Giovan Battista Della Porta
Della Porta non è mago, se per magia si intende commercio soprannaturale, per vantaggio del praticante, spesso con altrui danno. Egli piuttosto verifica le tradizioni magiche in quanto pratiche naturali ma ‘mirabili’, le libera da superstizione o demonismo, le interroga circa il loro profitto civile. Il suo disegno di ‘demagificazione’ della magia si colloca con ambizione e prudenza fra legalità tridentina e sperimentazione. Non senza ambiguità, sue, ma anche del quadro istituzionale e sociale che lo protegge e lo sorveglia. Collegata alla ricerca tecnologica, emergente anche nel teatro, la sua problematica magia naturalis più che preludere alla scienza servì, con vasta eco europea, l’idea di una natura al servizio dell’uomo.
Nato a Napoli (o a Vico Equense) nel 1535, dal nobile Nardo (o Leonardo) e da una sorella dello studioso di antichità Adriano Guglielmo Spadafora, ebbe a fratelli Francesco, Giovan Vincenzo e Ferrante, e una sorella il cui nome è ignoto; gli nacque da matrimonio la figlia Cinthia. La sua famiglia fu sospettata dal governo spagnolo a motivo dei rapporti con Ferrante Sanseverino, ribelle al viceré Pietro di Toledo nel 1552; nel 1485 il ramo salernitano dei Della Porta aveva peraltro seguito Antonello Sanseverino nella cosiddetta congiura dei baroni.
Giovan Battista ricevette educazione mondana, letteraria e musicale; crebbe nel variegato naturalismo napoletano. Fondò un’Accademia ‘dei Secreti’, con finalità di studio sperimentale. Nel 1558 pubblicò la Magia naturalis in quattro libri, dedicata a Filippo II, al quale presentò l’opera alla fine di alcuni viaggi che fra il 1561 e il 1566 lo portarono in Francia e in Spagna. Nel 1563 apparve il De furtivis literarum notis vulgo de ziferis libri IV, manuale di steganografia (un quinto libro sarà pubblicato nel 1602), e nel 1566 l’Arte del ricordare (versione italiana di una precedente opera latina, l’Ars reminiscendi, che sarebbe stata pubblicata solo nel 1602). Inquisito dal Santo Uffizio nel 1577-78, nel 1579 fu però assunto al servizio del cardinale Luigi d’Este. Lo impegnarono, per conto del cardinale, indagini a Padova, a Venezia (dove conobbe Paolo Sarpi) e a Napoli. Nel 1580 Jean Bodin lo accusò di essere mago ‘venefico’. Nel 1583-84, mentre la Magia naturalis veniva inserita nell’Indice dei libri proibiti di Spagna, pubblicò il Pomarium e l’Ulivetum (che sarebbero stati ristampati nel 1592 a Francoforte, con privilegio di Rodolfo II, come quinto e sesto libro di Villae libri XII). Nel 1586 uscì il De humana physiognomonia, e nel 1588 la Phytognomonica. Nel 1589, l’edizione in venti libri della Magia naturalis accrebbe la sua già ampia notorietà, nutrita anche dalla produzione teatrale, cominciata con Olimpia.
Nel 1592 il Santo Uffizio gli vietò di pubblicare a meno di sua autorizzazione, e gli fu interdetto di stampare la versione italiana di De humana physiognomonia (che sarebbe uscita a Napoli, sotto pseudonimo, nel 1598). Gli fu tuttavia permesso di pubblicare il De refractione optices (1593). Alte protezioni risparmiarono l’inclusione della Magia naturalis nell’Indice del 1596. Nel 1604 conobbe Federico Cesi (1585-1630), fondatore dell’Accademia dei Lincei, che curò l’edizione di diverse sue opere. Nel 1610 fu ammesso tra i Lincei; nel 1611 fu eletto viceprincipe del Liceo di Napoli, e partecipò alla fondazione dell’Accademia degli Oziosi.
Rivendicò l’invenzione del principio del telescopio, reso celebre da Galileo Galilei. Con la Taumatologia, scritta a partire dal 1604 ma rimasta incompiuta, e di cui la censura non gli permise di pubblicare neppure l’indice, continuava l’interesse per i ‘segreti’ (l’indice e il quarto libro, Liber medicus, saranno editi nel 1956).
Morì a Napoli il 4 febbraio 1615. Fra le opere postume, la Chirofisonomia, pubblicata nel 1677, De telescopio, Criptologia e Metoposcopia, apparse nella seconda metà del 20° secolo. Nel 1996 si è avviata l’Edizione nazionale delle opere, tuttora in corso.
Si aggira attorno al «ponte Ricciardo», dove si appendono i corpi dei giustiziati, monito ai passanti, finché «dalle piogge e da’ venti sono consumati»: prima che ciò avvenga, ricopia le linee delle mani e dei piedi, «o pure con il gesso ne formava i lor cavi», per studiarli «la notte in casa», e cavarne «la verità». I diaconi della cattedrale gli permettono di esaminare gli «uccisi et i morti senza confessione», sepolti in S. Restituta. Visita «le carceri pubbliche», «dove sempre è racchiusa gran moltitudine de’ facinorosi ladri, parricidi, assassin da strada e d’altri uomini di simile fattezza, per vedere diligentemente le loro mani», «non senza naturali ragioni». Nelle mani infatti sono inscritte le «male inchinationi» di chi, fuggita «la ragione», come dice Tommaso d’Aquino, e secondato il «senso», crolla nella «nequitia» (De ea naturalis physiognomoniae parte quae ad manuum lineas spectat libri duo, a cura di O. Trabucco, 2003, pp. 91-92).
