Della Palla, Giovanni Battista
Nacque a Firenze, nel quartiere di S. Maria Novella, il 4 agosto 1489 da Marco di Mariotto, speziale. Scarse sono le notizie sulla sua vita, fino a quando non lo troviamo tra i frequentatori della seconda generazione degli Orti Oricellari, insieme a Filippo de’ Nerli, Anton Francesco degli Albizzi, Iacopo Nardi, Antonio Brucioli, oltre a Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni, con i quali fu sempre in rapporti amichevoli e di stretta collaborazione. Fu in quell’ambiente che si legò d’amicizia con M., il cui insegnamento ebbe probabilmente grande influenza sul suo comportamento negli eventi politici successivi. A testimonianza dell’affettuoso rispetto di D. P. per l’amico più anziano, sono rimaste alcune tracce nell’epistolario di M. stesso: è citato, con Buondelmonti e Amerigo Morelli, come compagno di M. a Firenze nella celebre lettera sull’Asino (M. a Lodovico Alamanni, 17 dic. 1517) e, sempre nell’ambito delle frequentazioni oricellarie, come lettore ammirato – con gli altri – della Vita di Castruccio Castracani (missiva di Buondelmonti a M., 6 sett. 1520). Nella risposta a M. da Roma del 26 aprile 1520, D. P. lo aggiorna sulle trattative con Leone X per il pagamento di un’ingente somma, una parte della quale doveva giungere allo stesso M.; e, inoltre, sui primi passi per fargli avere «una provisione per scrivere o altro», riguardo alla quale il papa incarica D. P. di manifestare al cardinale Giulio de’ Medici, che allora reggeva il governo di Firenze, la propria benevolenza nei confronti di Machiavelli. Sono i preliminari che condurranno all’incarico di redigere le Istorie fiorentine. D. P. si fa aperto promotore dell’amico presso il papa, lodandone lo «iudicio» e l’«ingegno» tanto apprezzati nella «compagnia» oricellaria, e anticipando al pontefice la convinzione che la Mandragola «l’abbia asai a dilettare». Da parte sua M. elegge D. P. a interlocutore nell’Arte della guerra, affidandogli il compito di dialogare con Fabrizio Colonna negli ultimi due libri dell’opera (VI e VII). Non ci sono altre citazioni di D. P. nell’opera di Machiavelli.
Benedetto Varchi dice che D. P. era «facultoso e di buone sustanze» e che «viveva più che da privato ed era bel parlatore, ma favellava con lo strascico» (Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 2° vol., 1843, p. 511), e Iacopo Nardi afferma che era stato «familiarissimo servitore ed affezionato di Giuliano de’ Medici» (Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, 2° vol., 1888, p. 66), tanto che aveva avuto da questi la promessa di essere elevato al cardinalato, ma la morte di Giuliano lo aveva privato di tale onore; tuttavia D. P., che allora soggiornava a Roma, aveva continuato a prestare ossequio a Leone X, anche «con grande diminuzione delle sue proprie facultà» (p. 67). Durante il periodo del conclave per l’elezione del nuovo pontefice, D. P. rimase a Roma e continuò a corrispondere con gli amici Buondelmonti e Alamanni per tenerli informati di quanto andava accadendo e, in particolare, dei maneggi del cardinale Francesco Soderini.
Sarebbe quindi da attribuire a motivi di carattere privato la sua partecipazione alla congiura del 1522, mirante a uccidere il cardinale Giulio de’ Medici e a sovvertire il governo di Firenze. In tali circostanze il ruolo di D. P. fu essenzialmente quello di tramite fra i congiurati che operavano a Firenze (tra cui i due amici oricellari interlocutori nell’Arte della guerra, Buondelmonti e Alamanni) e il re di Francia. Sappiamo, infatti, dalla confessione resa successivamente da Niccolò Martelli, altro personaggio coinvolto nel complotto (cfr. Documenti della congiura..., a cura di C. Guasti, 1859, pp. 239-67), che D. P. era stato inviato alla corte di Francesco I al fine di ottenere dal re assenso e sostegno all’azione dei cospiratori.
I congiurati prevedevano, in concomitanza dell’uccisione di Giulio de’ Medici, l’intervento armato del condottiero Renzo da Ceri che, alla guida di soldati del cardinale Soderini e di Francesco I, avrebbe dovuto marciare su Firenze attraverso la Val di Chiana, mentre le galee genovesi avrebbero fatto la loro comparsa nel porto di Livorno e gli uomini del duca di Ferrara irruzione nel territorio fiorentino attraverso la Garfagnana.
Dopo un breve soggiorno a Lucca, D. P. giunse a Digione, dove allora risiedeva Francesco I. Da quel momento riuscì a conquistarsi le simpatie del re e seguì la corte in tutti i suoi spostamenti, ottenendo il favore del sovrano all’azione dei congiurati: quando giunse in Francia, quale inviato di questi ultimi, Martelli, D. P. fu il tramite di un suo abboccamento con Francesco I, a seguito del quale Martelli ottenne le credenziali necessarie per presentarsi a Renzo da Ceri, al governatore di Genova e al duca di Ferrara, al fine di sollecitare il loro intervento.
