DELLA ROBBIA
. Famiglia di scultori fiorentini (secoli XV e XVI). Luca di Simone di Marco ne fu il capostipite. Nacque a Firenze nel 1399 o 1400, e vi morì nel 1482. Sembra s'iniziasse con una prima educazione presso un orafo e con un periodo di ricerche nella bottega del Ghiberti, dal quale si mostra derivato nel gotico fluire di molte figure. Solo come ipotesi vengono aggruppate in questo periodo alcune sue sculture senza data e con caratteri di maggiore arcaicità. Nei documenti apparisce la prima volta per un lavoro di mole, quando già la sua personalità era formata: la cantoria per il duomo di Firenze (1131-38). Ricostruita con approssimazione nel Museo dell'opera: alla fine del secolo scorso, essa racchiude entro una nitida inquadratura architettonica di pieno Rinascimento, in due ordini sovrapposti, dieci riquadri: bimbi, ragazzi e fanciulle col canto e col suono vi commentano un salmo di David. Un confronto con l'opposta cantoria di Donatello rende più chiara la personalità di Luca: egli infatti ha del rilievo una visione plastica (a differenza di Donatello che ne ha una impressionistica e pittorica), facendo risaltare le figure sopra un fondo liscio e unito: la sua limpida visione delle cose dà piani larghi alle membra e ai sereni volti, un ondeggiar quieto dei panneggi: le espressioni sono misurate; la figura umana è vista nella sua massima dignità; la concezione totale, necessariamente, è più che altro statica. Mentre lavorava alla cantoria ebbe altri incarichi. Dal 1437 al 1439 scolpì cinque rilievi alla base del campanile del duomo, e vi mostrò indirizzi diversi originalmente assimilati: reminiscenze delle precedenti formelle trecentesche dello stesso campanile (Tubalcain), ricordi di gruppi donatelleschi (Dialettica), echi del panneggiare carnoso di Iacopo della Quercia (Orfeo), senso di staticità e di massa (Grammatica); raggiungendo l'apice nell'Orfeo, di sognante liricità nella figura tutta presa dal canto, alla quale intenti e cauti si avvicinano gli animali.
Luca, pur trovandosi più volte a contatto con Donatello, si mantenne sostanzialmente uguale: nel 1439 ebbe l'allogagione con lui di due altari marmorei per il duomo, dedicati ai santi Pietro e Paolo: solo la parte di Luca rimane, in due rilievi la Liberazione dal carcere e il Martirio di S. Pietro - oggi al Bargello. Qui pure è quel senso chiaro della forma proprio al maestro, manifestato però con insolito vigore, reso più forte ancora per il non finito della scultura: l'ambiente è appena accennato nella Liberazione; abolito - per far dominare la sola figura umana - nel Martirio; e appaiono quasi, nell'una e nell'altra scena, ricordi masacceschi. Del 1441 è il tabernacolo per S. Maria Nuova, oggi nella chiesa di Peretola, limpido e grave: notiamo in esso per la prima volta, mista al marmo, la terracotta invetriata, procedimento non "inventato" perché non diverso da quello della maiolica ma solo perfezionato e adattato alla scoltura monumentale da Luca. E in terracotta invetriata è anche il lunettone con Cristo risorgente nel duomo di Firenze (1442-1444), al quale seguì l'altro con l'Ascensione (1446-1451), più plastico ma forse meno grandioso del primo, dove tutto, anche il quieto sonno dei guerrieri, ha una nobiltà eroica.
Nel 1446, a lui, a Michelozzo e a Maso di Bartolommeo fu allogata la porta di bronzo per la sagrestia del duomo: l'impresa si protrasse per quasi trent'anni, perché se prima gli artisti lavorarono insieme, poi Luca rimase solo, e unicamente a lui - ormai vecchio - fu nel '64 riallogata l'opera. Aveva intanto fatti altri lavori, fra cui, verso questo tempo, la decorazione della cappella Pazzi, presso S. Croce, dove i quattro tondi con gli Evangelisti potrebbero dirsi disegnati dal Brunelleschi, ma il resto rispecchia, quasi tutto, l'arte di Luca: le limpide figure degli Apostoli, nell'azzurro dei tondi, sono parte integrante dell'architettura stessa, che seguono e scandiscono Anche in queste opere della maturità rimane il fluente piegar gotico dei panni, adatto alle pacate visioni dell'artista; mentre invece più vigorosi si mostrano gli Angioli porta-candelabri in S. Maria del Fiore (1448-51). Le forme piene, sane, il senso di una natura eletta, di quasi altera dolcezza, sono nel semplice, dignitoso flettersi delle due nobili figure: le cadenze gotiche si uniscono senza dissonanze a un sereno senso della forma tutto proprio del Rinascimento.
Intorno al periodo delle citate lunette nel duomo possono mettersene altre due, la Madonna già a S. Pierino, ora nel Palagio di parte guelfa, e la Madonna di via dell'Agnolo, ora al Bargello: più vicina la prima, per una mite e fragile dolcezza di ritmi gotici, alla Resurrezione; non lontana la seconda, dominatrice regale, dalla pienezza di forme degli angioli porta-candelabri.