Questo autoritratto si legge nel Prooemium ad lectorem di un’opera che Della Porta chiamava in riservate lettere Chiromanzia o Chironomia, nome di arte proibita. Opera respinta nel 1610 dalla censura, dopo l’esame anche del cardinale Roberto Bellarmino, benché adattata dall’autore; e per quanto nel titolo infine deciso egli la presentasse come parte dell’innocua fisiognomica: De ea naturalis physiognomoniae parte quae ad manuum lineas spectat libri duo. Comparve nella traduzione di Pompeo Sarnelli, sotto il rassicurante titolo di Chirofisonomia, solo nel 1677. In un certo stadio del testo, l’autoritratto si completa con la notizia che, appreso del divieto della chiromanzia e di altre arti magiche deciso da Sisto V nel 1586, Della Porta aveva gettato nel fuoco («vulcano») le carte in argomento. Ora però (siamo dopo il 1603) che riteneva di aver reso l’arte accettabile, avendo offerto nella Coelestis physiognomonia, edita quell’anno con approvazione ecclesiastica, una fisiognomica scevra dal determinismo astrale, chiedeva il permesso per il libro in cui smascherava le «bugie» con cui «impostori» avevano reso la disciplina degna del divieto (De ea naturalis physiognomoniae, cit., pp. 4 nota, 89-90).
Nell’autoritratto si compendia il senso dell’esperienza di un uomo, che Sarnelli celebrava «lume de’ moderni», «cervello speculativo che non molto giurava nelle parole de’ maestri»; una vita non sporcata, ma provata e infine illuminata dalla sorveglianza inquisitoriale: vita di uomo «religiosissimo». Denunciato poiché sospetto dell’«assistenza di demonii», aveva dimostrato di operare «solo con termini naturali», e «seppe così bene difendersi, che anzi fu lodato che castigato, essendogli stato ordinato che si astenesse da giudicii astronomici», allusione al posteriore disimpegno da lui ostentato dall’astrologia ‘dei giudizi’. E infatti Sarnelli richiamava la probità della sua fisiognomica, che indaga «con qualche probabilità la lunghezza o brevità della vita, e le inchinationi dell’anima»; con uso del termine inclinatio, che la teologia medievale adoperava per consentire lo studio astrologico (pp. 79-83). Quelle visite a cadaveri e prigionieri erano tuttavia accompagnate da un certo senso della dignità dell’uomo, collaboratore della natura, offesa da quei terribili delitti, ma anche dalle conseguenti sofferenze. Ne indagava i destini segnati (o ‘inclinati’?) nei solchi di mani macchiatesi di orrori. Nella rassegna di quell’abietto campionario, Della Porta cerca senza ribrezzo proprio l’eccellenza dell’uomo, capace di grandi cose se guidato dalla «maestà e dignità della mano»:
Con le mani penetriamo le viscere della terra, cavandone fuori la preziosa merce de’ metalli; con queste si adeguano al suolo i monti, si ammettono i mari e si fanno a dietro […]; penetriamo la vastità delle acque, et indi ne riportiamo gran moltitudine de’ pesci. Tutte le bestie terrestri, acquatiche e volanti […] per le attività delle mani ci divengono soggette […] senza le mani, non solo saressimo vili et inermi, ma più infelici de’ bruti, e l’uso della ragione (che per altro è dono celeste) sarebbe stato egli manco privo d’ogni operatione […] ministre della sapienza della mente […]. Non a caso, dunque, né temerariamente, ma con istabilito ordine della natura […] sono delineate le mani nell’huomo, il più eccellente di tutti gli animali (pp. 94-95).
La domanda riguarda Della Porta da protagonista, a motivo dell’enorme successo internazionale delle sue opere e del progetto amplissimo quanto farraginoso che presentano: rendere la magia pienamente legittima e accettabile come sapere naturale, largamente fruibile con molta minore preoccupazione religiosa e morale che in passato, sulla base della diffusa simpatia sociale, a tutti i livelli, che essa suscita, nonostante, o forse anche in ragione del ‘rischio’ e della ‘tentazione’ che comporta:
fu detta altra magia scientifica, altra magia cerimoniale […] pare concedendo i scrittori di magia approbata esser quella che, conoscendo la natura delle cose […], produce effetti meravigliosi, come s’affatica d’insegnar il Porta napolitano (G. Casoni, Della magia d’amore [1591], a cura di A. Maggi, 2003, p. 38).
La Magia naturalis conosce entro la metà del Seicento 58 edizioni nel testo del 1558, anche in traduzione francese, italiana, olandese, tedesca, inglese; la Magia ampliata del 1589, 35 in varie lingue. L’impegno si arrestò solo all’incompiuta Taumatologia, dedicata all’imperatore-mago Rodolfo II, ma offerta anche al cardinale Federico Borromeo, e che infine non venne pubblicata per l’opposizione invincibile della censura.
La Magia la dividono in due parti, l’una chiamano infame, come sporca et imbrattata di spiriti immondi, di commercii di demonii […]. L’altra è naturale, l’honora, e la riverisce, come cosa che non può trovarsi più alta, né più sublime nella naturalità […]. I Filosofi più dotti nella Filosofia più secreta, la deffiniscono così, esser le ricchezze, e le delitie delle scientie […]. Alcuni hanno detto esser la parte attiva, e più principalissima della Filosofia, e che produce i suoi maravigliosi effetti dalla scambievole applicazione de’ semplici naturali […] non crediate che altro sia la Magia, che l’istesse opere della natura (Della magia naturale, 1611, pp. 2-4).
La distinzione tra magia ‘bianca’, naturale o ‘spirituale’, parte della filosofia, e magia ‘nera’, demoniaca, non certo è originale in Della Porta: era stata trattata in precedenza da Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. È connessa alla riscoperta dell’ermetismo, alla rinascita platonica e alla riforma dell’astrologia. Se ne dibatte in vario modo per tutto il 16° secolo in Pietro Pomponazzi, Cornelio Agrippa (Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim), Girolamo Cardano, Giordano Bruno e Tommaso Campanella.
Ma Giovan Battista Della Porta offre una vastissima silloge divulgativa dei ‘secreti’, ampliandone i termini, dall’ottica all’arte delle cifre, dai veleni ai rimedi medici, dalla numerologia alla trasmutazione dei metalli e alla spagirica, ma anche all’economia e all’arte bellica, proponendone verifica dettagliata. Il sapere magico-naturale sostiene la simpatia e antipatia universale delle cose, collocata nel quadro dei coelestia, la cui influenza sulla Terra non è risolta in moto, luce e calore, ma ricevuta per virtutes specifiche, anche catturabili. Non impone decostruzioni della filosofia aristotelica, come quelle, tutte diverse, di Francesco Patrizi, Campanella e Bruno, ma accade però che vi si colleghi secondo una varietà di motivi e di esiti; e a partire da quella può addirittura mettersi a tema proprio la ‘naturalità’ del magico.