La progettata impresa si risolse tuttavia in un insuccesso generale: la spedizione di Renzo da Ceri, dopo l’inutile assalto a Chiusi, Siena e Orbetello, si tradusse in un fallimento e né i genovesi né il duca di Ferrara mantennero fede agli impegni assunti. Nell’aprile del 1522 venne arrestato a Firenze Francesco D’Asti, che portava a Genova, a Firenze, a Lucca e a Roma lettere di diversi fiorentini residenti a Lione e in particolare di Della Palla. Inizialmente non fu data particolare importanza alla sua cattura, in quanto non gli furono trovate addosso carte compromettenti: fu solo il 22 maggio, a seguito dell’arresto e della confessione di Iacopo Cattani da Diacceto, che divennero noti i piani dei congiurati. La repressione fu violenta e immediata: Iacopo da Diacceto e Luigi di Tommaso Alamanni furono decapitati (7 giugno 1522) e tutti coloro che risultavano essere implicati nel complotto perseguiti.
Per D. P., che ancora soggiornava in Francia, gli Otto di Balìa emisero due citazioni, il 6 e il 16 giugno 1522, a comparire davanti al magistrato: il 3 luglio, non essendosi presentato, venne dichiarato ribelle e assoggettato al sequestro di tutti i beni, ma grazie all’intervento di Giovanni Girolami, giunto allora da Roma per conto del cardinale Soderini, D. P., come altri congiurati, poté ottenere dal re un salvacondotto per la propria persona e per i propri beni nel regno di Francia.
Del 22 settembre è la lettera di Buondelmonti e di Alamanni con cui rendevano nota a D. P. la loro cattura da parte degli svizzeri e con cui invitavano l’amico ad adoperarsi presso il re per ottenere la loro liberazione. Questo avvenimento offrì a D. P. e ad altri fiorentini influenti, quali il già citato Girolami, l’occasione di attirare l’attenzione del sovrano sui due: era stata infatti messa in circolazione la voce secondo la quale il cardinale de’ Medici aveva offerto agli svizzeri la somma di 4000 ducati per farsi consegnare i prigionieri. I due vennero comunque liberati grazie al particolare interessamento di D. P. e all’intervento di Clemente Champion, agente implicato in tutti gli intrighi del partito francese in Italia, mentre il danaro per il loro riscatto venne fornito da Roberto degli Albizzi, console della nazione fiorentina a Lione. Il 21 dicembre Alamanni e Buondelmonti erano già rientrati in Francia, se potevano scrivere da Lione a D. P. per esprimergli la loro gratitudine. D. P. non si lasciò sfuggire l’occasione per presentarli al re e si fece raggiungere a Parigi, dove i tre amici soggiornarono fino all’estate del 1523.
Dopo la stipulazione della lega di Cognac, che aveva annullato di fatto le speranze dei fuorusciti di tornare a Firenze con l’aiuto francese, anche D. P. rientrò in Italia e trovò asilo a Siena, ostile al governo mediceo di Firenze. Ma solo dopo che i Medici e il cardinale Silvio Passerini lasciarono la città (17 maggio 1527) gli fu possibile rimettervi piede: con deliberazione del 20 maggio dello stesso anno il nuovo governo fiorentino aveva infatti proclamato l’amnistia per tutti i condannati politici del regime. Da quel momento le vicende biografiche di D. P. sono strettamente connesse con gli avvenimenti che travolsero Firenze. Il suo nome è tuttavia legato, nella memoria dei contemporanei, all’invio di oggetti d’arte a Francesco I, presso il quale fu mandato come ambasciatore nel marzo 1528.
Nell’assedio di Firenze egli fu ostile a qualunque accordo, e dopo la caduta della Repubblica e la restaurazione medicea fu tra coloro sui quali si accanì la repressione: nel novembre del 1530 venne confinato a vita nella fortezza nuova di Pisa, dove fu trovato morto, nel 1532, probabilmente a causa di un avvelenamento. Varchi afferma che «l’occasione del suo confino e forse morte fu per l’avere egli fatto levare alcune statue di marmo dall’orto dei Rucellai» (Storia fiorentina, cit., p. 512), ma che il vero motivo della sua morte è da ricercarsi nell’inimicizia di Clemente VII.
Bibliografia: B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 3 voll., Firenze 1838-1841, ad indicem; Documenti della congiura fatta contro il cardinale Giulio de’ Medici nel 1522, a cura di C. Guasti, «Giornale storico degli archivi toscani», 1859, 3, pp. 121-50, 185-232, 239-67; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1888.
Per gli studi critici si vedano: R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787, ad indicem; R. von Albertini, Firenze dalla Repubblica al Principato, Torino 1970, ad indicem.