DELLA QUERCIA, Iacopo di Pietro di Agnolo
Scultore. Prese quel cognome per essere la sua famiglia originaria da Quercia Grossa, castello ora distrutto, a poche miglia da Siena. Non si conosce l'anno preciso della sua nascita, che, secondo il Vasari, fu il 1374 o il 1375. L'inizio della sua operosità va riportato in ogni modo alla fine del sec. XIV; nel 1401 prese parte al concorso per la seconda porta del Battistero di Firenze. Nel 1406 (questa è la data più probabile e generalmente accolta) eseguì la sepoltura per la moglie di Paolo Guinigi, morta l'anno precedente, e due anni dopo la Madonna di Ferrara. Al 1408 risale anche la prima allogazione della Fonte di Piazza a Siena, allogazione che fu rinnovata l'anno successivo e confermata nel '12. Ma Iacopo, a causa dei suoi impegni, non pensava a iniziare il lavoro e non si curava nemmeno di rispondere agl'inviti di Siena, cosicché fu minacciato di un procedimento penale. In seguito a ciò nel gennaio del 1414 si accordò con Sano di Matteo da Siena e Nanni di Iacopo da Lucca per l'esecuzione di tutto il lavoro di marmo della Fonte, eccetto le figure. Soltanto il 20 ottobre 1419 fece quietanza per il prezzo dell'opera ultimata. Così trascorsero circa undici anni prima che la Fonte fosse compiuta. Nel frattempo (1413), lo sappiamo a Lucca, dove il padre, Piero di Agnolo, orefice e intaliatore, era ai servigi del Guinigi, e qui si assunse la decorazione del fianco del Duomo, promettendo di eseguire alcune statue di profeti, ma ne compì una sola; e nel 1416 è di nuovo in questa città e vi lavora le pietre tombali per la famiglia Trenta in San Frediano. Alle insistenze dei concittadini che lo volevano a Siena egli risponde promettendo l'esecuzione di alcune storie per il Fonte battesimale del San Giovanni; ma anche questa volta, ne portò a fine una sola (1430). Del '22 è l'altare della cappella Trenta nella chiesa di S. Frediano a Lucca; del '25 la convenzione col legato di Bologna per la decorazione della porta di mezzo di San Petronio.
Questo grandioso lavoro doveva essere compiuto due anni dopo che i marmi fossero giunti a Bologna; ma le difficoltà di procurarsi il materiale, ch'egli per contratto era obbligato a provvedere, e i richiami della sua città gli fecero troppo spesso interrompere il lavoro, il quale procedette a sbalzi e anche un po' svogliatamente per le continue questioni d'interesse che l'artista ebbe coi fabbricieri della chiesa bolognese. Alla sua morte esso era ben lungi dall'esser compiuto.
Non tenendo conto dei lavori (del resto non giunti sino a noi) attribuitigli dal Vasari e coi quali avrebbe esordito, è certo che Iacopo iniziatosi all'arte sotto la guida paterna che gli permise di cimentarsi nel concorso per la porta del Battistero di Firenze, addestratosi nella più facile trattazione del legno, perfezionò con lo studio diretto della scultura fiorentina la tradizione pisano-senese donde discendeva, trasse profitto dagl'insegnamenti che gli venivano d'oltremonte (si ricordi che Paolo Guinigi ebbe con sé due architetti tedeschi e delle cose di oreficeria e degli oggetti francesi fu appassionato raccoglitore) e riescì a foggiarsi con un lavoro d'intima interpretazione e di sintesi tale propria maniera che lo portò a effetti artistici del tutto originali.
Le due prime opere sicure sono la tomba d'Ilaria del Carretto e la Madonna di Ferrara. E se in questa si avvertono forme massicce che l'avvicinano alla scultura toscana e specialmente fiorentina del periodo anteriore, il monumento sepolcrale è una libera creazione dello scultore, di singolare venustà e bellezza. Giace la donna del Guinigi sopra il sarcofago nella calma dell'ultimo riposo, attorniata da putti alati che sostengono un festone di fiori: ghirlanda funebre attorno all'estinta, avvolta nell'ampia veste stretta alla vita, che le scende fino ai piedi, delineando con verità discreta il corpo giovanile. Ma l'opera che gli valse il soprannome d'onore, onde fu poi sempre chiamato, è la Fonte Gaia nella Piazza del Campo a Siena.