Della Porta verifica conclusioni aristoteliche, ma dell’aristotelismo può serbare teorie ed esperienze. Egli conosce il nesso fra neoplatonismo e magismo, ma non tenta un quadro teorico entro cui leggere i fenomeni, percepiti piuttosto come occasioni variabili di esercizio pratico. La sua visione della magia quale studio operativo sottratto a «superstiziosi, iniqui, & profani uomini» (Della magia naturale, cit., p. 2), e del mago come suo ministro non ‘precorre’ il metodo scientifico moderno. Pur coltivando la matematica a scopi ‘ingegnosi’ e tecnologici, in ottica, e per base dell’astrologia, Della Porta non ne ricerca le leggi universali nel cosmo. Il mago naturale, sia pure aperto a collaborazioni accademiche, resta figura straordinaria. La cornice astrologica, anche emendata, non verrà meno; ma già nell’Arte del ricordare Della Porta rifiuta l’uso in mnemotecnica delle immagini astrologiche, segno «di vanagloria e di pazzia» (Ars reminiscendi, a cura di R. Sirri, 1996, p. 66).
Tommaso Erasto, teologo protestante svizzero, gli contestò l’esistenza di una magia immune dal demonismo. Del resto, la ‘demagificazione’ della magia – con apice in Campanella: infine, è ‘volgare scienza’ – resta ambigua. Il plurivoco concetto di ‘spirito’, il rapporto con la divinazione, la distinzione della sfera ‘naturale’ da quella demonica, spesso convenzionale o parziale, sembrano dimostrare che si trattò di ‘utopia’, in grado però di contribuire a smontare la credulità popolare, a illuminare torbide attitudini, a svelenire quella verso la stregoneria, entrando in difficile confronto con le autorità ecclesiastiche: anche presso di queste il tema resta di complesso vaglio e trattamento, e anche nel clero l’esoterismo conserva molti appassionati.
Nella legislazione ecclesiastica e nella cultura teologico-inquisitorale si distingue tra una magia che manipola elementi naturali o artificiali, produce finzioni (sortilegia, incantationes, divinationes artificiales), e non giustifica l’azione inquisitoriale, ma può esigerne di altri istituti, e una magia (maleficium, haeresis maleficorum, divinationes haereticales) che convoca spiriti immondi attraverso cifre e figure, e può conseguire effetti letali. La seconda viene apparentata alla stregoneria che invoca e venera i demoni, e con essi conclude patto reale, e distorce dottrine, e profana simboli e riti cristiani; al pari di quella, ricade nella fattispecie ereticale. Si postula così eresia (malefica) in molti tipi di magia, che la letteratura ‘laica’ ritiene invece ‘naturali’, giocando piuttosto in alcuni casi in favore di una depenalizzazione delle arti esoteriche, se non dolose, poiché dubita della loro dipendenza dal commercio diabolico.
Alla larga documentazione della persecuzione della stregoneria non corrispondono, almeno a livello di Santo Uffizio e di censura romana, testimonianze copiose della persecuzione della magia ‘colta’ in quanto tale. Il caso Della Porta sembra raro, ma giustificato dall’ambizione e dalla fortuna dell’autore; l’accusa di magia, in processi contro naturalisti e filosofi, appare, invece, spesso accessoria.
Le regulae e i dibattiti interni della censura ecclesiastica contemplano tuttavia le discipline magiche. L’astrologo rischia l’eresia quando pretende divinazione certa dei futuri contingenti, offesa all’onnipotenza divina e alla libertà umana. Idromanzia, piromania, geomanzia, aeromanzia tentano invece il futuro attraverso segni naturali meno sicuri. Necromanzia, onomanzia e arti derivate comportano evocazioni demoniche. Fisiognomica, chiromanzia e metoscopia ricercano tracce tendenziali, ma possono rivelarsi superstizioni. Inoltre queste discipline vertono sul rapporto anima-corpo, già inquinato dalle dispute averroistiche. Nel 1559 l’Indice di Paolo IV vieta i libri che trattano qualunque pratica eccetto l’astrologia necessaria in medicina, agricoltura e navigazione. La fisiognomica viene risparmiata, se non ha scopo divinatorio. Nella prima Magia Della Porta compiange i tagli della censura:
Sono state cancellate, disperse e rimosse molte altre cose, vagliate con eccessiva severità dai censori, non senza mio rammarico, poiché degnissime per il filosofo intelligente che avrebbe dovuto ammirarle, piuttosto che del lettore profano dell’opera (prefazione a Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IIII, 1558, s.p.).
Ma egli tratta arti la cui liceità è ancora in riassesto. L’Indice del 1564 vieta solo i libri astrologici che annuncino previsioni certe. Sono sempre proibiti quelli delle altre mantiche, ma alla fisiognomica non si fa cenno, e neppure ad altra scienza anche da Della Porta studiata, l’alchimia; priva in sé di rilievo dottrinale per la Chiesa, essa è immune, eccetto se sviluppata entro teologie eterodosse, come nel caso di Paracelso, o se strumento di illecito, quale il falso conio, o se avvinta ad altri esoterismi.
Giovan Battista condivise con il fratello Giovan Vincenzo la pratica della divinazione. «Divoto nell’astrologia» (G.B. Longo, Notizie su Gian Vincenzo Della Porta, 11 agosto 1631, in Gabrieli 1989, 1° vol., p. 683), questi aveva commentato l’Almagesto e il Quadripartito di Claudio Tolomeo, di cui pare dicesse di essere la reincarnazione. Del primo libro della Magna constructio Giovan Battista curò nel 1605 un’edizione forse già pronta intorno al 1588. Tolomeo inverte la gerarchia aristotelica dei saperi: matematica, fisica, teologia; per lui la matematica è superiore a queste, in ragione del metodo: congetturale nelle ultime due scienze, dimostrativo nella prima. È un ‘matematismo’ importante per la scienza moderna. Ma quel rigore era rivendicato da molti astrologi anche agli oroscopi. Giovan Vincenzo predisse al duca di Stigliano, Antonio Carafa, gli incidenti puntuali capitati a suo figlio Luigi, e finanche la sua data di morte:
Un dì disse al Principe che non lo facesse uscire, che pericolava di qualche cosa che li desse in testa: […] uscendo di una Camera all’altra li cascò un quadro in testa che gliela ruppe. Un altro dì li disse che non cavalcasse, che sarebbe cascato; uscì in carrozza, et andando appoggiato alla portiera della carrozza, quella li venne meno, e cascò con grande pericolo di esser calpestato dalli cavalli (G.B. Longo, Notizie su Gian Vincenzo Della Porta, cit., p. 683).