La capacità di selezione, l'unità di stile, la serena forza idealizzatrice, il modo scultorio di concepire si trovano anche in altre Madonne di Luca, come in quella Frescobaldi al museo di Berlino, in quella agli Innocenti di Firenze, in quella "della mela" (Firenze, Berlino), in quella "delle rose" (Firenze) ecc.; o nell'Incredulità di S. Tommaso (coll. von Beckerath, Berlino): tutte opere della maturità dell'artista. Alla quale appartengono anche la decorazione della cappella del Crocifisso in S. Miniato al Monte (dopo il 1448); la lunetta, molto sciupata, a S. Domenico d'Urbino (1449 circa); la tomba del vescovo Benozzo Federighi (1454-57) in S. Trinita a Firenze, di marmo e terracotta invetriata a disegno piatto, fra le creazioni più nobili di Luca; la decorazione a motivi geometrici e medaglioni nella cappella del cardinale di Portogallo in S. Miniato al Monte (1461); lo stemma dell'università dei Mercanti a Orsanmichele (1463), di estremo senso decorativo nel succoso adunarsi a ghirlande di fiori frutti e foglie intorno all'araldico giglio.
La porta della sagrestia, fusa in diversi tempi (1446-1475), deriva chiaramente dalla prima porta del Ghiberti, alla quale con probabilità Luca aveva lavorato giovinetto. Le vigorose testine nella cornice hanno pure ricordi ghibertiani, ma piani più larghi nei volti: le formelle quadrate sono ancora - alla fine del Quattrocento - in massima d'ispirazione gotica, specialmente per il cader fluente dei panni leggieri: il bassorilievo, sentito anche qui plasticamente, ha però meno robusto aspetto che nel marmo, variando la forma col variare della materia più duttile e sensibile: pur tuttavia la porta conserva un'apparenza di forza massiccia e le figure la consueta classica serenità. Di Michelozzo rimane qualche traccia nelle immagini più rigide, mentre invece altre formelle (della Madonna, del Battista, di S. Matteo, ecc.) son di Luca stesso, perché più ampie, contenute e profonde. Agli ultimi tempi del maestro appartengono anche le decorazioni di due cappelle nella pieve dell'Impruneta presso Firenze); dove in alcune parti più timide occorre fare il nome di Andrea, suo nipote, che allora lavorava già con lui. Ma l'artista era ormai stanco; nel 1471 faceva testamento e rifiutava cariche; e finalmente finiva la laboriosa vita nel 1482.
Ricorderemo ancora alcune Madonne a Berlino; terrecotte al Louvre, al Museo di Cluny e nel Museo Jacquemart-André; nel Museo di New York la Madonna Altmann; una nel duomo di Lucca; nel Victoria and Albert Museum di Londra lo stemma di Renato d'Angiò (circa 1453); a Firenze gli stemmi sul palazzo Serristori, lo stemma dei Medici e Speziali a Orsanmichele, ecc. Luca fu essenzialmente scultore: le sue opere hanno un fare largo ed eroico che poi si perde nei seguaci. La sua serena visione della vita, la nobiltà estrema delle espressioni non si trovano che in lui: ed egli è forse il più "classico" dei quattrocentisti.
Andrea, suo nipote, nato il 20 ottobre 1435, morto il 4 agosto 1528, non mosse dalla scultura in marmo come Luca, ma si diede subito a lavori in terracotta; quindi mancò di un fare largo e compendioso. Per natura meno personale, ma tuttavia sensibile e aperto a molte influenze esteriori (più che altro verrocchiesche) ebbe forme ed espressioni meno ritenute di Luca; eppure nella prima parte della sua vita fu tanto guidato da lui, da assimilarne lo stile in modo da lasciar ancor oggi, per alcune attribuzioni, perplessi e discordi. Tale è il caso della famosa Visitazione in S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, che per una certa emotività del gruppo, una insistenza nella S. Elisabetta e un piegare abbondante e fondo si distacca dal puro e misurato Luca, al quale è però molto vicina la Vergine. Sono invece sicuramente di Andrea e fra le sue creazioni migliori i Puttini sulla Loggia degl'Innocenti a Firenze (1463-66) dove un'ingenua sensibilità si esprime nell'accurata modellazione: a confronto di Luca, diminuisce qui la plasticità del bassorilievo e la sommarietà dei piani. Giovanile è pure il S. Michele, già a Faenza (1471) poi nella collezione Vieweg a Brunswick, d'impostazione monumentale. Particolarità di dolcezza un po' fragile si notano invece nelle sue opere alla Verna (circa 1479), fra le migliori del maestro. Nell'Annunciazione lo spazio è riempito con armonia e il mistero è trattenuto in un'intima soavità: le figure esili, sensibili, non regnano forti e sicure contro uno sfondo liscio come in Luca: già il rilievo plastico sconfina in quello pittorico. La Madonna adorante, l'Assunzione, la Crocifissione hanno le stesse qualità di purezza in ogni elemento ma sono nell'insieme affollate da immagini tutte allo stesso livello prospettico, alcune delle quali aggettano fortemente, quasi staccandosi dal fondo. Fra i piani mossi e sensibili l'ombra si addentra e passa in un variare continuo. In questo periodo possono essere comprese diverse Madonne (Museo di Palermo; Bargello, chiese di S. Gaetano e S. Egidio a Firenze) e qualche pala (cappella Medici in S. Croce a Firenze; chiesa dell'Osservanza presso Siena). Una mestizia vaga si diffonde nelle scene dove la figura di Andrea, così cara al pubblico, si manifesterà gempre più, fino poi ad essere sopraffatta o resa sorda nella collaborazione intensa dei suoi molti figliuoli, per cui l'arte diventerà ripetizione commerciale, di tecnica frettolosa.