Essa ha la forma di un vivaio, circondato da un alto parapetto aperto anteriormente e decorato di sculture soltanto all'interno. Nel centro la Vergine col Figlio tra due Angeli adoranti, ai lati figurazioni allegoriche: a destra, Giustizia, Carità, Temperanza e Fede; a sinistra, Prudenza, Fortezza, Sapienza e Speranza. All'estremità, la Creazione e la Cacciata dei progenitori. Sul limitare del parapetto, nel lato corto, a tutto rilievo, due gruppi isolati raffiguranti due donne con un putto al seno e l'altro ai piedi: Rea Silvia e Acca Larentia, cioè la madre e la nutrice dei fondatori di Roma, da cui Siena vantava l'origine. Le disgraziate condizioni in cui si ridussero queste sculture per la corrosione dell'acqua e i danni del tempo, consigliarono di supplirle con una copia che fu eseguita dallo scultore Sarrocchi tra il 18858 e il 1866; e i frammenti originali, prima trasportati al Museo dell'Opera del duomo, furono in occasione della mostra d'arte antica del 1904 collocati nella loggia del Palazzo pubblico. Anche quei frammenti, alcuni dei quali ridotti a ruderi, rivelano le doti dello scultore nella modellatura dei corpi, nell'ampiezza delle vesti e morbidezza delle pieghe, nella spontaneità delle movenze, nella potenza plastica con cui è riuscito ad animare il marmo.
Simili pregi si riscontrano nell'altare Trenta dove però il complicato agitarsi dei panni, voluminosi e pesanti, e il forzato contrarsi di alcune figure confermano l'entusiasmo dello scultore per l'arte d'oltremonte. Ritroverà egli tuttavia la misura nelle formelle della porta di S. Petronio, specie in quelle scene bibliche che, per lo stile ampio e magistrale, furono modelli allo stesso Michelangelo nelle consimili rappresentazioni della vòlta della Sistina.
La struttura di questa porta si ricostruisce facilmente con gli elementi contenuti nel contratto di allogazione. Sopra un alto basamento s'impostano le pilastrate con storie bibliche; lo sguancio della porta arricchito di colonne diritte e a tortiglione fra le quali dovevano stare i profeti; l'architrave, decorato con tre storie di Cristo; entro l'arco della porta la Vergine col Figlio tra San Petronio e papa Martino in atto di presentare alla Vergine genuflesso il Legato di Bologna, committente dell'opera. In alto, ai lati della porta, due leoni; sui pilastri le due statue di S. Pietro e S. Paolo; nel frontespizio Cristo portato dagli angeli e nella cuspide, "sopra il fiorame sfogliato" Gesù Cristo in croce. Le promesse non furono mantenute. Ma pur quanto ci è pervenuto basta alla gloria del tempio, che si fregia di tanta opera, e alla fama del grande maestro. Non è il caso di illustrare partitamente le singole scene; rileveremo qui la sapienza di Iacopo nello studio del nudo, nel ricco partito delle pieghe, nella sobrietà dei gesti, nella naturalezza degli atteggiamenti. La Creazione di Adamo e di Eva, il Peccato, la Cacciata dal Paradiso, il Sacrifizio di Abramo attestano la semplice grandiosità delle composizioni, la risoluta e potente esecuzione. Ma accanto alle scene bibliche, accanto ai Profeti, nobili e ispirate figure, accanto alle storie di Cristo, dove più che nelle precedenti si è esercitata la mano degli aiuti, risaltano le due sculture isolate: la Vergine col Figlio e san Petronio: caratteristica questa nella sua forte espressione; nobilissima quella della Vergine, in cui è impressa tanta dolorosa dolcezza mentre è lasciata al Bambino la vivezza ingenua dell'età sua.
Intanto che portava innanzi queste opere, egli compiva la storia di Zaccaria per la Fonte senese e una tavola d'altare per la cappella del cardinale Casini nel duomo di Siena (oggi nella raccolta di U. Ojetti). In entrambe si avvertono notevoli richiami alle sculture bolognesi, e mentre la prima è degna delle altre storie che decorano il bacino della Fonte, spettanti a Donatello, al Ghiberti e al Turini, la seconda è una grandiosa e possente scultura. Ma oltre a queste, altre ne ricordiamo a Bologna: in San Giacomo, il monumento Varj, sequestrato dal Senato alla morte di Iacopo, restituito al fratello Priamo nel 1442 e da Annibale Bentivoglio acquistato per riporvi le ossa del padre Anton Galeazzo; e nel Museo civico della stessa città un tabernacolo con San Giorgio e tre graziosi Angioletti, nella cuspide, un'anconetta con la Vergine e il Figlio, nonché un frammento di gradino con la Natività del Battista. Non in tutti questi marmi è sicura la mano del maestro; e specie i due ultimi appariscono prodotti più che mai evidenti della sua bottega, come alcune statue in legno, in San Martino di Siena, in S. Gemignano, al Louvre ecc. È vero che l'attività di Iacopo si iniziò lavorando il legno, e che tra gli oggetti ereditati da Priamo della Quercia - che fu pittore mediocre - alla morte del fratello è ricordato un S. Agostino di legname; ma troppo queste opere che ricordiamo si allontanano dalla sua maniera perché si possa assicurarne l'assoluta paternità al grande scultore senese.
V. tavv. CXLVII-CL.
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