Nel 1637 Francesco Stelluti provò a inserire analoghe referenze anche per Giovan Battista nella sua edizione della Fisiognomica, ma la censura lo fermò. Lo fece in una lettera privata: Della Porta previde morte al principe di Scalea, Francesco Spinelli, e questi si rifugiò nel suo feudo; ma le coste erano infestate dai pirati, e fu atterrato da proiettile turco (p. 758).
Questi episodi sono eloquenti così dell’ambigua natura della magia dellaportiana, quanto del favore sociale di cui godeva, nonostante le interdizioni. Il 21 giugno 1574 il cardinale Scipione Rebiba chiese al viceré di Napoli l’arresto di Giovan Battista, che non dovette aver corso, se l’8 febbraio 1575 Pietro Antonio Vicedomini, già vicario generale dell’arcivescovo, consigliava al Rebiba di arrestare Della Porta e due altri complici «con molta prudenza» (Catholic church and modern science, t. 2, Sixteenth-century documents, 2009, p. 1516), in ragione delle protezioni godute. Solo nel novembre del 1577 Della Porta figura detenuto a Roma, accusato di negromanzia. Nel gennaio 1578 gli venne concessa loco carceris la dimora del cardinale Flavio Orsini, amico di Giovan Vincenzo. In ottobre il Santo Uffizio deliberò la tortura de levi; ma il processo fu chiuso con la sola purgazione canonica (26 novembre 1578). Nell’Avertimento per li librari di Roma del 1580, la Magia naturalis compare tuttavia vietata, e nel 1583 fu proibita donec expurgetur dall’Indice di Spagna. Ma dal 1579 Della Porta si pose al servizio del cardinale Luigi d’Este, fastoso e curioso signore.
Nella Démonomanie des sorciers (1580) Jean Bodin lo coinvolse nella polemica contro Johannes Wier che, nel De praestigiis daemonum et incantationibus ac veneficiis (1563), aveva sostenuto, al pari di Cardano, che il volo notturno e il sabba delle streghe non erano effetti reali del soprannaturale potere diabolico esercitato dalle streghe, ma allucinazioni artificiose. Di questi fenomeni Cardano e Wier correggevano la lettura, e pertanto ne criticavano la persecuzione inquisitoriale. Nella Magia naturalis Della Porta aveva raccontato – e sarà citato da Wier – di aver ricevuto da una strega la ricetta di un unguento capace di provocare uno stato onirico, al cui termine il ricordo del volo e del sabba appariva nettissimo. Bodin, che diceva la Magia naturalis degna delle fiamme, accusava Della Porta di propalare un tossico di indubbia compromissione diabolica, risultando a base di «grasso di bambini dissotterrato dalle tombe»; e di farsi complice di Satana suggerendo indulgenza verso i malefìci, ridotti a patologie.
Nel 1586 Della Porta dedica al cardinale d’Este il De humana physiognomonia, lamentando il ritardo dell’imprimatur. Nel quadro della bolla di Sisto V si autocensura, mostrando di poter svincolare la fisiognomica dal determinismo. Assicura che quella scienza individua propensiones, non actiones dipendenti dalla libertà umana. Il problema dei ‘segreti’ dannosi si presenta anche nella seconda Magia naturalis, e nella prefazione egli lo riconosce: «Ci sono inoltre molte cose nocive e malefiche, che, cadute nelle mani di uomini empi e malvagi, potrebbero recare danno a qualcuno». Bisogna combattere gli usi perversi, ma non occultare le «meraviglie della natura» (Magiae naturalis libri XX, 1589, p. 2). Per via di Bodin, e della proibizione della prima Magia, espunge l’unguento delle streghe. Nega di essere veneficus, e a Bodin dice di stare attento: eretico scampato alla strage di s. Bartolomeo, lo invita a tornare alla vera fede, «affinché non sia condannato lui, vivo, al rogo» (p. 3).
La natura ‘operata’ dalla magia e dalle altre arti capaci di ‘portenti’ (ottica, idraulica, pneumatica, alchimia) ha per fine il beneficio dell’uomo. L’enciclopedia di scienza agraria Villae è la magia al lavoro nei campi. L’agricoltura costituisce il modello della vita associata, e il suo oggetto, la sylva, è il luogo in cui da sempre la ricerca umana di beni vitali ha incrociato il divino ivi dimorante. È arte filosofica, teste Aristotele, che nella Politica cita il successo negli affari di Talete (Villae libri XII, edizione diretta da F. Tateo, 2010, p. 15); è fondata nella monarchia del pater familias, che dev’essere «espertissimo in filosofia» (p. 31): la villa (la famiglia Della Porta ne aveva due) impone studio di arti, anche magiche, abbracciate dal filosofo. All’ombra del cardinale d’Este, fra Venezia e Padova, Della Porta percorre il mondo di Sarpi, Cesare Cremonini e Galilei, dove aristotelismo areligioso, interessi scientifici e vene scettiche e politiques scorrono quanto possibile al riparo dal Santo Uffizio, grazie a dissimulazione, tutela politica, patronage ecclesiastico; Bruno e Campanella, più isolati e imprudenti, incappano invece nelle maglie inquisitoriali. Nella seconda Magia Della Porta tratta il magnetismo con un taglio che gli verrà contestato da William Gilbert (1544-1603). Elogia Sarpi, «degnissimo» procuratore dei serviti, dal quale, «lustro e vanto del mondo, non solo di Venezia o dell’Italia» (Magiae naturalis libri XX, 1589, pp. 127 e 128), si onora di essere stato introdotto allo studio del fenomeno. Tributo rivolto a un frate allora di forte ambizione, vicino a Bellarmino, prima che nel 1594 una denuncia per antitrinitarismo, e poi la ‘crisi dell’interdetto’ lo compromettano. Ma siamo di qua da quel conflitto con la Santa Sede, e Venezia conforta un’idea di sapere utile alla civitas, in equilibrio difficile con papato e Inquisizione.