Nel 1489 l'artista compiva una lunetta per il duomo di Prato e un'altra, ora nel Museo dell'Opera a Firenze, con ridondanza di particolari. Di contenuto artistico superiore a queste è la statua di S. Francesco in S. Maria degli Angeli presso Assisi. La decorazione di S. Maria delle Carceri a Prato (1491 circa) formata su quella della cappella Pazzi, è ad essa molto inferiore: la scultura è francamente pittorica, ridondante di pieghe profonde, verrocchiesche, non fusa a sufficienza con l'architettura. E carica di troppi elementi appare l'Annunciazione nel cortile degl'Innocenti, complicazione di quella tanto più pura della Verna. Migliore si mostra Andrea nella decorazione della Loggia di S. Paolo a Firenze (1490-95), dove molto superiore ai Santi è la lunetta con l'Incontro di S. Francesco e S. Domenico, nella quale il sentimento è contenuto, semplice il gesto, e le due figure, ch'escono dal semicerchio della cornice, di più solenne ariosità. Nel 1505 Andrea compiva il soffitto di un archivolto e una lunetta per il duomo di Pistoia, aiutato dal figlio Giovanni, al quale si debbono le parti più enfatiche e stanche. Ormai la collaborazione fra lui e i figliuoli diventa più fitta e continua e pare che Andrea abbandoni quasi tutto nelle loro mani.
Delle molte sue opere ricordiamo soltanto alcune. Nel Museo nazionale di Firenze varie Madonne col Bambino, spesso ripetute per schema e fattura; e pure a Firenze, un tabernacolo in S. Simone, lo stemma dei Setaioli a Orsanmichele, una lunetta all'Accademia di belle arti; a Prato, nella Madonna del Buon Consiglio, una pala; a Viterbo in S. Maria della Quercia, una lunetta (1507-08); nella pinacoteca di Città di Castello, due Puttini reggi-festoni; ad Arezzo, in S. Maria delle Grazie, un altare, ecc.
Giovanni, figlio di Andrea, nato il 1469, morto il 1529, fu l'aiuto più largo e attivo del padre. Privo di quella scrupolosa coscienza artistica che in Luca, e anche in Andrea, era moderatrice continua, accumulò elementi eterogenei nella medesima opera. Alcune opere in ordine cronologico: Firenze, sagrestia di S. Maria Novella, Lavabo (1497); Volterra, chiesa di S. Girolamo, Giudizio finale (1501); Firenze, Accademia, Resurrezione (1510); Arcevia, chiesa di S. Medardo, Tabernacolo (1813); Firenze, chiesa di S. Ambrogio, Angioli reggi-candelabri (1813); del 1514-15 è una pala ora al Bargello; del 1518-20 un'Assunzione nel camposanto di Pisa; del 1521 una Natività e una Deposizione al Bargello; del 1522 il Tabernacolo in Via Nazionale a Firenze; del 1523 molti medaglioni nel cortile della certosa di Val d'Ema; del 1524 una pala a Lamporecchio; del 1525-29 alcuni tondi al Ceppo di Pistoia; del 1526 uno stemma a Scarperia, ecc. Giovanni appare in queste e altre opere sotto l'influenza specialmente del padre, del Verrocchio e dei verrocchieschi (Benedetto da Maiano e Francesco di Simone Ferrucci). Alla semplice policromia dei suoi maggiori, ben accordata in pochi toni, aggiunge tinte su tinte e vuol ridurre la scultura a una grande pittura rilevata e veristica, usando senza misura e accuratezza tinte torbide e stridenti: le sue figure robuste ma atone, cinquecentesche, hanno l'immobile vuoto delle opere di un artista senza genio. Il numero dei suoi lavori è stragrande.
Degli altri figli di Andrea, tutti più o meno impiegati nella stessa azienda, ricordiamo Girolamo (1488-1566), che passato dall'Italia in Francia, fece per quel re, nei castelli di Madrid a Neuilly e di Fontainebleau, lavori di cui sono rimaste poche reliquie.
V. tavv. CLI-CLIV e tav. a colori.
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