: sarebbe stato rieletto gonfaloniere a vita Pier Soderini, affiancato da otto signori, con carica bimestrale, e sarebbe stato istituito un ufficio di otto, di durata triennale, senza il quale gonfaloniere e signori non avrebbero avuto sufficiente autorità per deliberare.
Dopo un breve soggiorno a Lucca, ove aveva messo al corrente della congiura Tommaso di Giovanni Vettori e Tommaso di Pierantonio Soderini, ottenendo da quest'ultimo la promessa di un invio di uomini a Renzo da Ceri, il D. giunse a Digione, ove allora risiedeva Francesco I. Da quel momento egli riuscì a conquistarsi le simpatie del re, di sua sorella Margherita, la duchessa d'Alençon, e della madre, Luisa di Savoia, e seguì la corte in tutti i suoi spostamenti. Gli fu così possibile ottenere il favore del sovrano all'azione dei congiurati: quando giunse in Francia, quale inviato di questi ultimi, Niccolò Martelli, il D. fu il tramite di un suo abboccamento con Francesco I, a seguito del quale il Martelli ottenne le credenziali necessarie per presentarsi a Renzo da Ceri, al governatore di Genova ed al duca di Ferrara al fine di sollecitare il loro intervento.
La progettata impresa si risolse tuttavia in un insuccesso generale: la spedizione di Renzo da Ceri, dopo l'inutile assalto di Chiusi, Siena e Orbetello, si tradusse in un fallimento e né i Genovesi né il duca di Ferrara mantennero fede agli impegni assunti. In quelle circostanze i congiurati evitarono di scoprire i loro piani, ma la cattura di un corriere fece precipitare la situazione. Nell'aprile del 1522 venne infatti arrestato a Firenze Francesco D'Asti che portava a Genova, a Firenze, a Lucca e a Roma lettere di diversi fiorentini residenti a Lione e in particolare del Della Palla. Inizialmente non venne data particolare importanza alla sua cattura in quanto non gli furono trovate addosso carte compromettenti: fu solo il 22 maggio, a seguito dell'arresto e della confessione di Iacopo Cattani da Diacceto, che divennero noti i piani dei congiurati. La repressione fu violenta e immediata: Iacopo da Diacceto e Tommaso di Luigi Alamanni furono decapitati (7 giugno 1522) e tutti coloro che risultavano essere implicati nel complotto vennero perseguiti.
Per il D., che ancora soggiornava in Francia, gli Otto di balia emisero due citazioni, il 6 ed il 16 giugno 1522, a comparire davanti al magistrato: il 3 luglio, non essendosi presentato, egli venne dichiarato ribelle ed assoggettato al sequestro di tutti i beni. La notizia della scoperta della congiura, della condanna per ribellione e della confisca dei beni dei cospiratori, portata dai mercanti fiorentini, suscitò grande scalpore in Francia. Il D., che abitava in casa di Antonio Gondi, socio di Zanobi Buondelmonti, fu costretto a lasciarne l'abitazione e trovò ospitalità presso Giuliano Buonaccorsi, tesoriere di Provenza. Fu poi grazie all'intervento di Giovanni Girolami, giunto allora da Roma per conto del cardinale Soderini, che il D., come altri congiurati, poté ottenere dal re un salvacondotto per la propria persona e per i propri beni nel regno di Francia.
Sappiamo comunque dal Martelli che la notizia della scoperta della congiura aveva destato nel D. gravissime preoccupazioni: in un primo momento gli era infatti ignota la sorte toccata al Buondelmonti e all'Alamanni, suoi amici fraterni. Egli continuò comunque a risiedere presso la corte ove lo raggiunse la notizia che i due erano riusciti a mettersi in salvo ed avevano trovato asilo a Venezia. In una lettera del 21 luglio l'Alamanni chiedeva consiglio al D. sull'opportunità per i due esuli di raggiungerlo in Francia: un mese dopo i due erano a Lione da dove indirizzavano all'amico altre lettere, pregandolo di raggiungerli quanto prima. Sappiamo, ancora dal resoconto del Martelli, che il D. venne inviato a Lione proprio dal re con l'incarico per il Buondelmonti e l'Alamanni di tornare a Venezia per una missione che aveva presumibilmente il fine di tenere lontani dalla Francia i due scomodi personaggi.