Vertono sulla solidarietà fra ‘portenti’ e utilità gli Pneumaticorum libri tres, usciti a Napoli nel 1601, in volgare nel 1606 (I tre libri de’ Spiritali), nei quali Della Porta, che intendeva concorrere a un incarico di ingegnere presso la corte pontificia, si misura con la scienza alessandrina, tra Archimede ed Erone di Alessandria, ed entra nella disputa sul vuoto. Alla ‘magia’ agricola contemplata in Villae si affianca la manipolazione delle forze naturali per addomesticamento del paesaggio: «inalzar l’acqua»; mirabilia come l’organo idraulico «visto in Tivoli, nel giardino dell’illustrissimo cardinal di Este» (Pneumaticorum libri tres, a cura di O. Trabucco, 2008, p. 154); e il terzo libro degli Spiritali s’apre su
come si possano […] dalle valli profonde condur i fiumi per le cime de monti e luoghi precipitosi in basse ancor valli, così per l’uso de gli uomini come per disseccare alcuni laghi (p. 133).
Nel 1608 pubblica il De munitione. Legato alla trattatistica veneziana, Della Porta confronta l’ars aedificatoria con lo sviluppo delle armi da fuoco. I conflitti europei rendono terribili gli assedi, con rovina di strutture inadeguate, stragi di inermi, violazione di sacri luoghi e valori. La fortificazione è arte della conservazione dello Stato:
Quest’arte tutela dalla tirannide, ed è utile a mantenere la lealtà dei cittadini, specialmente quella da poco guadagnata, come potrà facilmente dimostrarvi chi conosce la storia; solo quest’arte infatti conserva le città, risolleva quelle distrutte, ripara le vecchie e decadute, fortifica le inermi e edifica le nuove (De munitione libri tres, a cura di R. De Vivo, 2010, p. 4).
La relativa stima che Della Porta ostentava verso il suo teatro, ridotto a divertimento, benché copioso (gli sono attribuite 28/29 fra commedie e tragedie, 17 delle quali tràdite con sicurezza), è stata definita un «vezzo» dell’autore, che lasciò invece testimonianze brillanti di lingua, maestria e invenzione, e di ambizione teorica (R. Sirri, Introduzione, in G.B. Della Porta, Teatro, a cura di R. Sirri, t. 1, 2000, pp. 8-9).
Il suo teatro dimostra un circolo vivace con i suoi interessi magico-naturali. Non esibisce un proposito solo ‘morale’, come tale proiettato in postuma rievocazione da un serioso patrono quale Cesi che, pur aiutandolo a ottenere permessi ecclesiastici anche per le commedie, nel Lynceographum appare contrario a che i lincei frequentassero spettacoli che non fossero edificanti e in latino. Accanto all’‘impegno’ delle tragedie (o meglio delle ‘tragicommedie’, genere teatrale che Della Porta asserisce di aver inventato), sta l’universo sulfureo delle commedie. Ma al patronato cardinalizio, conseguito pur dopo la sentenza del 1578, è legato Georgio, pubblicato nel 1611, risalente con maggior credito al 1579-81. Non per caso Della Porta compone un dramma sacro, ispirato alla storia di san Giorgio, protettore di Ferrara. Il soggetto rappresentatovi (la deroga a dura legge da parte di un sovrano che vede il suo regno minacciato da un drago) rivela fallaci le soluzioni che restino sul piano del confronto tra una visione antimachiavellica, ma pur ‘naturale’, «giurar non lece il falso», e il machiavellismo del re Sileno, «un’onorata fraude non è fraude» (Teatro, cit., t. 1, pp. 202 e 203). Della Porta polemizza con l’etica fatalistica («pianga ella sola il suo perverso fato, il suo destino e le maligne stelle», p. 203), e scioglie il nodo con l’intervento del santo combattente, che getta il drago negli abissi e induce re e popolo a riconciliarsi nel nome della religione del Cristo: dimostrazione della superiorità di questa sul paganesimo, cui si contrappone la dottrina del libero arbitrio («noi siam fabri a noi stessi de nostri danni […] libero è ’l voler nostro e non mai servo», p. 274).
Anche la tragedia Penelope, stampata nel 1591, risulta edificante nell’esaltazione della regina di Itaca, quasi un’eroina cristiana, rispetto alla quale Ulisse, «colmo de la simulazione e de la frode» (p. 22), appare inadeguato. Intesa all’aborrimento d’ogni «azzione disonesta, sfacciata, iniqua e vile» (p. 14), Penelope introduce l’insufficienza cortigiana di un «consigliero» del principe, Eurimaco, i cui appelli sono respinti dall’arrogante Ulisse; e di questi sottolinea la sfiducia nella divinazione. Probabilmente attorno al 1590 Della Porta produce Gli duo fratelli rivali. Egli, che gode del favore vicereale, ha però nella storia della sua famiglia la macchia dell’adesione del ramo salernitano di questa alla congiura dei baroni del 1485, capeggiata da A. Sanseverino. Non appare dunque casuale l’ambientazione a Salerno, con trama derivata dalla XXII novella di Matteo Bandello (1554) su Timbreo di Cardona, persuaso dal rivale in amore a denunciare la sua amata per dissolutezza, che ispirò a William Shakespeare Molto rumore per nulla. Nei Fratelli rivali si allude alle sfortune dei Della Porta, ma per celebrare il governo spagnolo. Il testo viene dato alle stampe nel 1601, due anni dopo la repressione della rivolta calabrese che a Campanella costa ventisei anni di carcere.
