Pressa, della
Consorteria magnatizia di Firenze; suoi esponenti erano già emersi nella vita pubblica della città molto prima che Cacciaguida li vedesse al potere, come D. gli fa ricordare in Pd XVI 100-101. I cronisti (Malispini XLIX; Villani IV 10, VI 65, 68) ne ricordano le antiche origini, comuni ai Bonaguisi e ai Galigai, e citano i nomi mitici di un Uguccione e di un Bonaguisa armati cavalieri da Carlomagno nel 786, e quello di un altro Bonaguisa al quale Enrico II imperatore concedette la medesima dignità nel 1204, ammettendolo a far parte della propria corte. Fu anche comunemente accettata l'ipotesi che il cognomen della consorteria derivasse dall'impresa compiuta da uno dei Bonaguisi, Rinuccino, che, andato crociato in Terrasanta, si sarebbe distinto all'assedio di Tolemaide, prendendo d'assalto una torre presidiata dai nemici; dal fatto d'arme sarebbe poi derivata la denominazione ai suoi discendenti. Un figlio di questo Rinuccino fu console di Firenze nel 1225.
Nel quadro delle lotte politiche fiorentine i della P. parteggiarono per i ghibellini, dei quali furono fra i più accesi esponenti; nel 1258, al seguito degli Uberti, molti di essi congiurarono per rovesciare il governo del primo popolo e ne ebbero in punizione bandi ed esili perpetui. Quanti riuscirono a restare in patria non cessarono di cospirare contro gli ordinamenti guelfi e, presenti in armi a Montaperti, ebbero una parte di primo piano nel tradimento operato dai militi ghibellini dopo che Bocca degli Abati ebbe dato il segnale aggredendo proditoriamente Iacopo de' Pazzi, portastendardo e capitano della cavalleria fiorentina. Se, uniti ai vincitori di quella battaglia, essi poterono tornare in Firenze, per esercitarvi nuovamente le più alte cariche di governo - un Gherardino e un Cino sono ricordati in questo periodo come membri dei consigli -, pagarono, tuttavia, ben presto il fio della loro scelta politica, e, più ancora, del tradimento perpetrato sul campo. Il bando perpetuo li colpì tutti, facendo eccezione solo per i figli di monna Tessa. L'esilio fu mitigato nel 1280, quando due di essi, Gherardino e Orso di Rinuccino, vennero ammessi a giurare la pace detta del cardinal Latino; ma il perdono politico ottenuto in quella circostanza non valse a restituire a essi il diritto ad accedere alle cariche pubbliche, perché le successive riforme democratiche del 1282, del 1293 e del 1311 li allontanarono dal potere come membri del ceto magnatizio oltre che come ghibellini. Questi provvedimenti ne avviarono la rapida decadenza economica e l'eclisse sociale oltre che politica. Eliminati dal gruppo delle famiglie partecipi del potere, i della P. non vennero più ricordati negli atti pubblici, così che ne impallidì ben presto la memoria e ne fu ritenuta totale l'estinzione a causa della peste del 1348. Motivo, questo, che i genealogisti fiorentini furono soliti addurre spesso per giustificare la mancanza di notizie più precise circa la storia di casate una volta potenti, poi allontanate dalla vita pubblica cittadina.
Bibl. - Brevi sintesi della genealogia dei della P. sono in A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ecc., V, Firenze 1845², 1690 (l'autore, L. Passerini, vi fonda le sue conclusioni sull'esame delle fonti cronistiche e archivistiche - in Archivio di Stato di Firenze, le Carte Dei e dell'Ancisa, gli alberi Pucci, i prioristi di palazzo e Mariani, gli atti del governo comunale, ecc. -); in G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno, ecc., II, Documenti, Londra 1862, 557-558; in Scartazzini, Enciclopedia 1562-1563. Sparse notizie (in buona parte quelle tratte dai cronisti) sui della P. si trovano rielaborate negli scritti eruditi di V. Borghini, Discorsi, ecc., con note di D.M. Manni, II, Firenze 1755², passim; B. De' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli nella quale si ragiona..: delle famiglie e degli uomini di Firenze, ibid. 1585, 44, 46, 55; P. Mini, Discorso della nobiltà di Firenze e de' Fiorentini, ibid. 1593, 39, 78,143; ID., Difesa della città di Firenze e de' Fiorentini, ecc., Lione 1577, 290, 296, 303, 311; P. Monaldi, Istoria delle famiglie della città di Firenze scritta nel 1607 (manoscritto in Archivio di Stato di Firenze, Biblioteca manoscritti, 422, sub voce). Si veda anche Davidsohn, Storia passim.