Del 22 settembre è la lettera del Buondelmonti e dell'Alamanni con cui rendevano nota al D. la loro cattura da parte degli Svizzeri e con cui invitavano l'amico ad adoperarsi presso il re per ottenere la loro liberazione. Questo avvenimento offrì al D. e ad altri fiorentini influenti, quali il Girolami ed il Buonaccorsi, l'occasione di attirare l'attenzione del sovrano sui due: era stata infatti messa in circolazione la voce secondo la quale il cardinale de' Medici aveva offerto agli Svizzeri la somma di 4.000 ducati per farsi consegnare i prigionieri. I due vennero comunque liberati grazie al particolare interessamento del D. ed all'intervento di Clemente Champion, agente implicato in tutti gli intrighi del partito francese in Italia, mentre il danaro per il loro. riscatto venne fornito da Roberto Albizzi, console della nazione fiorentina a Lione. Il 21 dicembre l'Alamanni e il Buondelmonti erano già rientrati in Francia se potevano scrivere da Lione al D. per esprimergli la loro gratitudine. Il D. non si lasciò sfuggire l'occasione per presentarli al re e si fece raggiungere a Parigi, ove i tre amici soggiornarono fino all'estate del 1523.
Successivamente seguì Francesco I nei suoi spostamenti ad Aix e ad Avignone e quindi a Milano, nella campagna d'Italia. Nel periodo maggio-agosto 1525 lo troviamo nuovamente ad Aix, dove evidentemente era rientrato dopo la disfatta dell'esercito francese a Pavia.
Dopo questa data e dopo la stipulazione della lega di Cognac, che aveva annullato le speranze dei fuorusciti di tornare a Firenze con l'aiuto francese, anche il D. rientrò in Italia e trovò asilo a Siena, ostile al governo mediceo di Firenze. Egli compì infatti, insieme al Buondelmonti, un viaggio a Napoli (Varchi, I, p. 111) per prendere segretamente accordi con gli Imperiali. In quell'occasione i due esuli ebbero un incontro con Filippo Strozzi, che vi si trovava in qualità di ostaggio di Ugo di Moncada: si mirava, anche con l'assenso di Francesco Vettori, di Niccolò Capponi e di altri fiorentini, a guadagnare il favore del viceré e ad ottenere la protezione nel caso fosse stato possibile sottrarre Firenze alla balia di Clemente VII.
Il D. fu inoltre coinvolto nel tentativo di sollevare Firenze contro i Medici suggerito dai Senesi. Questi ultimi, profittando della carestia che minacciava Firenze e del grave aumento del prezzo del grano, decretarono il 12 apr. 1527 che, in caso di rivolta spontanea, avrebbero provveduto ad inviare alla città abbondanti quantitativi di grano a prezzo ribassato. Con una lettera indirizzata alla Signoria, ma fatta stampare e circolare come proclama, il D., insieme con l'Alamanni, si incaricò di rendere pubblica la notizia presso il popolo fiorentino.
Fu comunque dopo che i Medici e il cardinal Passerini avevano lasciato Firenze (17 maggio 1527) che fu possibile al D. rimettere piede nella città: con deliberazione del 20 maggio dello stesso anno il nuovo governo fiorentino aveva infatti proclamato l'amnistia per tutti i condannati politici del regime. Da quel momento le vicende biografiche del D. sono strettamente connesse con gli avvenimenti che travolsero Firenze.