Nonostante queste prove di teatro allineato alla Controriforma e all’egemonia spagnola, il 10 marzo 1592 il Santo Uffizio vietava a Della Porta di pubblicare senza suo diretto permesso. Poco dopo, il cardinale Giulio Antonio Santori, a causa del processo del 1577-78, faceva proibire la traduzione italiana della Humana physignomonia (che in latino sarà invece autorizzata). La Congregazione dell’Indice discuteva se permettere la fisiognomica in quanto studio delle complessioni naturali, e dopo il 1596 decideva di non proibirla. Della Porta temeva tuttavia che la seconda edizione della Magia naturalis potesse essere vietata nel nuovo Indice sistino, se sovrapposta a quella del 1558, sospesa donec expurgetur dall’Indice spagnolo, e fece presente alla Congregazione che l’opera era già stata «diligentemente espurgata» (Valente 1999, p. 433). Nel 1593, Ettore Pignatelli duca di Monteleone chiese alla Congregazione di accogliere la richiesta del «suo caro amico», certo com’era che questi si fosse emendato di errori commessi da «giovanetto» (Catholic church and modern science, cit., pp. 1558 e 1559). Nell’Indice del 1593, non promulgato, la Magia resta proibita solo per le edizioni anteriori al 1587, e nell’Indice del 1596 non si fa cenno a Della Porta. Il 17 ottobre 1596 il Santo Uffizio impose comunque a Della Porta di consegnare la lista dei manoscritti che intendeva pubblicare.
Altre ombre si allungavano. Nel febbraio 1600, un giorno dopo il rogo di Bruno, Della Porta fu denunciato al Santo Uffizio da frate Pietro di Lauro, fratello di quel cappuccino Fabio che nel 1599 aveva denunciato Campanella per la congiura di Calabria. Il tribunale ordinò per Della Porta la perquisitio. Il procedimento, su più tragici sfondi, sembra sia rimasto privo di seguito. L’autore insistette a ripulirsi della sua sinistra fama. La commedia Lo astrologo irride nel 1606 alle vane superstiziose arti. L’Albumazar cui si rivolge un vecchio innamorato per resuscitare un morto evoca un grande astrologo islamico, ma nella finzione guida una banda che profitta dell’«umana curiosità o per dir meglio asinità» per truffare gli incauti: «ho visto certe linee nella fronte, e mi pare che tutte le stelle siano congiurate a’ vostri danni», dice Albumazar a uno sprovveduto; «un gran sasso vi caderà sopra il capo, che vi spolparà tutte la carne e l’ossa e se n’anderà in vento» (Teatro, cit., t. 3, pp. 331, 340, 341). Pratiche che ricordano i pronostici suoi e di suo fratello sono ora messe in ridicolo da Giovan Battista. La ‘demagificazione’ corre sul confine tra convinzione e coazione.
Sarebbe insensato vedere una fase ‘dellaportiana’ nella storia dell’Accademia dei Lincei, segno dell’iniziale prevalenza di una cultura magica che tuttavia avrebbe in breve ceduto alla cooptazione di Galilei, con definitivo transito alla scienza. Del resto l’Accademia neppure in seguito manifestò unitaria ispirazione, né abbandonò l’interesse per i ‘secreti’. Consapevole della difficoltà del programma linceo quale integrale regula, e progetto di collegialità assidua, realizzato attraverso una rete mondiale di Licei e collegia, Cesi diede vita a un’accademia perorante libertas philosophandi in naturalibus, ma devota nella fede e al principato ecclesiastico; disposta a competente confronto con la censura, e però non debordante nel superiore dominio delle scienze sacre, impegnandosene sul piano statutario, anche se esegesi e teologia furono convocate in difesa della nuova cosmologia; estranea alle discussioni politiche, ma desiderosa di operare per il bonum publicum e di non invadente protezione dei principi, quanto di benefattori privati. Non si sarebbe richiesta l’adesione a una filosofia, e neppure a un metodo.
Non sarebbe infatti possibile ridurre Cesi al galileismo, e la storia sua e dell’Accademia è costellata anche di altri interessi: dal paracelsismo superstitione nudatus e dalle cosmologie di Tyge Brahe e di Johannes Kepler, al pensiero (ed epopea) di Campanella; dal telesianismo di Antonio Persio, al ‘brunismo’ di Nicola Antonio Stigliola. Quel che si richiede è autonomia dall’aristotelismo, e indagini languenti o inesistenti negli studia pubblici. Così l’impegno di Galilei nella critica della fisica aristotelica poteva coabitare con Della Porta, che nel De aëris transmutationibus, pubblicato dai Lincei nel 1610, biasimava del resto coloro che preferivano sbagliare con Aristotele, piuttosto che tentare di scoprire da soli qualcosa di nuovo.
Entusiastiche lettere di Cesi ed encomio di questi nella dedica del De distillatione, pubblicato dai Lincei nel 1608, dimostrano patronage aristocratico e invaghimento reciproco fra l’anziano ‘mago’ e il curiosissimo giovane nobile. Della Porta, del resto, di accademie ne aveva frequentate, e una propria fondata, in anni lontani. Credeva in esse; forse mai davvero comprese però lo spirito di quella lincea. Federico, nipote di cardinale, si interessò invano all’imprimatur della Chiromantia, l’ottenne per la commedia La chiappinaria (1609) e fu impotente per quello dell’indice della Taumatologia. Il 28 agosto 1609, alle notizie relative al telescopio che Galilei stava puntando al cielo, e di cui avrebbe dato resoconto nel 1610 con il Sidereus Nuncius, Della Porta reagisce male: «Del secreto dell’occhiale l’ho visto, et è una coglionaria» (Gabrieli 1996, p. 114). Cita a memoria, sbagliando, il luogo del De refractione optices in cui ha dimostrato il principio dello strumento, ma potrebbe aggiungervi il libro XVII della seconda Magia naturalis; e disegna nella lettera un cannocchiale, per spiegarne a Cesi il funzionamento; ma poi subito dopo lo attira verso altri ‘segreti’: come parlare a qualcuno di lontano, come provocare punture in un corpo distante, e come preparare un certo «unguento» (Gabrieli 1996, p. 115). I ‘secreti’ competono con le novità celesti. Letto il Sidereus Nuncius, lamenta che
l’inventione dell’occhiale in quel tubo è stata mia invenzione, e Galileo lettore di Padua l’have accomidato, con il quale ha trovato 4 altri pianeti in cielo, e numero di migliaia di stelle fisse, et nel rivolo latteo altrettante non viste anchora, e gran cose nel globo della luna, ch’empiono il mondo di stupore (Gabrieli 1996, pp. 148-49).