Il suo nome è tuttavia legato, nella memoria dei contemporanei, all'inviò di oggetti d'arte a Francesco I, presso il quale fu mandato come ambasciatore nel marzo 1528. Il Varchi afferma che egli "spogliò Firenze di quante sculture, pitture, medaglie e altri ornamenti antichi ch'egli in qualunque modo aver potette e le mandò al re Francesco" (II, p. 512);secondo il Busini (p. 94)faceva "mercanzia di statue ed anticaglie"; dal Vasari sappiamo che egli commissionò ad Andrea del Sarto due quadri, raffiguranti rispettivamente Abramo e Isacco ed una Carità, che, dopo la morte del pittore e la cattura del D., andarono ad altri acquirenti (V, pp. 50 s.),e che acquistò, sempre per Francesco I, da Agostino Dini, ministro di Filippo Strozzi, un Ercole di Michelangelo (ibid., VII, p. 145).L'episodio più celebre di questa sua attività è tuttavia costituito dal tentativo di sequestro, autorizzato dalla Signoria, di alcune decorazioni lignee di Iacopo da Pontormo appartenenti a Pierfrancesco Borgherini. In quell'occasione, per quanto il dono dovesse servire a propiziare a Firenze il re di Francia, da cui ci si attendevano aiuti tangibili nel momento del bisogno, il D. venne gravemente ingiuriato dalla moglie del Borgherini e non poté effettuare la requisizione (ibid., VI, pp. 262 S.).
Nell'assedio di Firenze egli fu ostile a qualunque accordo: nell'appello che rivolse a Michelangelo, che aveva abbandonato la città, a farvi ritorno per prestare la sua opera, rende conto del suo stato d'animo in quel frangente: "io mi truovo vuoto d'ogni timore, ma ripieno di tanta speranza d'una gloriosa vittoria, et da alcuni giorni in qua di tanta letizia nello animo ..." (Roth, p. 292).
Dopo la caduta della Repubblica e la restaurazione medicea, fu tra coloro sui quali si accanì la repressione: nel novembre del 1530 venne confinato a vita nella fortezza nuova di Pisa, ove venne trovato morto, nel 1532, probabilmente per avvelenamento. Il Varchi afferma che "l'occasione del suo confino e forse morte fu per l'avere egli fatto levare alcune statue di marmo dall'orto dei Rucellai" (II, p. 512), ma che il vero motivo della sua morte è da ricercarsi nell'inimicizia di Clemente VII.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, CarteCeramelli Papiani, n. 3552;Ibid., Raccolta geneal. Sebregondi, n. 3987; Ibid., Cittadinario fiorentino, n.1, quartiere S. Maria Novella, c.51; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, Firenze 1838-1841,III, ad Ind.; Docum. della congiura fatta contro il cardinale Giulio de' Medici nel 1522, a cura di C. Guasti, in Giorn. stor. degli Archivi toscani,III (1859), pp. 121-150, 185-232, 239-267;G. B. Busini, Lettere a Benedetto Varchi sopral'assedio di Firenze,Firenze 1860,p. 94;G. Vasari, Le opere,a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 50 s.;VI, ibid. 1881, pp. 262 s.;VII,ibid. 1881, p. 145; I.Nardi, Istorie della città diFirenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1888, II, pp. 66 s.; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, pp. 383, 387-390, 394 s.; P.Villari, Niccolò Machiavelli ed i suoi tempi, III,Firenze 1882, ad Ind.;A. Rossi, F. Guicciardini e il governo fiorentino dal 1527 al 1540, Bologna 1896-1899, I, pp. 22, 230;I.Nardi, I due felici rivali,a cura di A. Ferrajoli, Roma 1901, pp. XXIII-XXVI; H. Hauvette, Un exilé florentin à la cour de France au XVIe siècle. Luigi Alamanni (1495-1556). Sa vie et son oeuvre, Paris 1903, ad Ind.; C.Roth, L'ultima repubblica fiorentina, Firenze 1929, ad Ind.; R. Ridolfi, Vita di N. Machiavelli, II,Firenze 1969, ad Ind.; R. von Albertini, Firenze dalla Repubblica al Principato, Torino 1970, ad Indicem.