Della Porta fu ascritto ai Lincei l’8 luglio 1610, quinto socio, apponendo la sua firma nell’Albo linceo appena prima di quella di Galilei, che reca la data del 25 aprile 1611. Del Cesi promosse a Napoli la conoscenza innanzitutto fisiognomica: ne teneva in camera un ritratto, di cui tutti «restano innamorati» (Gabrieli 1996, p. 49). Nel 1610 l’Accademia curò in Roma, entrambe dedicate al Cesi, il De aëris transmutationibus e la seconda accresciuta edizione degli Elementorum curvilineorum libri tres, già apparsi a Napoli nel 1601, che furono accolti dai competenti con rispettoso silenzio. Ottenne dal princeps, con l’avallo di Galilei, cooptazioni piuttosto eclettiche, ma le prime tre di ottimo senso: Stigliola, forse fra i primi copernicani del Sud; il botanico Fabio Colonna, l’orientalista Diego de Urrea Conca, e suo nipote Filesio Costanzo Della Porta, sprovvisto di altri meriti (Gabrieli 1996, pp. 209-210). Nel luglio 1611 difese Galilei dalla Dianoia astronomica, optica, physica di Francesco Sizi: «i Lincei non sogliono allucinarsi» (Gabrieli 1996, p. 169).
Nelle ore dell’entusiasmo suscitato dalle scoperte del pisano, Cesi si impegnò anche nello studio «del Porta» (Gabrieli 1996, p. 160). Intorno alla competenza di questi in ottica nutriva però riserve Giovan Francesco Sagredo, che ne scrisse a Galilei il 22 settembre 1612: il De refractione optices frutta al suo autore, fra gli ottici, «il luogo che tengono le campane tra gli instrumenti di musica» (Gabrieli 1996, p. 272). In un’orgogliosa missiva diretta forse al futuro linceo Johann Faber (Gabrieli 1996, pp. 308-10), il ‘mago’ ricordava però che Kepler aveva riconosciuto il suo primato nell’invenzione del cannocchiale. Induce tuttavia a riflettere sul suo atteggiamento verso la questione copernicana il fatto che accusasse incidentalmente Gilbert di approvare la «follia del moto della Terra» (p. 310). In quegli anni compose la tragedia L’Ulisse, uscita nel 1614 con dedica al princeps, che piacque alla censura. Il maestro del Sacro Palazzo la disse «degna dell’eccellenza dell’Autore» (Teatro, cit., t. 1, p. 111). Un avviso ai lettori metteva in guardia da «fato, destino, sorte, fortuna, forza e necessità di stelle», parole inevitabili nella riscrittura di una vicenda omerica (p. 116). E Della Porta rinnovò l’esortazione a non credere alle «superstizion bugiarde e vane […]. È verità già terminata e chiara che gli futuri eventi incerti sono» (pp. 192-93). Egli si conferma il fulcro dell’operazione volta a dotare l’Accademia di una sede a Napoli. Cesi premeva affinché, eletto viceprincipe dei Lincei, ma vacillante in salute, onorasse la promessa di legare la sua biblioteca al sodalizio. Della Porta tuttavia, che già contribuiva alla ben diversa Accademia degli Oziosi, a carattere oratorio ed erudito, e sotto l’influenza della corte vicereale, riteneva che i Lincei dovessero costituire una tipica adunata erudita e mondana:
Tratto di fare lincei il s.r Principe di Stigliano, et il Principe di Bisignano, e il sig.r Marchese di Anzi […] è bene che in questa academia ci sieno anchora principi e cavaglieri (Gabrieli 1996, p. 215).
Ciò che faceva «quasi disperare» il princeps, diffidente verso nobili dilettanti e «curiosetti» (Gabrieli 1996, p. 247). Al Cesi, impegnato a sostenere Galilei nella polemica sulle macchie solari, Della Porta comunicò con quale rituale avesse consegnato l’anello ai nuovi soci napoletani; e quanto fosse importante che solenni cerimonie dessero ai Lincei un tale nome, che «sarà col tempo più gran cosa l’esser linceo, c’haver ricevuto la croce» dell’Ordine di Malta; né mancò di giovarsi del Cesi per beneficio dell’anima, chiedendogli di ottenere un’indulgenza per la cappella con immagine di san Giovanni Battista, protettore dei Lincei, fatta riparare nella sua villa (Gabrieli 1996, pp. 225, 227, 232).
Le istruzioni con cui nella primavera del 1613 Cesi spedì a Napoli quale procuratore nell’affare del Liceo lo Stelluti, documentano la tensione ideale e organizzativa del princeps, e le vanità e illusioni di Della Porta, che voleva un ritratto autentico di san Carlo Borromeo, e libri difficili a trovarsi, usciti in Germania, mentre forse si avviava a pubblicare ad Augusta la Taumatologia, di cui Cesi non riuscì a ottenere l’approvazione dei censori neppure per la stampa del solo indice, quelli «havendolo per sospettosissimo». Della Porta «non s’immagini che qui sia cosa facile o breve l’approvazion de libri, e creda pure che per servitio suo io ci fo e farò ogni sforzo» (Gabrieli 1996, p. 344).
Dei limiti di Della Porta non difettava la consapevolezza. Benché il 29 giugno 1613 Cesi pregasse Galilei di esaminarne i «segreti», frutto di quell’«acuto et indefesso ingegno [che] in così decrepita età, non cessa di fatigare», il 19 luglio esortava a compatirlo, poiché preso in una «quantità di compositioni, […] che lo scervellano» (Gabrieli 1996, pp. 369-70); sembra ora un vecchio che «da noi in fuora, da altri si lascia pelare e spogliare nudo» (Gabrieli 1996, p. 396). Nell’estate del 1614 Della Porta era dato per spacciato, e Cesi si affrettò a ottenere per lui la benedizione papale. Ristabilitosi, si industriò su «una nuova forma di telescopio», «il qual farà centuplicato effetto più del solito», scherzando con Galilei sulle sue conseguenze teologiche: «se con ’l solito si vede fin nella ottava sfera, con questo si vedrà fin nell’empireo, e piacendo al Signore spiaremo i fatti di là su, e faremo un Nuncio Empireo» (Gabrieli 1996, p. 448).
La morte fu annunciata da Cesi a Faber come avvenuta «santissimamente» (Gabrieli 1996, p. 486). Negli appunti stesi per un elogio accademico del defunto che non risulta tenuto, lo dice ammirato da sovrani, principi e cardinali, tanto da essere consultato dalle autorità spagnole per bonifiche e opere idrauliche, ma «dalla gente ordinaria fu stimato Mago; onde lui per burlarsi di loro volse comporre il libro della Maggia naturale»; fu «di buonissima vita, contro l’opinione che di esso da principio haveva preso il mondo»: devoto e misericordioso, autore di teatro «con fine di buona moralità», prediceva sì molte cose, «che si vedevano succedere puntualmente», ma perché «diligentissimo osservatore» della natura; sì che non a torto si può chiamare ‘mago’, «come sono chiamati magi quei saggi e santi Re che visitarono Nostro Signore» (Gabrieli 1989, pp. 676-78). Il rispetto di Cesi verso l’abilitazione culturale e sociale della magia naturale tentata da Della Porta non sarebbe potuto essere men che intonato al quadro della Controriforma. La Fisionomia di tutto il corpo umano, che il Santo Uffizio non aveva voluto pubblicata sotto il suo nome, uscì a Roma nel 1637 in tavole sinottiche ridotta et ordinata da Stelluti, e da questi dedicata al nipote di Urbano VIII, il cardinale Francesco Barberini, che linceo pure era stato. Non per caso un epilogo barberiniano, ove si pensi all’ambiguo rapporto che il papa, che aveva condannato Galilei, intratteneva con la divinazione, invischiatovi con il suo aiutante Campanella, e già pronto però a ribadirne pubblico divieto nel 1631.
Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IIII, Napoli 1558.
De furtivis literarum notis, vulgo de ziferis libri IV, Napoli 1563; completata di un libro V nel 1602.
Phytognomonica, Napoli 1588.
Magiae naturalis libri XX, Napoli 1589.
De refractione optices, Napoli 1593.
Della magia naturale, Napoli 1611.
L’indice e il libro IV (Liber medicus) della Taumatologia sono stati pubblicati in: G. Paparelli, Giambattista Della Porta. (I) “Della taumatologia”. (II) “Liber medicus”, «Rivista di storia delle scienze mediche e naturali», 1956, pp. 1-47.
De telescopio, a cura di V. Ronchi, M.A. Naldoni, Firenze 1962.
Criptologia, a cura di G. Belloni, Roma 1982.
Metoposcopia, a cura di G. Aquilecchia, Napoli 1990.
Nell’ambito dell’Edizione nazionale delle opere di Giovan Battista Della Porta diretta da Raffaele Sirri, si segnalano i seguenti volumi pubblicati:
Ars reminiscendi: aggiunta “L’arte del ricordare” tradotta da Dorandino Falcone da Gioia, a cura di R. Sirri, 3° vol., Napoli 1996.
Coelestis physiognomonia, a cura di A. Paolella, 8° vol., Napoli 1996.
Claudii Ptolemaei Magnae constructionis liber primus, a cura di R. De Vivo, 18° vol., Napoli 2000.
De äeris transmutationibus, a cura di A. Paolella, 14° vol., Napoli 2000.
Teatro, a cura di R. Sirri, 15° vol., 4 tt., Napoli 2000-2003.
De ea naturalis physiognomoniae parte quae ad manuum lineas spectat libri duo, e in appendice Chirofisonomia, a cura di O. Trabucco, 9° vol., Napoli 2003.
Elementorum curvilineorum libri tres, a cura di V. Gavagna, 11° vol., Napoli 2005.
Pneumaticorum libri tres, e in appendice I tre libri de’ Spiritali cioè d’inalzar acque per forza dell’aria, a cura di O. Trabucco, 10° vol., Napoli 2008.
De munitione libri tres, a cura di R. De Vivo, 12° vol., Napoli 2010.
Villae libri XII, edizione diretta da F. Tateo, a cura di L. Laserra, G.A. Palumbo, 5° vol., t. 1, Napoli 2010.
De humana physiognomonia libri sex, a cura di A. Paolella, 6° vol., Napoli 2011.
G. Gabrieli, Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, 2 voll., Roma 1989.
R. Zaccaria, G. Romei, Della Porta Giovambattista, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 37° vol., Roma 1989, ad vocem.
Giovan Battista Della Porta nell’Europa del suo tempo, Atti del Convegno di Vico Equense (29 settembre-3 ottobre 1986), a cura di M. Torrini, Napoli 1990.
P. Zambelli, L’ambigua natura della magia: filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Milano 1991.
G. Gabrieli, Il Carteggio linceo, Roma 1996.
L. Balbiani, La ricezione della “Magia naturalis” di Giovanni Battista Della Porta. Cultura e scienza dall’Italia all’Europa, «Bruniana & Campanelliana», 1999, 2, pp. 277-303.
M. Valente, Della Porta e l’Inquisizione. Nuovi documenti dell’archivio del Santo Uffizio, «Bruniana & Campanelliana», 1999, 2, pp. 415-34.
O. Trabucco, Il “corpus” fisiognomico dellaportiano tra censura e autocensura, in I primi Lincei e il Sant’Uffizio: questioni di scienza e di fede, Atti del Convegno dell’Accademia nazionale dei Lincei, Roma (12-13 giugno 2003), Roma 2005, pp. 235-70.
P. Piccari, Giovan Battista Della Porta. Il filosofo, il retore, lo scienziato, Milano 2007.
Catholic church and modern science. Documents from the archives of the roman congregations of the Holy Office and the Index, ed. U. Baldini, L. Spruit, 1° vol., Sixteenth-century documents, t. 2, Roma 2009, pp. 1507-64.